Il mediatore agisce in una posizione di perfetta equidistanza – e cioè di neutralità ed imparzialità – rispetto al compratore e al venditore di un immobile ovvero al suo locatore e al rispettivo inquilino. Cerchiamo di definire quando matura il diritto alla provvigione del mediatore immobiliare.
Chiariamo subito che stiamo parlando di quei professionisti solitamente definiti “agenti immobiliari”, sebbene tale definizione – propria sopratutto del linguaggio comune – non riflette esattamente i caratteri peculiari di detti operatori economici. La neutralità è dunque la caratteristica essenziale del mediatore, così come regolato dagli articoli da 1754 a 1765 del codice civile nonché dall’apposita legge professionale, la n.39 del 3 febbraio 1989.
Per contro, l’agente è il soggetto che agisce nell’esclusivo interesse del proprio preponente, cercando di promuovere presso terzi la vendita dei prodotti o dei servizi da quest’ultimo fabbricati o prestati. Tale diversa prospettiva rende l’agente un vero e proprio mandatario del preponente, con o senza rappresentanza a seconda di quanto tra loro pattuito di volta in volta: è il caso dei cosiddetti “agenti di commercio”, regolati dagli articoli da 1742 a 1753 del codice civile nonché dalla direttiva /653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, che appunto disciplina “gli agenti commerciali indipendenti” (e solo essi).
La confusione terminologica ha fatto anche vittime aventi una certa specializzazione tecnica: ad esempio, il Tribunale di Cagliari, che nella sentenza 26 febbraio 2001 erroneamente ritenne applicabile ai mediatori immobiliari la disciplina dettata dalla citata direttiva CE, per il solo fatto che questi ultimi vengono chiamati agenti, pur non avendone la natura sul piano giuridico.
Ciò detto, è da tempo pacifico per la Suprema Corte che sorge il diritto dei mediatori immobiliari alla provvigione allorché la conclusione dell’affare sia in rapporto causale con l’attività intermediatrice, pur non richiedendosi che tra l’attività del mediatore e la conclusione dell’affare sussista un nesso eziologico diretto ed esclusivo, ma essendo viceversa sufficiente che – anche in presenza di un processo di formazione della volontà delle parti complesso ed articolato nel tempo – la «messa in relazione» delle stesse costituisca l’antecedente indispensabile per pervenire, attraverso fasi e vicende successive, alla conclusione del contratto (in ultimo, Cassazione 15 aprile 2008, n.9884).
Tuttavia, non bisogna scordare che – a prescindere da quanto appena detto – il diritto alla provvigione sussiste solo se il mediatore (persona fisica o giuridica) è correttamente iscritto nell’apposito pubblico registro contemplato proprio dalla menzionata legge n.39/1989, attualmente tenuto presso le Camere di Commercio, ove facilmente si può controllare. In altre parole: se un soggetto non risulta iscritto, egli è in realtà un abusivo che non ha alcun diritto a pretendere una provvigione.
Non solo. Il compenso versato ad un abusivo può essere ripetuto da chi ha pagato, nel termine di prescrizione di 10 anni dalla data dell’indebito pagamento. Compete poi al mediatore dimostrare l’esistenza della propria iscrizione.
Fermi tali principi generali, ormai consolidati, pare interessante capire meglio quando in concreto è ravvisabile il citato nesso causale tra l’attività mediatoria e la conclusione dell’affare, e cioè in quali circostanze la provvigione è dovuta dai clienti.
In considerazione della prassi, due situazioni vanno sicuramente ricordate, ricordando però che l’attività di mediazione deve comunque essere palese nei confronti dei clienti (Cassazione, 9 maggio 2008, n.1154 nonché 15 marzo 2008, n.6004).
- In primo luogo, nella sentenza 20 dicembre 2005, n.28231, la Suprema Corte ha nuovamente puntualizzato che “per il diritto del mediatore al compenso non è determinante un suo intervento in tutte le fasi delle trattative sino all’accordo definitivo, essendo sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui svolta per l’avvicinamento dei contraenti, con la conseguenza che anche la semplice attività consistente nel ritrovamento o nell’indicazione dell’altro contraente o nella segnalazione dell’affare legittima il diritto alla provvigione, sempre però che tale attività costituisca il risultato utile della manovra fatta dal mediatore poi valorizzata dalle parti (Cass. 14/10/1988, n. 5560; 20/04/2004, n. 20549; 07/04/2005, n. 7251 e 7252)”.
- In secondo luogo, nella recentissima sentenza decisione del 5 marzo 2009, n.5339, la Cassazione ha ribadito che “per aversi mediazione non è necessario un incarico, ma è sufficiente che l’opera del mediatore non sia rifiutata e questa opera consiste nel mettere in relazione due o più parti per la conclusione di un affare (art. 1754 c.c.)”. Su tale presupposto, i giudici di legittimità hanno poi sancito che per negare l’esistenza del nesso causale in discussione – e cioè per contestare efficacemente che un affare concluso non è in realtà frutto dell’intervento del mediatore presso le parti – “non si deve dare rilievo ad elementi di contorno afferenti ai comportamenti delle parti, ma al dato oggettivo costituito da ciò, che l’affare concluso non si presenta riconducibile per le sue caratteristiche economiche a quello originariamente intermediato”.
Per tradurre in termini concreti quest’ultimo principio, si deve prestare attenzione ai fatti che avevano originato la controversia e poi il processo giunto all’esame della Cassazione dieci anni dopo il suo inizio. In detta fattispecie, per ottenere il pagamento della provvigione nel 1998 il mediatore aveva agito contro due soggetti, che possiamo rispettivamente chiamare Tizio (venditore) e Caio (acquirente) una domanda di condanna al pagamento della provvigione dovuta da ciascuno dei convenuti per la vendita di un appartamento.
Il mediatore esponeva d’aver fatto a Tizio, nel febbraio del 1995, una stima di un suo immobile e d’avergli sottoposto nel novembre un’ipotesi di preliminare di compravendita avanzata da Caio per il prezzo di lire 400 milioni, che non veniva accettata, perché il venditore chiedeva un prezzo di lire 500 milioni. Verosimilmente consultando i registri di conservatoria, nel luglio del 1997 il mediatore aveva però appreso che l’affare era stato concluso tra Tizio e Caio, onde la loro citazione in giudizio.
Caio si costituiva nel processo sostenendo d’essere sì stato lui a prendere inizialmente contatto con il mediatore per l’acquisto di un diverso appartamento risultato per lui insoddisfacente e che nell’occasione è stato lui a segnalare al mediatore stesso l’appartamento di Tizio, con la cui famiglia aveva avuto rapporti molto tempo prima. In tali circostanze, il mediatore aveva allora convinto Caio a formulare l’offerta da trasmettere suo tramite a Tizio. Non essendo stata però accettata detta offerta, in quel momento l’affare non veniva concluso: ciò accadeva solo in epoca successiva, per effetto di nuove valutazioni fatte dalle parti.
Mentre il Tribunale di Monza riconosceva il diritto del mediatore alla provvigione, la Corte d’Appello di Milano si mostrava di diverso avviso, ritenendo inesistente il nesso causale tra la conclusione dell’affare e l’attività del mediatore. Per la Corte d’Appello, infatti, non era stato il mediatore a reperire a l’affare ed a mettere le parti in contatto tra loro a tal fine: i giudici di secondo grado ritenevano invece che fosse stato in realtà Caio a segnalare l’affare al mediatore ed a chiedere il suo intervento, però fallito, presso Tizio. A sua volta, la decisone assunta dalla Corte d’Appello è stata cassata dalla Suprema Corte, sulla base delle seguenti osservazioni che a noi interessano.
La Cassazione inizia con il constatare che Caio (futuro compratore) conosce sì Tizio (futuro venditore), ma non gli si rivolge direttamente: infatti Caio affida la sua proposta al mediatore, chiedendogli di trasmetterla a Tizio. Quest’ultimo, cui il mediatore si presenta come neutrale latore di quella specifica offerta, non rifiuta l’intermediazione, ma si dice interessato alla vendita solo per un prezzo maggiore.
Ciò basta alla Cassazione per considerare che nella fattispecie è stato l’intervento del mediatore presso Tizio – svolto dal primo in qualità di latore dell’offerta di Caio – a realizzare la messa in contatto delle due parti in rapporto all’affare. I giudici della Suprema Corte ammettono sì che l’affare si è concluso solo in seguito e ad un prezzo un po’ diverso. Tuttavia, per i magistrati di legittimità è illogico negare che nella fattispecie “non abbia assunto ruolo causale la presentazione di quella proposta e non l’abbia assunto perché le parti, che già si conoscevano tra loro, hanno ancora potuto incontrarsi sul tema: quella conoscenza, infatti, non era stata prima sufficiente a stabilire un contatto tra le parti del futuro affare”. Così argomentando, la Cassazione giunge a ravvisare la logica sussistenza del controverso nesso causale, consistente nella “presentazione, da parte dei mediatori, di un’offerta specifica che essi avevano consigliato a Caio di fare, che ha consentito di stabilire il contatto, che è poi evoluto verso la conclusione dell’affare”.
Ricostruite in tale ottica le relazioni fra le parti, allora, la provvigione era dunque dovuta, in base ai consolidati principi fissati in materia, sopra ricordati.
Merita in terzo luogo ricordare una decisione (20 dicembre 2007, n. 26968) assunta dellaCassazione su un caso singolare, in cui l’incarico era stato conferito dal venditore al mediatore mediante l’adesione ad un annuncio pubblicitario, con il quale veniva promessa esclusivamente all’alienante la gratuità della prestazione del mediatore.
Ciò nonostante, la Suprema Corte ha sancito che non può essere tout court negato il diritto alla provvigione anche nei confronti dell’alienante stesso, attribuendo rilievo solo al momento generatore dell’accordo, dovendosi anche valutare a tal file – ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, cod. civ. – il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto e dunque tutti gli elementi allegati dal mediatore a sostegno del suo diritto.
Onde decidere correttamente, allora, il giudice di merito deve dunque considerare la presenza di eventuali dichiarazioni rese dall’acquirente in ordine ad un accordo che invece prevedesse il pagamento di una somma complessiva di danaro a carico di entrambe i contraenti in favore del mediatore a titolo di provvigione: in tali circostanze non è dunque corretto dare rilievo esclusivamente al tenore dell’offerta al pubblico, come aveva fatto la Corte d’Appello di Roma.
Non resta che ricordare il termine entro cui si prescrive il diritto del mediatore alla provvigione: un anno dal momento in cui esso insorge, ai sensi dell’art. 2950 cod. civ. Tuttavia, nemmeno va dimenticato che la decorrenza della prescrizione può essere utilmente interrotta mediante la semplice richiesta della provvigione (meglio se per iscritto con raccomandata) e che, una volta intervenuto tale evento, la prescrizione nuovamente riprende a decorrere.