Violazioni edilizie trasferimento immobili

Le violazioni edilizie impediscono il trasferimento degli immobili, in alcuni casi rendendoli addirittura non commercializzabili (Violazioni edilizie trasferimento immobili).


Una panoramica della situazione, peraltro alquanto complessa e talora contraddittoria, è offerta dalla sentenza resa dalla Cassazione il 17 ottobre 2013, n.23591.

In tale decisione la Suprema Corte giunge a conclusioni nuove e alquanto dirompenti, siccome sancisce il principio che è nullo:

  • non solo l’atto traslativo di un immobile irregolare sul piano edlizio (cosa grossomodo pacifica, nonostante la diversità di “sfumature” nelle varie precedenti sentenza: si veda lo studio 19-C del Notariato, pag. 19 e 20),
  • ma addirittura il contratto preliminare (cosa che invece si escludeva, dandosi così la possibilità di regolarizzare la situazione – se fattibile – prima di addivenire al rogito notarile, traslativo della proprietà).

Svolgimento del processo

1. I signori D.C.V. e M.L., convenivano in giudizio i sig. Z.G. e Mi.An., dai quali, per il prezzo reale di L. 49.000.000, indicato nell’atto in L. 19.300.000, avevano acquistato un appartamento sito in (OMISSIS), per sentir dichiarare la nullità del contratto di compravendita ai sensi della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, e L. n. 10 del 1977, art. 15, anche per illiceità dell’oggetto.

I venditori avevano dichiarato che l’immobile era stato realizzato in conformità alle licenze edilizie n. 24/75 e 6/80, pur essendo stata realizzata una mansarda dal sottotetto non abitabile.

In subordine, gli attori chiedevano l’annullamento del contratto per errore essenziale, determinato anche da dolo dei venditori, i quali avevano dichiarato falsamente la legittimità della costruzione.

In ulteriore, subordine chiedevano dichiararsi la risoluzione del contratto per grave inadempimento dei venditori, i quali avevano trasferito aliud pro alio.

In ogni caso, veniva chiesta la condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo ed al rimborso delle spese sostenute per l’acquisto, maggiorati di interessi e rivalutazione, oltre risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio.

2. I convenuti si costituivano, deducendo: a) di aver alienato l’immobile nello stato in cui l’avevano a loro volta acquistato da C.A. e Ma.Di., a loro volta acquistato dalla Altieri Costruzioni s.r.l.; b) la condonabilità dell’immobile;

e) la coincidenza tra prezzo pagato e dichiarato nell’atto pubblico.

3. Chiesta ed autorizzata la chiamata in causa in garanzia dei danti causa, si costituiva il solo A.C., in proprio e quale legale rappresentante della Altieri Costruzioni s.r.l., eccependo la prescrizione della domanda e la sanabilità della mansarda ai sensi della legge Regione Campania n. 15 del 28 novembre 2000.

Rimanevano contumaci i sig.ri C.A. e M. D. (acquirenti da A. e venditori a Z. – Mi.).

3. Con sentenza dell’1 marzo 2003 il Tribunale di Benevento rigettava le domande avanzate nei confronti della Altieri Costruzioni s.r.l., in assenza di alcun rapporto di garanzia, nè proprio nè improprio, non essendo intervenuto nessun contratto tra detta società ed i chiamanti in causa. Respingeva la domanda di nullità dell’atto di vendita stipulato dagli attori e dai convenuti, per essere stata ritualmente indicata la licenza edilizia in base alla quale era stato costruito il fabbricato, non rilevando ai fini della validità dell’atto la difformità rispetto alla licenza del bene venduto.

Riteneva, invece, sussistente l’errore, determinante e comune alle parti, su una qualità essenziale dell’immobile compravenduto. Il giudice di prime cure, quindi, annullava il contratto e rigettava le domande risarcitorie in considerazione della buona fede dei venditori e dei loro danti causa.

4. Avverso la sentenza del Tribunale di Benevento proponevano appello principale Z.G. e Mi.An. deducendo, per quanto interessa in questa sede: a) di non aver dichiarato il falso nel contratto di compravendita, avendo, invece, indicato il titolo di provenienza con le concessioni edilizie ivi indicate, compreso il rilascio della abitabilità del novembre 1977 a seguito di accatastamento del bene; b) la condonabilità della mansarda; c) la prescrizione del diritto degli acquirenti; d) l’errata dichiarata inammissibilità della domanda di garanzia, qualificabile come garanzia per evizione.

5. Si costituivano gli appellati D.C.V. e M. L., i quali proponevano appello incidentale, chiedendo dichiararsi la nullità dell’atto di compravendita per violazione della L. n. 47 del 1985, art. 15, nonchè per illiceità della causa e dell’oggetto ed in subordine rigettarsi l’appello principale.

6. Si costituivano anche gli appellati C.A. e Ma.Di., che sollevavano questioni processuali e chiedevano il rigetto dell’impugnazione principale, nonchè la Altieri Costruzioni s.r.l., che chiedeva il rigetto della impugnazione principale.

7. La Corte territoriale di Napoli rigettava l’appello incidentale, ritenendo insussistente sia la nullità L. n. 10 del 1977, ex art. 15, essendo stato costruito l’intero immobile condominiale in virtù di licenza edilizia, dovendosi qualificare la trasformazione del sottotetto in mansarda come “opera difforme da quella consentita”, sia la nullità ex art. 1418 c.c., non essendo illecita la causa del negozio, essendo illecita l’attività di costruzione in assenza di licenza e non quella di vendita di manufatto realizzato in violazione di tali norme. La Corte di merito accoglieva, poi, l’appello principale, rilevando che l’azione degli acquirenti in primo grado era stata avanzata ex art. 1427 c.c., incombendo l’onere della prova dell’errore essenziale sulla parte istante, prova non fornita, dovendosi ritenere essenziale non già l’errore sulla conformità al progetto edilizio approvato, ma “l’idoneità (del bene, ndr) ad assolvere alla funzione abitativa per la quale veniva acquistata”, qualità questa sussistente. Di conseguenza, rigettava la domanda di annullamento del contratto avanzata dagli acquirenti, così dichiarando assorbita l’impugnazione incidentale C. – Ma..

8. Impugnano tale decisione D.C. – M., che articolano sei motivi. Resistono con controricorso Z. – Mi. e Altieri Costruzioni srl. Restano intimati C. – Ma.. La società Altieri e i signori Z. – Mo.

hanno depositato memorie, questi ultimi tardivamente (udienza 18 giugno – deposito 14 giugno).

Motivi della decisione

 

1. I motivi del ricorso.

1.1. Col primo motivo viene dedotta “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 10 del 1977, art. 15, e della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40”.

Ha errato la Corte di Appello a non ritenere applicabili le norme di cui alla L. n. 10 del 1977, art. 15, ed alla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, non potendosi qualificare mera difformità la realizzazione di un intero appartamento (mansarda), posto che solo questo era oggetto della compravendita e non tutto l’immobile condominiale, pure eseguito sulla base di una licenza edilizia.

Viene formulato il seguente quesito: “Il principio secondo cui la L. n. 10 del 1977, art. 15, e la L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, sono applicabili alle opere realizzate abusivamente, e non a quelle realizzate in difformità, va valutato in relazione all’oggetto della compravendita. Se l’oggetto della compravendita sia costituito da una singola unità immobiliare realista abusivamente, deve ritenersi che la compravendita riguarda un immobile abusivo, a nulla rilevando se la restante parte dell’edificio sia stata realizzata in virtù di regolare licenza edilità”.

1.2 Col secondo motivo viene dedotta la “violazione e/o falsa applicazione (sotto altro profilo) della L. n. 10 del 1977, art. 15, e della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40”.

La Corte di Appello, ritenendo che le norme non erano applicabili in caso di difformità, ha poi omesso di valutare nel merito le doglianze oggetto dell’appello incidentale.

In più, le motivazioni addotte dalla Corte d’Appello risultano censurabili sotto altro aspetto. La L. n. 47 del 1985, per contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, ha sancito la nullità degli atti di compravendita dei fabbricati abusivi, tanto da prevedere la nullità anche solo per la mancata indicazione degli estremi della concessione, ove in effetti esistente. A maggior ragione, quindi, l’atto è nullo se l’immobile è abusivo e gli estremi della concessione sono fittizi. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., viene formulato il seguente quesito di diritto: “La L. n. 47, artt. 17 e 40, prevedono non solo una nullità formale o testuale legata alla mancanza delle prescritte indicazioni e sanabile con atto successivo, ma anche una nullità sostanziale legata alla carenza della licenzia o concessione edilizia od alla assenza della domanda di concessione in sanatoria e del versamento della prescritta oblazione. E’ nullo l’atto di compravendita di una unità immobiliare realizzata abusivamente: – se gli estremi della licenza o concessione edilizia riportati nell’atto non sono veritieri; – se nell’atto sono stati riportati gli estremi di una licenza edilizia rilasciata per la realizzazione eli altre unità immobiliari; – se la unità immobiliare oggetto di compravendita è stata realizzata abusivamente dopo i lavori di costruzione del fabbricato assentito con la licenza o concessione edilizia richiamata nell’atto”.

1.3 Col terzo morivo si deduce: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 329, 342 e 346 c.p.c.. Violazione del giudicato interno”.

I venditori, nel proporre appello, non hanno contestato in alcun modo la parte della sentenza relativa all’annullamento per errore di fatto essenziale, nè contestando l’esistenza dell’errore, nè contestando l’essenzialità dell’errore per gli acquirenti, confermando, invece, che l’errore era comune. Su queste circostanze doveva ritenersi formato il giudicato interno.

Pertanto, la Corte di Appello non poteva riformare la sentenza per ragioni completamente diverse da quelle dedotte dagli appellanti e per di più su un punto che non era stato oggetto di gravame, e su cui si era consolidato il giudicato.

La sentenza di primo grado, sul punto, non era stata oggetto di censura, e la Corte di Appello non poteva riformarla, disattendendo le argomentazioni del Giudice di primo grado.

In più, la Corte di Appello ha ritenuto non provati i presupposti per l’accoglimento dell’azione di annullamento, in difformità a quanto statuito dal Giudice di primo grado in un punto della sentenza che non era stato oggetto di censura.

Viene formulato il seguente quesito di diritto: “I poteri del Giudice di appello sono delimitati dal contenuto dell’appello, e dai punti della sentenza oggetto di specifica censura. Il Giudice di appello può riformare la sentenza anche per ragioni diverse da quelle dedotte dalle parti; tale principio, tuttavia, non è applicabile quando la questione sia stata specificamente trattata dal Giudice di primo grado, e il punto della sentenza non abbia formato oggetto di impugnazione. In tal caso i poteri del Giudice di appello devono ritenersi limitati dal giudicato interno, e dall’effetto devolutivo dell’appello (tantum devolutum, quantum appellatum). Il Giudice di appello non può ritenere non provati fatti accertati nella sentenza impugnata, quando tale accertamento non sia stato oggetto di contestazione con i motivi di appello”.

1.4 Col quarto motivo si deduce: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1428 e 1431 c.c.”. E proposto in subordine rispetto al terzo motivo, nel caso del suo mancato accoglimento.

La Corte di Appello ha accolto l’impugnazione, argomentando che gli attori non avevano provato la “riconoscibilità” dell’errore.

Tuttavia il requisito della riconoscibilità dell’errore non è necessario, quando l’errore sia comune ad entrambe le parti.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., viene formulato il seguente quesito di diritto:

“Nell’azione di annullamento del contratto per errore essenziale il requisito della riconoscibilità dell’errore non è necessario nell’ipotesi di errore comune ad entrambe le parti”.

1.5 Col quinto motivo si deduce: “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1427, 1428, 1429 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c.”. E’ proposto in subordine rispetto al terzo motivo, nel caso del suo mancato accoglimento.

La Corte di Appello ha negato che gli appellanti abbiano provato l’errore essenziale, in quanto “qualità essenziale della res tradita non era la sua conformità al progetto licenziato, ma la sua idoneità ad assolvere la funzione abitativa per la quale veniva acquistata e tale qualità sussisteva. Non hanno invece provato che era per essi determinante la regolarità amministrativa”.

Nel caso di specie, non si tratta di piccole difformità che non fanno venir meno le possibilità di godimento dell’immobile a fini abitativi, ma ci si trova in presenza di un immobile realizzato in maniera completamente abusiva, tanto da dover essere demolito.

La mancanza della qualità essenziale è in re ipsa, discende dalla circostanza che si è dovuto procedere all’abbattimento dell’immobile.

Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., viene formulato il seguente quesito di diritto: “Qualora venga chiesto l’annullamento per errore essenziale di un contratto di compravendita di un appartamento destinato a civile abitazione, deve ritenersi in re ipsa la prova di un errore essenziale qualora venga dimostrato che l’appartamento sia stato realizzato abusivamente, tanto da essere oggetto di una ordinanza di demolizione”.

1.6 Col sesto motivo viene dedotto il vizio di “omessa pronuncia”.

La Corte di Appello ha ritenuto che gli attori avrebbero potuto e dovuto proporre azione di risoluzione contrattuale, potendosi ravvisare la vendita di un aliud pro alio, non avvedendosi che gli attori, in via subordinata, avevano proposto anche tale domanda. La Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi.

2. Il ricorso è fondato e va accolto quanto ai primi due assorbenti motivi.

La questione delle conseguenze dell’alienazione di immobili affetti da irregolarità urbanistiche, non sanate o non sanabili, è stata finora risolta nella giurisprudenza di questa Corte sul piano dell’inadempimento. Ad esempio, la sentenza 22 novembre 2012 n. 20714 ha affermato che, in tema di vendita di immobili, il disposto della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 40, consentendo la stipulazione, ove risultino presentata l’istanza di condono edilizio e pagate le prime due rate di oblazione, esige che la domanda in sanatoria abbia i requisiti minimi per essere presa in esame dalla P.A. con probabilità di accoglimento. In tal caso occorre l’indicazione precisa della consistenza degli abusi sanabili, presupposto di determinazione della somma dovuta a titolo di oblazione, nonchè la congruità dei relativi versamenti, in difetto delle quali il promittente venditore è inadempiente e il preliminare di vendita può essere risolto per sua colpa.

Nello stesso ordine di idee la sentenza 19 dicembre 2006 n. 27129 ha affermato che in caso di preliminare di vendita di immobile costituisce inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare il recesso dal contratto del promittente acquirente e la restituzione del doppio della caparra versata, il comportamento del promittente alienante che prometta in vendita un immobile abusivo per il quale non esiste alcuna possibilità di regolarizzazione.

Ancora più esplicitamente la sentenza 24 marzo 2004 n. 5898 ha affermato che il difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico non rileva di per se ai fini della validità dell’atto di trasferimento, trovando rimedio nella disciplina dell’inadempimento contrattuale.

In tale ottica è stata esclusa la nullità dei contratti aventi ad oggetto immobili, nel caso in cui le dichiarazioni previste dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 o 40, esistano ma non siano conforme al vero.

La recentissima sentenza 5 luglio 2013 n. 16876, pur ritenendo interessante la tesi della c.d. nullità sostanziale, ha affermato che i canoni normativi dell’interpretazione della legge non consentono di attribuire al testo normativo un significato che prescinda o superi le espressioni formali in cui si articola e non può non essere considerato il fatto che i casi di nullità previsti dalla norma indicata sono tassativi e non estensibili per analogia e la nullità prevista dall’art. 40 in discorso è costituita unicamente dalla mancata indicazione degli estremi della licenza edilizia, ovvero dell’inizio della costruzione prima del 1967.

In precedenza la sentenza 7 dicembre 2005 n. 26970 (che cita come conforme la sentenza 24 marzo 2004 n. 5898, che peraltro si è occupata della nullità prevista dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15, comma 7) ha affermato che la nullità prevista dagli artt. 17 e 40, cit., assolve la sua funzione di tutela dell’affidamento sanzionando specificamente la sola violazione di un obbligo formale, imposto al venditore al fine di porre l’acquirente di un immobile in condizione di conoscere le condizioni del bene acquistato e di effettuare gli accertamenti sulla regolarità del bene attraverso il confronto tra la sua consistenza reale e quella risultante dalla concessione edilizia ovvero dalla domanda di concessione in sanatoria. Alla rigidità della previsione consegue che, come non può essere attribuita alcuna efficacia sanante all’esistenza della concessione o sanatoria che non siano state dichiarate nel contratto di compravendita di un immobile, così, in presenza della dichiarazione, nessuna invalidità deriva al contratto dalla concreta difformità della realizzazione edilizia dalla concessione o dalla sanatoria e, in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche.

Non è ben chiaro il pensiero della sentenza 18 settembre 2009 n. 20258, che, dopo avere espressamente affermato che nessuna invalidità deriva al contratto dalla difformità della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione, e in generale, dal difetto di regolarità sostanziale del bene sotto il profilo del rispetto delle norme urbanistiche, ha poi aggiunto che la nullità assoluta ai sensi dell’art. 1418 c.c., stabilita dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, riguarda gli atti di trasferimento immobiliari relativi a costruzioni risultanti non in regola con la normativa edilizia per mancanza della concessione edilizia ovvero della concessione in sanatoria e mira ad attrarre nella comminatoria di nullità (o, trattandosi di giudizio volto ad ottenere una sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c., nell’impedimento alla pronuncia sostitutiva del negozio non concluso) i casi riguardanti immobili costruiti in maniera così diversa dalla previsione contenuta nella licenza o nella concessione da non potere essere ricondotti alla stessa.

Ugualmente non è ben chiaro il pensiero della sentenza 5 aprile 2001 n. 5068, la quale, dopo avere premesso che l’art. 40, cit., non impone anche la verifica della conformità delle opere realizzate al progetto approvato dalla p.a., poichè il precetto e la relativa sanzione sono stati previsti esclusivamente per l’ipotesi della mancata indicazione della concessione edilizia, aggiunge che la norma in esame vuoi evitare l’ipotesi, agevolmente accettabile anche in sede di stipula, di negoziazione di beni immobili realizzati senza concessione edilizia; per l’altra ipotesi, accertabile solo a seguito di verifiche dei competenti organi tecnici della p.a., l’ordinamento non resta indifferente, reagendo con sanzioni di diversa natura e solo quando, essendo stata accertata già la difformità, nell’atto concernente il bene realizzato in difformità non siano stati indicati ai sensi dello stesso art. 40, comma 2, gli estremi della concessione in sanatoria, anche con la sanzione di nullità. Lo stesso può dirsi per la sentenza 15 giugno 2000 n. 8147, per la quale l’indicazione degli estremi della concessione sarebbe preclusa nel caso in cui tale concessione manchi: per tale via l’irregolarità dell’immobile, finisce per riflettersi sulla validità del negozio giuridico che lo riguarda. In definitiva l’irregolarità del bene non rileva di per sè, ma solo in quanto preclude la conferma dell’atto.

Si può, infatti, osservare che, da un lato, l’irregolarità urbanistica del bene non impedisce che nell’atto di alienazione ne venga attestata, contrariamente al vero, la regolarità, e che, dall’altro, nell’ottica della nullità formale, la irregolarità urbanistica del bene non impedisce la conferma dell’atto nullo per la mancata indicazione degli estremi della concessione attraverso la successiva loro falsa indicazione.

Riesaminata la questione, ritiene il collegio che tali contratti siano da considerare nulli.

Tale conclusione appare giustificata da considerazioni sia logiche che basate sulla stessa formulazione dell’art. 40, della legge citata.

Sotto il primo profilo occorre considerare che se lo scopo perseguito dal legislatore era quello di rendere incommerciabili gli immobili non in regola dal punto di vista urbanistico, sarebbe del tutto in contrasto con tale finalità la previsione della nullità degli atti di trasferimento di immobili regolari dal punto di vista urbanistico o per i quali è in corso la pratica per la loro regolarizzazione per motivi meramente formali, consentendo, invece, il valido trasferimento di immobili non regolari, lasciando eventualmente alle parti interessate assumere l’iniziativa sul piano dell’inadempimento contrattuale. Addirittura si potrebbe prospettare la possibilità per le parti di eludere consensualmente lo scopo perseguito dal legislatore, stipulando il contratto e poi immediatamente dopo concludendo una transazione con la quale il compratore rinunzi al diritto a far valere l’inadempimento della controparte.

Sempre sotto il primo profilo non si può non considerare che il legislatore, con la L. n. 47 del 1985, ha inteso prevedere un regime più severo di quello previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 15, il quale prevedeva la nullità degli atti giuridici aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, ove da essi non risultasse che l’acquirente era a conoscenza della mancata concessione. Tale inasprimento, invece, sarebbe da escludere ove, per gli atti in questione, all’acquirente dovesse essere riconosciuta la sola tutela prevista per l’inadempimento.

Per quanto riguarda la lettera della legge, poi, la L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 2, stabilisce testualmente che “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali… relativi ad edifici o loro parti sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’art. 31 ovvero se agli stesi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi della avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione”.

La non perfetta formulazione della disposizione in questione consente tuttavia di affermare che dalla stessa è desumibile il principio generale della nullità (di carattere sostanziale) degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica, cui si aggiunte una nullità (di carattere formale) per gli atti di trasferimento di immobili in regola con la normativa urbanistica o per i quali è in corso la regolarizzazione, ove tali circostanze non risultino dagli atti stessi. Significativa appare, poi, la formulazione dell’art. 40, comma 3, cit., in base al quale se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti rispettivamente da indicarsi o da allegarsi (ai sensi del comma precedente) non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulate… essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicata nel comma precedente.

La previsione che la conferma, la quale sottrae alla sanzione della nullità, può operare solo se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti contemplati non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o dall’inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, non avrebbe senso se tali atti fossero ab origine validi, ferma restando la responsabilità per inadempimento del venditore.

Una volta chiarito tale punto, non può non pervenirsi all’affermazione della nullità di un contratto preliminare che abbia ad oggetto la vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico.

Il fatto che l’art. 40, comma 2, cit., faccia riferimento agli atti di trasferimento, cioè agli atti che hanno una efficacia reale immediata, mentre il contratto preliminare di cui si discute abbia efficacia semplicemente obbligatoria non elimina dal punto di vista logico che non può essere valido il contratto preliminare il quale abbia ad oggetto la stipulazione di un contratto nullo per contrarietà alla legge.

3. I motivi da 3 a 6 restano assorbiti.

4. Il ricorso va accolto, il provvedimento impugnato cassato in relazione ai motivi accolti, e la causa va rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito pari ordinato, indicato in dispositivo, che si atterrà al principio di diritto affermato, secondo il quale deve ritenersi nullo, per contrarietà alla legge, il contratto preliminare di vendita di un immobile irregolare dal punto di vista urbanistico. Al giudice del rinvio è anche demandato, ex art. 385 cpc, di pronunziare sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa in relazione e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2013