Prima scadenza locazione commerciale

Cosa accade se, al maturare della “prima scadenza” contrattuale di una locazione commerciale, il locatore ottiene la restituzione dell’immobile, in assenza però delle condizioni in cui la legge gli consente di impedire la rinnovazione automatica del rapporto (prima scadenza locazione commerciale)?

 


Sono molto pesanti le sanzioni, previste dall’art.31 della legge 392/78, a carico del proprietario di un immobile, che abusi della (limitata) facoltà di disdettare il rapporto di locazione in occasione della “prima scadenza”.

Vediamo quando scattano.

Ottenuta in tali circostanze la disponibilità dell’immobile, egli deve infatti celermente attivarsi, al fine di rendere effettive le ragioni da lui espressamente poste a suffragio della disdetta.

A seconda della motivazione a suo tempo indicata, diversa sarà la condotta richiesta al proprietario dell’immobile.

Qualora egli abbia invocato la necessità di adibire l’immobile ad abitazione propria ovvero del coniuge o dei parenti in linea retta entro il secondo grado, il soggetto indicato dovrà andare realmente ad abitare nei locali in questione entro sei mesi dall’avvenuta consegna.

Lo stesso vale se sia stato dichiarato che il rilascio era finalizzato per consentirne ad uno di detti soggetti l’uso non abitativo, e cioè per svolgervi all’interno un’attività di quelle menzionate dall’art.27 della legge 392/78.

Purché realizzi la finalità dedotta a suo tempo dal locatore, l’utilizzazione del bene può anche essere parziale (Cassazione 25 agosto 1997, n.7974). Nella fattispecie, il locatore aveva richiesto ed ottenuto il rilascio di un immobile su due piani, adducendo la necessità di doverlo adibire alla propria attività di rappresentante di commercio. Nei due gradi di merito era stato provato che egli avesse sì effettivamente svolto l’attività di agente di commercio nell’immobile controverso, ma solo al primo piano, essendo invece risultato che quello terreno non era stato adibito a deposito. Verosimilmente, a formare il convincimento dei giudici ha concorso il fatto che nell’immobile, occupato in modo comunque significativo, veniva svolta la parte più rilevante dell’attività commerciale del suo proprietario.

Nell’ipotesi in cui, invece, il locatore si sia richiamato alla volontà di compiere interventi edilizi sull’immobile, egli deve rigorosamente rispettare le date di inizio e fine lavori previste nei relativi provvedimenti amministrativi.

Il tempo si computa dal momento in cui il locatore ha avuto l’effettiva materiale disponibilità dell’immobile (Cassazione, 19 luglio 1990, n.7395), cosa esclusa se al momento del rilascio il conduttore ha lasciato mobili all’interno dei locali (Cassazione, 24 febbraio 1988, n.1941).

Un ritardo, rispetto ai citati tempi fissati dalla legge (rappresentanti una presunzione iuris tantum di responsabilità), non espone a sanzione solo in presenza di una giusta causa, e cioè unicamente per ragioni meritevoli di tutela non riconducibili al comportamento colposo o doloso del locatore, che hanno impedito o ritardato l’utilizzazione dei locali per i fini indicati nella disdetta motivata. Secondo la Cassazione (sentenza 14 dicembre 2004, n.23296), anche mediante presunzioni semplici il locatore può fornire la prova sull’assenza di colpa nella propria condotta omissiva (nella fattispecie quest’ultima è stata giustificata, siccome il locatore non era stato in grado di rispettare i tempi fissati per riattare l’immobile, essendosi dovuto invece dedicare ad assistere un figlio neonato a rischio di crisi respiratorie, fratello di uno in precedenza morto proprio per tale causa). Stupisce addirittura che possa essere insorto una simile controversia. Esenta da responsabilità anche l’aggravamento delle condizioni di salute del locatore (Cassazione, 4 aprile 1991, n.3497).

Se prontamente iniziata, la durata dei lavori di ristrutturazione dell’immobile impedisce il decorso del termine in questione, a condizione che essi abbiano avuto prontamente inizio (salve le citate cause di forza maggiore) e, una volta terminati, l’ex locatore li abbia prontamente adibiti all’uso a suo tempo indicato nella comunicazione di disdetta (Cassazione 9 ottobre 1990, n.9904). Per contro, lo stato di degrado dell’immobile presente al momento del rilascio a seguito di procedimento coattivo, anche se molto consistente, non integra di per sé uno stato di forza maggiore idoneo ad esonerare il locatore all’obbligo di adibire l’immobile all’uso posto a fondamento del diniego di rinnovo (Cassazione, 4 aprile 2003, n.3163). In altre parole: in tale caso, il locatore deve procedere alla ristrutturazione ovvero all’uso dedotto nella disdetta.

Passiamo ad illustrare in cosa consistono le misure cui è passibile il locatore, aventi natura sia risarcitoria che sanzionatoria (Cassazione, 28 ottobre 2004, n.20926), le quali vengono comminate se il conduttore riesce a provare quanto addotto a carico di controparte (Cassazione, 10 marzo 2004, n.4914). Precisiamo che la prova deve consistere in una concreta situazione di fatto, non nelle eventuali mere dichiarazioni del locatore di voler tenere una condotta difforme a quanto dichiarato nella disdetta (Cassazione, 8 gennaio 2005, n.263).

Due le possibili alternative.

La prima. Il conduttore ha diritto a vedere ripristinato il rapporto di locazione illecitamente interrotto nonché ad ottenere il rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri eventualmente sostenuti. Unico limite è che la legge fa comunque salvi i diritti acquisiti da terzi di buona fede, intendendosi solo quelli derivanti da un contratto definitivo – ma non un mero preliminare! – che attribuisca loro diritti di natura reale o di godimento (Cassazione, 22 maggio 2006, n.11941). Pertanto tale sanzione non è applicabile, quando il locatore abbia locato o venduto a terzi l’immobile in precedenza occupato dal conduttore.

La seconda. Al conduttore spetta il risarcimento del danno patito, da liquidarsi in misura non superiore a n.48 mensilità del canone corrisposto prima dell’interruzione del rapporto. L’importo così determinato si aggiunge all’indennità per la perdita dell’avviamento, di cui all’art.34 della legge 392/78, se ne sussitono i presupposti.  Considerato anche il prelievo fiscale cui sono soggetti i redditi da locazione, per il proprietario dell’immobile il risultato è sicuramente quello di vedere vanificato ogni utile ricavato durante tutta la vigenza del rapporto, se non addirittura subire una cospicua perdita.

Oltre ad una delle due sanzioni appena illustrate, a carico del proprietario si aggiunge poi la condanna al pagamento di una somma (il cui ammontare massimo appare oggi modesto, essendo pari a circa 1.000,00 euro) da devolvere al fondo sociale istituito presso il comune nel cui territorio insorge l’immobile controverso.

 

 

In conclusione:

 

Al maturare della “prima scadenza” contrattuale, ottenere illecitamente il rilascio dei locali (non sussistendo cioè le specifiche condizioni cui la legge consente di effettuare la disdetta) comporta per il locatore l’obbligo di ripristinare il rapporto, rimborsare al conduttore le spese di trasloco e degli altri oneri da lui sopportati.

In alternativa, il locatore è tenuto a risarcire i danni al conduttore, liquidabili nella misura massima pari a n.48 mensilità del canone a suo tempo corrisposto, oltre all’indennità per la perdita dell’avviamento di cui all’art.34 della legge 392/1978 (quest’ultima pari a 18 mensilità del canone, aumentate a 21 per le attività alberghiere). In altre parole, il locatore rischia sostanzialmente di perdere quanto incassato per la quasi totalità della durata del rapporto di locazione da lui illecitamente interrotto anzitempo.