Manutenzione ordinaria

Nelle locazioni commerciali, il conduttore è tenuto a pagare le spese di manutenzione ordinaria? In caso affermativo, in quale misura è fatto carico al conduttore di sostenere le spese di manutenzione ordinaria?


 

Una volta che il locatore ha adempiuto all’obbligo di consegnare al conduttore l’immobile in buono stato di manutenzione – che va sicuramente ritenuto adempiuto, se quest’ultimo riconosce l’idoneità dei locali ricevuti, ovvero viene presunto esistente, in mancanza di una descrizione dello stato dei locali (Cassazione, 7 luglio 2005, n.14035, citata al precedente caso 5.11) – si pone la questione di mantenere nel tempo l’immobile in uno stato di manutenzione congruo.

Ciò vale ovviamente sia per i locali locati, sia per l’edificio nel quale questi ultimi sono eventualmente collocati.

Bisogna allora capire quali sono le diverse tipologie degli interventi di manutenzione e chi è tenuto a sostenerne il costo. Per chiarezza, ribadiamo comunque che da tali interventi esulano assolutamente quelli eventualmente necessari per assicurare che il locale sia idoneo all’attività che il conduttore intende svolgervi, come approfondito nelle pagine precedenti (caso 5.11).

Fermo questo, la necessità di distinguere qual’è la natura degli interventi di manutenzione discende dalla presenza di alcune norme.

Innanzitutto, l’art.1575, comma 2, c.c. fa carico al locatore di mantenere il bene locato in stato di servire all’uso convenuto. In applicazione a tale principio, il primo comma del successivo art.1576 specifica però che compete al locatore eseguire tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quella di “piccola” manutenzione, poste invece a carico del conduttore. In base a tale previsione, allora, tutte le riparazioni di ordinaria nonché di straordinaria manutenzione competono al locatore, salvo quelle “piccole”. Specifica infine l’art.1609 c.c. che queste ultime sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso, ma non da vetustà o caso fortuito (Cassazione, 7 luglio 2005, n.14305; 14 marzo 2006, n.5459).

Quando venne sancita (e cioè nel 1942, epoca di adozione del codice civile) tale norma rispondeva ad una corretta logica economica, siccome andava coordinata con la circostanza che i contratti di locazione non avevano una durata minima, essendo all’epoca liberamente determinabile fra le parti. Solo in assenza di pattuizione interveniva l’art.1574 c.c., il quale la fissava in un anno, periodo solitamente preso come riferimento anche dalla prassi contrattuale. Durante tale arco temporale, era in effetti ragionevole pensare che al conduttore spettasse solo la “piccola” manutenzione, siccome bisognava assumere come presupposto sia che all’inizio del rapporto il locatore avesse consegnato l’immobile in buone condizioni, sia che nel corso di un anno non vi fosse un usura tale da rendere necessari altri tipi di interventi. Per contro, qualora ciò invece accadesse, è vero che competeva al locatore farsene carico, ma ciò veniva controbilanciato dalla circostanza che – a poca distanza temporale – era eventualmente rinegoziabile il canone di locazione, sì da tenere contro degli esborsi subiti, specie qualora tali interventi avessero sensibilmente migliorato la qualità dell’immobile (ad esempio, mediante una ristrutturazione estetica alla facciata esterna ed alle scale interne ovvero l’installazione di un ascensore).

Se ci si limitasse a ciò, a ben vedere non avrebbe nemmeno senso distinguere tra ordinaria e straordinaria manutenzione, essendo semplicemente sufficiente capire quanto un intervento sia “piccolo”.

Tale equilibrio venne però pregiudicato dalla prassi legislativa (su cui al caso 1.7) di prorogare automaticamente la durata dei contratti di locazione, cosa che sfociò poi nella legge 392/78, dove quelli ad uso abitativo ebbero fissata una durata minima inderogabile di 4 anni (insieme alla previsione altrettanto inderogabile del “canone equo”) e quelli ad uso diverso da abitazione nella citata formula dei  “6+6” anni (caso 5.2).

Imponendo tali condizioni a detrimento del locatore, la legge 392/78 volle fare un intervento – in realtà di mera forma, ma di ben poca sostanza economica – sulle modalità di ripartizione delle spese di manutenzione, onde rispondere alla critica di avere anche modificato sensibilmente (come in realtà è stato) l’equilibrio economico sottostante alla previsione del citato art.1574 c.c.

Pertanto la legge 392/78 intervenne anche in materia, fissando all’art.23 alcuni criteri di rimborso – alquanto arzigogolati – per le spese di “straordinaria” manutenzione, che rimettono in gioco il conduttore.

Per evitare di addentrarsi troppo nel ginepraio delle distinzioni tra le varie categorie di interventi manutentivi, soccorre tuttavia un fondamentale elemento. Secondo la Cassazione, nessuna delle norme in precedenza citate è di ordine pubblico per le locazioni ad uso diverso da abitazione (come, invece, era per le locazioni abitative soggette al “canone equo”): pertanto le parti possono derogare ai criteri individuati dalla legge.

Così la sentenza 30 aprile 2005, n.9019 (resa con riferimento ad un contratto contenete la seguente clausola: “Tutte le riparazioni di cui agli art. 1576 e 1609 del Codice Civile sono a carico del conduttore che dovrà provvedervi tempestivamente”):

 

“Va infatti ribadito che con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, la pattuizione che, in deroga a quanto disposto dagli artt.1576 e 1609 cod. civ., impone al conduttore l’obbligo sia della manutenzione ordinaria che di quella straordinaria non incorre nella sanzione di nullità stabilita dall’art.79, primo comma, della legge n.392 del 1978 (si consideri che la disciplina delle suddette locazioni non ha mai contemplato anche l’art. 23 di tale legge in tema di riparazioni straordinarie –norma poi abrogata dall’art.14 comma 4, della legge 9.12.1998 n.431 (per le locazioni abitative a canone libero: n.d.r.) – né la predeterminazione legale di limiti massimi del canone, suscettibili di superamento in caso di attribuzione convenzionale dell’onere; cfr. Cass. n.1303 del 15/03/1989).

Poiché l’argomentazione in diritto del Tribunale in ordine alla liceità del tipo predetto di clausola sembra costituire parte integrante di una più ampia tesi (in ordine ai diritti e doveri delle parti di contratti come quello in questione) secondo cui il locatore non solo non può stipulare clausole in deroga agli articoli predetti, ma deve inoltre assicurare il mantenimento dell’immobile in condizioni di “…idoneità, rispetto agli standard medi, per lo svolgimento di attività lavorative di tipo artigianale …” negando quindi rilevanza allo stato dell’immobile al momento della stipulazione del contratto, ed all’eventualità che il conduttore abbia, al momento della stipula del contratto conosciuto ed accettato la cosa locata nello stato in cui si trovava, appare opportuno, per chiarezza e completezza della presente decisione osservare che anche tale tesi complessiva non può ritenersi corretta e ribadire che:

-A) stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato ad un determinato uso non abitativo, grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività’ ripromessasi (cfr. ad es. il principio di diritto indirettamente riaffermato nella parte iniziale della seguente massima: “Il principio secondo il quale, stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato ad un determinato uso (nella specie, commerciale), grava sul conduttore l’onere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente necessario per lo svolgimento dell’attività ripromessasi, ed altresì adeguate a quanto necessario per ottenere le necessarie autorizzazioni amministrative, non osta a che le parti possano dedurre in condizione, (ovvero convenire come espressa obbligazione del locatore) tanto la effettiva possibilità di apportare all’immobile le necessarie modificazioni per poter svolgere l’attività prevista, quanto il fatto che esso presenti (o sia in potenziale condizione) di acquisire le pertinenti condizioni giuridiche funzionali al rilascio delle necessarie autorizzazioni amministrative.”; Cass. n.3441 del 08/03/2002;

-B) l’obbligazione di cui all’art.1575 n.2 cod. civ., che impone al locatore di intervenire e provvedere tempestivamente alle riparazioni necessarie per mantenere la cosa in stato da servire all’uso convenuto, pur essendo distinta dalla garanzia per vizi della cosa locata di cui all’art. 1578 cod. civ., tuttavia non sussiste per i vizi dei quali il conduttore era a conoscenza al momento della stipula del contratto, e cioè qualora quest’ultimo abbia accettato consapevolmente la cosa nello stato in cui si trovava, a meno che il locatore non abbia assunto uno specifico impegno contrattuale in tal senso (cfr. tra le altre Cass. n.5786 del 22/11/1985)”.

 

Nello stesso senso anche la precedente decisione del 15 marzo 1989, n.1303 (resa quando ancora vigeva il “canone equo” per le locazioni abitative), dove emerge la fondamentale importanza del sinnalagma contrattuale, già ampiamente evidenziata nei casi precedenti (da 5.8 a 5.11):

 

“Anzitutto, l’accollo a carico del conduttore di alcune opere manutentive che in mancanza del patto derogatorio al principio di cui all’art.1576 e 1609 cod. civ., avrebbero dovuto gravare sul locatore, non urta contro il divieto di cui all’art.79 della legge n° 392 del 1978, sia perché il disposto di cui all’art. 23 (in tema di riparazioni straordinarie) non è stato chiamato a disciplinare altresì il regime delle locazioni ad uso non abitativo (cfr. art.41); sia perché detto regime non è caratterizzato dalla predeterminazione ex lege di limiti massimi di canone (passibili di superamento in caso di distribuzione pattizia del peso economico richiesto da opere manutentive).

In secondo luogo è di tutta evidenza che l’esonero del locatore dall’obbligo di assicurare la efficienza degli impianti siti nell’immobile locato, quale patto coevo alla stipulazione del contratto ed alla determinazione della misura del canone, fu previsto e voluto in funzione di elemento costitutivo dell’equilibrio economico del sinallagma, secondo rispettivi calcoli di convenienza complessiva, muovendo dai quali i contraenti giunsero all’accordo. Equilibrio che non può essere, a posteriori, alterato e rimesso in discussione.

In terzo luogo, essendo oggetto del contratto di locazione un immobile e non una azienda, sembra del tutto normale che le parti si accordassero nel senso di addossare sul conduttore le spese di riparazione o sostituzione di impianti soggetti ad usura più o, meno rapida (in dipendenza della loro utilizzazione più o meno intensa e quindi più o meno lucrosa per il conduttore stesso), e per altro verso non indispensabili per l’uso dell’immobile come autorimessa”.

 

Ergo, visto l’ampio spazio di libertà lasciato alle parti, è decisamente opportuno che esse lo utilizzino, regolamentando attentamente la situazione, con la sola avvertenza di curare che la disciplina pattizia predisposta sia giustificabile alla luce del sinallagma contrattuale. In altre più semplici parole: le modalità contrattuali di ripartizione delle spese di manutenzione devono essere ragionevoli sotto l’aspetto economico nell’ottica complessiva dell’accordo raggiunto dalle parti.

In assenza di specifiche intese ovvero quando anche quest’ultime distinguono tra “ordinaria” (concetto non espressamente menzionato dalle norme di legge sulla locazione) e “straordinaria” manutenzione, prevedendo modalità differenti per la ripartizione delle relative spese, è invece necessario capire quale sia la natura delle differenti tipologie di interventi manutentivi.

Per individuare quelle di natura “straordinaria”, la Cassazione si è infine orientata non nel senso di valutare gli interventi sotto il profilo della tecnica edilizia ovvero distinguendoli in base alla tipologia delle autorizzazioni amministrative eventualmente necessarie (cosa, quest’ultima, ora anche piuttosto difficile, visto l’ampio spazio ormai occupato dalla DIA, la dichiarazione di inizio attività), ma – molto più semplicemente – sotto il profilo del loro costo economico. Nella sentenza 9 ottobre 1996, n.8814, è stato riconosciuto:

 

“Ai fini di una esatta determinazione della portata dell’art.23, legge n. 392 del 1978 si rileva che tale norma non recepisce la tradizionale distinzione fra opere di ordinaria e di straordinaria manutenzione, ma individua la categoria delle riparazioni straordinarie, Esse sono connotate dalla importanza, improrogabilità, e dal fine di conservare all’immobile la sua destinazione, ad evitare maggiori danni che ne compromettano l’efficienza, in relazione all’uso cui adibito. Al fine di comunque evitare il degrado edilizio, sono così assunte come opere di riparazione straordinaria, anche quelle rientranti nella categoria delle opere di manutenzione di notevole entità.

Non appare così utilizzabile nella sua interezza la distinzione accolta in altri istituti fra manutenzione ordinaria e straordinaria, attesa le espressa indicazione, della tipologia delle riparazioni straordinarie assunte dall’art.23, legge n.392 del 1978, come elemento giustificatore di contributo a carico del conduttore.

Tenuto così conto che l’art.1575 c.c. pone come obbligazione principale del locatore, quella di mantenere la cosa locata in buono stato di manutenzione, mentre solo quelle di piccola manutenzione sono a carico del conduttore, la straordinarietà della riparazione appare caratterizzate dalla natura particolarmente onerosa per il proprietario dagli interventi manutentivi che consistono nella sostituzione o nel ripristino di parti essenziali alla struttura dell’edificio ed al mantenimento del suo decoro architettonico, opere il cui costo risulta incidere in modo non normale sul reddito fondiario”.

 

Così individuate sotto il profilo economico le riparazioni di “straordinaria” manutenzione (di cui all’art.23 della legge 392/78), si comprende come quelle di natura “ordinaria” rappresentano una categoria compressa tra le prime e quelle di “piccola” entità (di cui agli artt.1576 e 1609 c.c.).

In conclusione. Circa la questione delle spese di manutenzione, vale in sostanza la medesima disciplina sia per le locazioni ad uso diverso da abitazione che per quelle ad uso abitativo a canone libero.

Nella prassi contrattuale, si segue spesso una soluzione che non consiste nel ribaltare tutte le spese di manutenzione a carico del conduttore, prescindendo dalla loro natura. Per contro, si tende ad introdurre un duplice regime: le spese “straordinarie” vengono attribuite al locatore, chiamando però il conduttore ad un concorso (come si spiegherà al successivo caso 5.13); le spese “ordinarie”, anche se non qualificabili come “piccole” perché di misura superiore a tale limite, sono invece ribaltate sul conduttore, indipendentemente dalla causa che le ha provocate. In alternativa, le spese “ordinarie” vengono ripartite fra locare e conduttore sulla base di una dettagliata previsione (rappresentata da un allegato al contratto di locazione) che esamina ad uno ad uno la maggior parte degli interventi di “ordinaria” manutenzione, individuando per ciascuno di essi la percentuale di concorso cui ciascuna delle parti è tenuta a sostenere. Questa seconda alternativa presuppone solitamente il rinvio a protocolli d’intesa tra alcune associazioni di proprietari ed inquilini, di cui è comunque bene valutare di volta in volta se il contenuto si addice al tipo di immobile dato in locazione (come potrebbe non essere quando l’oggetto del rapporto è un capannone industriale, essendo detti protocolli soprattutto pensati per le spese di manutenzione degli alloggi).

 

 

In conclusione:

 

Le parti sono libere di disciplinare la ripartizione del costo per gli interventi di manutenzione nel modo ritenuto più opportuno, fermo restando che la disciplina adottata trovi giustificazione nel sinallagma contrattuale.

Nella prassi contrattuale, soprattutto per gli alloggi, è usuale l’adozione di criteri di ripartizione differenziati, tendendosi a distinguere tra spese di “straordinaria” o di “ordinaria” manutenzione.

In assenza di qualsiasi tipo di pattuizione, invece, le spese di manutenzione vengono tutte indistintamente ripartite applicando esclusivamente i criteri fissati dai citati art.1576, comma 2, e 1609 c.c., i quali fanno obbligo al conduttore di rimborsare solo ed esclusivamente quelle per interventi di “piccola” manutenzione, purché  non riconducibili a vetustà o caso fortuito.

 

 

 

Clausola contrattuale:

 

Il conduttore dichiara che i locali locati sono tutti in buono stato di conservazione. Tutte le riparazioni di cui agli art.1576 e 1609 del Codice Civile – siano esse di ordinaria oppure straordinaria manutenzione – riguardanti sia i locali locati, sia l’edificio ove essi si trovano, sono interamente a carico del conduttore, che dovrà provvedervi tempestivamente”).

 

 

ovvero (clausola da abbinarsi ad una di quelle indicate nel successivo caso 5.13)

 

“Il conduttore dichiara che i locali locati sono tutti in buono stato di conservazione. Fatta eccezione per quanto diversamente stabilito nel presente contratto, le riparazioni locative, designate dagli artt.1576 e 1609 c.c., ed ogni altra riguardante sia i locali locati, sia l’edificio ove essi si trovano, sia gli impianti di pertinenza dell’unità immobiliare locata – quali, in via esemplificativa, quelli elettrici (suonerie, fili, citofoni, etcc..), idraulici (rubinetti, vasche, lavandini, sifoni, boiler, etcc..), di riscaldamento (termosifoni, valvole, caldaiette, etcc..), serramenti, tapparelle (comprese cinghie, rulli, cardini, vetri, etcc..) – sono tutte, nessuna esclusa, esclusivamente a carico del conduttore anche se cagionate da vetustà, forza maggiore o da qualsiasi altro accidente straordinario. Qualora il conduttore non provveda tempestivamente ad eseguirle, sarà facoltà del locatore farle effettuare addebitandone il costo al conduttore che dovrà rimborsarlo entro trenta giorni dalla esecuzione della riparazione”.

 

 

ovvero (clausola da abbinarsi ad una di quelle indicate nel successivo caso 5.13)

 

“Il conduttore dichiara che i locali locati sono tutti in buono stato di conservazione. Fatta eccezione per quanto diversamente stabilito nel presente contratto, le spese per le riparazioni locative, designate dagli artt.1576 e 1609 c.c., verranno ripartite fra le parti in base ai criteri indicati nell’allegato al presente contratto (*), che ne costituisce parte integrante”

 

(*) allegare il protocollo sulla ripartizione delle spese di manutenzione firmandolo.