Secondo la Cassazione, cessa totalmente e definitivamente il diritto all’assegno di mantenimento del coniuge separato, quando quest’ultimo da vita ad una nuova famiglia di fatto.
Corte di Cassazione, ordinanza 29/9/2016, n. 19345
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
P.R., elettivamente domiciliata in Roma, via dei Sette Metri 13/a, presso lo studio dell’avv. L.U. Alessandro Persia, rappresentata e difesa dall’avv. Gabriele Catarinacci, per procura a margine del ricorso che dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo alla p.e.c. avv. (OMISSIS) e al fax n. (OMISSIS);
– ricorrente –
nei confronti di:
D.P.S., elettivamente domiciliato in Roma, viale Isacco Newton 6, presso lo studio dell’avv. Massimo Rosati, rappresentato e difeso, per delega a margine del controricorso, dall’avv. Alessandro Ambrifi che indica per le comunicazioni relative al processo il la p.e.c. (OMISSIS) e il fax n. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6365/13 della Corte di appello di Roma, emessa il 30 ottobre 2013 e depositata il 26 novembre 2013, n. R.G. 6822/2011.
Rilevato che in data 2 maggio 2016 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c., che qui si riporta.
Rilevato che:
1. Il Tribunale di Latina, con sentenza del 13 settembre 2011, ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da P.R. e D.P.S., ha disposto l’affido condiviso del figlio minore A., nato nel (OMISSIS), prevedendo la sua residenza presso il padre che ha onerato del mantenimento, ha regolamentato il diritto di visita della madre e respinto la sua domanda di assegno divorzile.
2. Avverso la sentenza del Tribunale, ha proposto appello P.R. rivendicando il suo diritto all’assegno divorzile. La Corte d’Appello ha confermato la sentenza impugnata ritenendo insussistenti i presupposti per procedere al riconoscimento dell’assegno di divorzio in quanto, così come accertato nel giudizio di primo grado, la P. aveva instaurato un rapporto di convivenza more uxorio con un altro uomo e non aveva dato prova dell’allegata cessazione della relazione.
3. Ricorre per cassazione la signora P. con tre motivi di impugnazione:
a) Nullità della sentenza per vizio di extra petizione a cagione di difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonchè per violazione de/ giudicato interno formatosi, nell’assenza di impugnazione, sull’astratta spettanza dell’assegno divorzile – violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2, nonchè art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 e all’art. 360 c.p.c., n. 3.
b) Violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5,m in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, – nullità della sentenza per omessa pronuncia sui motivi di cui ai nn. 2/b e 3 dell’atto di appello in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè all’art. 112 c.p.c..
c) Violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, – omesso esame circa la sussistenza di una “famiglia di fatto”, fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., con riguardo all’art. 2700 c.c. e alla L. n. 1228 del 1954, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per aver denegato qualsiasi dignità di prova alle dichiarazioni della ricorrente e alle prove documentate dotate di fede pubblica relativa alla sussistenza di mera convivenza (more uxorio) nonchè della cessazione della convivenza; dimostrative dell’assenza di contributo della convivente, dell’indisponibilità di mezzi adeguati e dell’indigenza della ricorrente.
4. D.P.S. si difende con controricorso.
Ritenuto che:
5. Il ricorso deve considerarsi infondato alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. sezione 1^ n. 6855 del 3 aprile 2015 e sez. 6^ – 1 n. 2466 dell’a febbraio 2016) secondo cui l’instaurazione di una nuova famiglia, ancorchè di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale fa venire meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, cosicchè il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ex art. 2 Cost., come formazione stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post – matrimoniale con l’altro coniuge, il quale deve considerarsi ormai definitivamente esonerato dall’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile.
6. Sussistono pertanto i presupposti per la discussione del ricorso in camera di consiglio e se la Corte condividerà la presente relazione per la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
La Corte, letta la memoria difensiva della ricorrente, condivide la relazione sopra riportata e rileva inoltre, quanto al primo motivo di ricorso, che è da escludersi qualsiasi interesse all’impugnazione da parte di D.P.S. della sentenza di primo grado, mentre, quanto al terzo motivo, che il ricorso consiste in una contestazione della valutazione, compiuta dalla Corte di appello, del materiale probatorio, secondo un criterio logico e coerente quale l’attribuzione alla prolungata convivenza della P., e del figlio A. con il suo nuovo compagno del carattere di una nuova famiglia di fatto, valutazione questa che deve ritenersi prettamente di merito e incensurabile nel presente giudizio ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
ritenuto pertanto che il ricorso debba essere respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 3.200 Euro di cui 100 Euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dell’art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2016