Durata locazioni commerciali

Si è liberi di stabilire qualsiasi durata al contratto di locazione commerciale (e cioè uso diverso da abitazione)? Ovvero la durata locazioni commerciali è imposta dalla legge?


Circa la durata locazioni commerciali, l’unico spazio per l’autonomia contrattuale è fissare una durata maggiore rispetto a quella minima fissata dalla legge.

In effetti, le norme in materia (e cioè l’art.27 della legge 392/1978) sono di ordine pubblico e, come tali, inderogabili. Ciò significa che, qualora le parti pattuiscano una durata più breve rispetto a quella legale e poi insorga contenzioso, il giudice adito considererà nulla tale pattuizione e – visto il combinato dell’art.79, comma 1, della legge 392/1978 letto unitamente agli art.1339 e 1419 comma 2, c.c. – assoggetterà necessariamente il rapporto alla durata minima voluta dal legislatore.

            Invece, una durata maggiore rispetto a quella minima è liberamente pattuibile, ammesso che vi sia interesse economico a farlo, fermo solo il divieto di indicare periodi superiori a trenta anni sancito dall’art.1573 c.c. (Cassazione, 26 aprile 2004, n.7927; 31 gennaio 2006, n.2137).


Eccco quanto sancisce la legge (art.27 citato):

Durata della locazione.
La durata delle locazioni e sublocazioni di immobili urbani non può essere inferiore a sei anni se gli immobili sono adibiti ad una delle attività appresso indicate industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico, quali agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno ed altri organismi di promozione turistica e simili (1).
La disposizione di cui al comma precedente si applica anche ai contratti relativi ad immobili adibiti all’esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.
La durata della locazione non può essere inferiore a nove anni se l’immobile urbano, anche se ammobiliato, è adibito ad attività alberghiere, all’esercizio di imprese assimilate ai sensi dell’articolo 1786 del codice civile o all’esercizio di attività teatrali (2).
Se è convenuta una durata inferiore o non è convenuta alcuna durata, la locazione si intende pattuita per la durata rispettivamente prevista nei commi precedenti.
Il contratto di locazione può essere stipulato per un periodo più breve qualora l’attività esercitata o da esercitare nell’immobile abbia, per sua natura, carattere transitorio.
Se la locazione ha carattere stagionale, il locatore è obbligato a locare l’immobile, per la medesima stagione dell’anno successivo, allo stesso conduttore che gliene abbia fatta richiesta con lettera raccomandata prima della scadenza del contratto. L’obbligo del locatore ha la durata massima di sei anni consecutivi o di nove se si tratta di utilizzazione alberghiera.
È in facoltà delle parti consentire contrattualmente che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto dandone avviso al locatore, mediante lettera raccomandata, almeno sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione.
Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata (3).

(1) Comma così sostituito dal comma 1 dell’art. 52 dell’allegato 1, D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79.

(2) Comma prima modificato dal comma 1 dell’art. 7, L. 8 febbraio 2007, n. 9 e poi così sostituito dal comma 2 dell’art. 52 dell’allegato 1, D.Lgs. 23 maggio 2011, n. 79. Vedi, anche, il comma 2 del citato articolo 7, L. n. 9/2007.

(3) Si veda anche il comma 9bis dell’art. 4, D.L. 12 ottobre 2000, n. 279, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione.


            Analizziamo allora in cosa consiste la durata minima.

         Essa differisce a seconda del tipo di attività svolta dal conduttore nell’immobile locato per fini diversi da abitazione.

a) Durata minima pari a sei anni.

            In via generale, la durata minima è di sei anni, applicabili quando l’immobile (anche se area urbana non edificata: Cassazione,5 marzo 1986, n.1418) viene adibito a:

  • attività di tipo industriale, commerciale e artigianale (art.27, comma 1, n.1, legge 392/78, nel quale rientrano anche immobili locati da coltivatori diretti per esigenze che rientrano funzionalmente nell’economia dell’impresa agricola: Cassazione, 29 aprile 1983, n.2972);
  • esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo (art.27, comma 2, legge 392/78);
  • attività di interesse turistico di cui all’art.2 della legge 12 marzo 1968, n.326 (art.27, comma 1, n.2, legge 3927/8, su cui infra).
  • attività ricreative, assistenziali, culturali (eccettuate quelle teatrali), scolastiche, sede di partiti e sindacati (art.42, comma 1, legge 392/78, applicabile anche ai consolati, secondo Cassazione, 19 novembre 1990, n.11168);
  • qualsiasi uso, se il conduttore è lo Stato o altro ente pubblico territoriale (art.42, comma 1, legge 392/78).

b) Durata minima pari a nove anni.

 

            Per contro, la durata minima è di nove anni, innanzitutto qualora l’immobile venga adibito ad attività alberghiera, e ciò anche quando esso è locato ammobiliato (art.27, comma 3, legge 392/78).

Secondo la Cassazione (sentenza del 30 aprile 2005. n.9022), però, tale maggior periodo non vale nell’ipotesi in cui si tratta di albergo diurno.

Distinguere la locazione ad uso alberghiero, concernente un immobile interamente ammobiliato ed attrezzato a tal fine, rispetto all’affitto di un’azienda alberghiera, ha posto alcune difficoltà di interpretazione, siccome il regime giuridico differisce sensibilmente, essendo solo la prima ipotesi soggetta alla disciplina della legge 392/78.

Soccorre in proposito un’apposita norma di legge (l’art.1, comma nono “septies” del decreto legge 7 febbraio 1985, n.12, convertito nella legge 5 aprile 1985, n.118), il quale – mediante una presunzione “iuris et de iure” – configura come locazione il rapporto in cui la prima destinazione dell’immobile ad attività alberghiera coincide con l’inizio dell’attività svolta dal conduttore. Di conseguenza, la Suprema Corte concorda nel ritenere che si ha locazione solamente nel caso di concessione di un immobile che, pur essendo attrezzato ad uso alberghiero, non risulta ancora effettivamente gestito dal concedente (sentenze del 25 giugno 1993, n.7066; 10 ottobre 1997, n.9871; 19 dicembre 2005, n.27934).

Situazione analoga viene ravvisata nell’ipotesi in cui l’attività alberghiera è stata sì iniziata in precedenza dal locatore/concedente, ma essa si è poi completamente dissolta, con la dispersione di tutti i suoi elementi costituitivi e, in primo luogo, dell’avviamento. In siffatta ipotesi, prevale la circostanza che l’attività alberghiera viene in realtà ricostruita ex novo dal conduttore nel medesimo immobile, cui va così ascritto il merito di creare in sostanza una diversa azienda (Cassazione, 29 settembre 1999, n.10767; 20 aprile 2004, n.7489).

Per contro, in differenti condizioni la citata presunzione non opera, per cui resta il problema di come distinguere la locazione commerciale con pertinenze (e cioè l’arredo) rispetto all’affitto d’azienda.

Un primo criterio è rinvenibile nella pronuncia resa dalla Cassazione l’11 gennaio 2001, n.330:

“Secondo il costante indirizzo interpretativo di questo giudice di legittimità (ex plurimis: Cass. 15.11.1990 n.11019; Cass. 29.1.1991 n.889; Cass. 10.6.1987 n.5068) ricorre la fattispecie della locazione di immobile quando esso sia stato concesso in godimento nella specifica considerazione della sua effettiva consistenza, con funzione prevalente rispetto ad altri beni, che abbiano carattere accessorio e non siano collegati da un vincolo unitario a finalità produttive; sussiste, invece, affitto di azienda quando l’immobile viene in considerazione non nella sua individualità giuridica, ma come uno dei beni che costituiscono il complesso aziendale, in un rapporto di complementarietà e di interdipendenza con gli altri elementi organizzati dall’imprenditore per un fine produttivo.

… omissis …

La norma dell’art. 1, n.9 septies del d.l. 7.2.1985, n.12, convertito con modificazioni dalla legge 5.4.1985, n.118, non coinvolta dalla dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sentenza n.108 del 23.4.1986 della Corte costituzionale, equipara “in toto” alla locazione imprenditoriale il contratto di affitto di azienda alberghiera in tutti i casi in cui la relativa attività sia stata iniziata dal soggetto cui è stato concesso in godimento un complesso immobiliare, compiutamente attrezzato ed organizzato nonché potenzialmente idoneo alle esercizio di albergo.

La norma – che pone una presunzione assoluta di riconducibilità al tipo della locazione alberghiera dell’affitto di azienda alberghiera nel caso in cui l’originario impulso produttivo, secondo detta destinazione, sia stato impresso per la prima volta dal concessionario del godimento – si riferisce a tutti i rapporti in corso al momento della sua entrata in vigore (Cass. 4.1.1991, n.30) ed è intervenuta a dare un più preciso contenuto al disposto dell’art.27, 3° comma, della legge n.392 del 1978, che considerava già come locazione di immobile destinato ad attività alberghiera la concessione in godimento del bene “anche se ammobiliato”, secondo espressione intesa dagli autori come diretta ad evitare elusioni della disciplina locatizia nell’apparente affitto di azienda di un locale ammobiliato per albergo ed interpretata dalla giurisprudenza (Cass. 28.7.1984 n.4491) nel senso che l’attrezzatura, di cui l’immobile era fornita, doveva considerarsi solo in funzione accessoria rispetto all’immobile medesimo, che, nella sua autonoma consistenza, continuava ad essere l’oggetto prevalente del contratto.

La presunzione di riconducibilità alla locazione alberghiera riflette, tuttavia, il solo caso in cui il titolare di una azienda alberghiera questa abbia affittato per la prima volta, sicché l’attività alberghiera venga ad essere svolta inizialmente solo da tale momento da parte del concessionario del godimento. La norma dell’art.1, n.9 septies, infatti, nella previsione secondo cui “si ha locazione di immobile e non affitto di azienda in tutti i casi in cui l’attività alberghiera sia stata iniziata dal conduttore”, è di facile lettura, nel senso che il “conduttore” cui essa fa riferimento, non può che essere il “primo” affittuario dell’azienda.

Con la conseguenza che il rapporto dovrà essere regolato quale locazione alberghiera, secondo la disciplina della legge sull’equo canone (durata, rinnovazione alla prima ed alle successive scadenze, indennità per l’avviamento commerciale, prelazione ecc.), sino a quando esso continui senza interruzioni con l’originario contraente (ovvero con altri soggetti in veste di conduttori, quali aventi causa dal primo, in virtù di vicende traslative, che presuppongano la attuale efficacia dell’originario contratto, quali cessione della locazione, sublocazione, successione in tutti i casi previsti dall’art.37 legge n.392 del 1978).

A seguito, però della cessazione dell’originario rapporto con la conseguente riacquistata disponibilità della azienda nel suo complesso da parte dell’avente diritto, la stipulazione ad opera di costui di altro contratto, avente il medesimo contenuto e lo stesso oggetto di quello precedente risolto, non potrà integrare altra locazione di immobile a destinazione alberghiera, ma dovrà necessariamente consistere in un affitto di azienda in tutte quelle ipotesi in cui, pur nella eventuale mutata consistenza dell’originario complesso aziendale, di esso l’acquistato valore aggiunto dell’avviamento continui ad essere la conseguenza della attività di impresa del primo conduttore”.

Anche qui l’attenzione si concentra sulla titolarità dell’avviamento che, se ricollegata al proprietario/concedente, tende a far configurare il rapporto come locazione.

Un secondo e più generale criterio è dato dalla sentenza n.7361, resa dalla Suprema Corte l’8 agosto 1997 con riferimento proprio ad un’attività alberghiera:

“La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha da sempre fissato il criterio distintivo tra la locazione di immobile con pertinenze e l’affitto di azienda. Nella prima ipotesi l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell’economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi i quali, siano essi legati materialmente o meno all’immobile, assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e di coordinazione; nell’affitto di azienda invece l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni mobili e immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e di complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso produttivo, ossia dall’azienda come definita dall’art.2555 c.c. (Cass., 8 settembre 1986, n.5488; conf., tra le tante, Cass., 25 maggio 1995, n.5787)”.

Addirittura più tranciante pare il recente orientamento della Cassazione, seguito nella citata sentenza del 19 dicembre 2005, n.27934, in base al quale sarebbe possibile applicare il disposto della legge 392/78, solo se l’albergo non sia stato effettivamente gestito dal concedente prima del trasferimento del suo godimento dietro corrispettivo alla controparte:

“La norma (e cioè l’art. 1, n.9 septies del d.l. 7.2.1985, n.12: n.d.r.), al fine di eliminare le incertezze relative al criterio discriminatorio tra locazione di immobile attrezzato ad albergo ed affitto di azienda alberghiera, ha conferito decisivo peso, ai fini dell’individuazione del contratto come locazione, alla circostanza che la prima gestione dell’immobile attrezzato ad albergo sia posta in essere dal soggetto che lo prende in locazione, sul quale grava l’avvio della nuova attività e, di conseguenza, la creazione ex novo dell’avviamento in virtù della sua capacità imprenditoriale.

Al riguardo ha quindi precisato questa Corte che, se, indipendentemente dall’intenzione delle parti e dalla obbiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto, l’attività del conduttore e l’organizzazione dei beni che costituiscono l’azienda coincidono con la prima destinazione dell’immobile all’esercizio della attività alberghiera, ai sensi della suindicata disposizione si presume, iuris et de iure, la natura locativa del rapporto con conseguente applicabilità della relativa disciplina (sentenza n.9871/97).

L’ipotesi della locazione risulta quindi ristretta alla ipotesi, cui sembrava far riferimento la legge n.392 del 1978, art.27, comma 3, della concessione in godimento di un immobile che, pur essendo attrezzato ad uso alberghiero (la norma si riferisce all’immobile “ammobiliato”), non sia ancora effettivamente gestito dal concedente, e non integri quindi una azienda nella sua espressione dinamica.”

Per quest’ultimo orientamento, ai fini della qualificazione del contratto come locazione, rileva solo l’instaurazione di una nuova gestione alberghiera ad opera del conduttore. La presunzione in esame opererebbe quindi come l’unico criterio distintivo ammissibile. Pertanto, è parimenti irrilevante l’incremento, in senso quantitativo o qualitativo, dell’azienda che si trova già in esercizio, ancorché con caratteristiche più modeste. Partendo dal presupposto che il legislatore abbia inteso fissare – per individuare, mediante presunzione assoluta, la sussistenza della locazione – un criterio pratico e di agevole accertamento, costituito dal fatto obbiettivo dell’inizio della gestione alberghiera da parte del concessionario-conduttore, i giudici di legittimità sono addivenuti  negare rilevanza ad attività del concessionario che, lungi dall’essere nuove, si risolvono nel miglioramento della consistenza, dell’organizzazione e del livello di qualità dell’azienda alberghiera preesistente. Ciò in quanto al giudice del merito verrebbero diversamente richieste non agevoli valutazioni, da condurre  sulla base del raffronto tra l’azienda già gestita dal concedente ed azienda esercitata dal concessionario, in palese contrasto con le chiare finalità di semplificazione dell’accertamento perseguite dalla norma.

Sono invece soggette a durata minima di soli sei anni (art.27, comma 1, n.2, legge 392/78) le locazioni instaurate per attività di interesse turistico di cui all’art.2 della legge 12 marzo 1968, n.326. Qui si è posto un altro rilevante problema interpretativo, siccome buona parte delle attività considerate hanno comunque natura in senso lato alberghiera, per cui non si capiva quale fosse allora la durata attribuita al loro relativo contratto di locazione.

Chiarificatrice sul punto è giunta la sentenza n.11600, adottata dalla Cassazione il 22 giugno 2004:

“9.1. Con la sentenza n.13999 del 1991, questa Corte ha ritenuto che gli immobili adibiti a campeggio non possono equipararsi agli alberghi per quanto concerne la durata minima dei relativi contratti di locazione.

La Corte ha rilevato, infatti, che l’articolo 27 della legge 27 luglio 1978 n.392, nel disciplinare la durata della locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, stabilisce che tale durata non può essere inferiore a sei anni se detti immobili sono adibiti (tra l’altro) ad una delle attività di interesse turistico comprese tra quelle di cui all’articolo 2 della legge 12 marzo 1968 n.326.

Dopo aver rilevato che l’art.2 di quest’ultima legge menziona espressamente alla lettera c) proprio i campeggi, la Corte ne ha tratto la conseguenza che, con riferimento alla locazione di terreni da adibire a quella attività, non è applicabile il più lungo termine di durata non inferiore a nove anni stabilito dal terzo comma del medesimo articolo 27 della legge n.392 del 1978 per la diversa ipotesi della locazione di immobili urbani adibiti ad attività alberghiera (nello stesso senso v. Cass. n.4491 del 1995).

9.2. Questo orientamento è stato sottoposto a critica per il rilievo che l’art.2 della legge n. 326 del 1968, oltre all’attività di gestione di campeggi, ne prevede altre, tra le quali quella alberghiera, cosicché il richiamo testuale sul quale si basano le sentenze sopra richiamate non sarebbe decisivo.

9.3. In effetti, l’art.2, della legge 12 marzo 1968 n.326, individua una serie di attività destinatane delle provvidenze previste dalla medesima legge, che è diretta a regolare (art.1) “l’intervento pubblico ordinario inteso a conseguire gli obiettivi di razionalizzazione e di equilibrato sviluppo territoriale e settoriale della ricettività alberghiera e turistica, fissati dal programma economico nazionale, nonché dai piani poliennali di coordinamento previsti rispettivamente per il Mezzogiorno e le zone depresse e montane del centro-nord, dalle leggi 26 giugno 1965, n.717 e 22 luglio 1966, n.614”.

La citata norma stabilisce che:

“Agli enti pubblici e privati, alle associazioni in qualsiasi forma costituite, agli imprenditori in genere ed a chiunque eserciti attività di interesse turistico, possono essere concesse, nelle misure ed alle condizioni indicate nei successivi articoli, le provvidenze previste dalla presente legge per la realizzazione di:

a) opere dì costruzione, ricostruzione, trasformazione, ampliamento e adattamento di alberghi, pensioni, locande; nonché villaggi turistici a tipo alberghiero anche se costituiti in complessi di singole unità abitative, diffuse o concentrate, a proprietà frazionata, purché ne sia assicurata la destinazione alberghiera e la gestione unitaria, autostelli ed altri impianti aventi le caratteristiche di cui al regio decreto-legge 18 gennaio 1937, n.975, convertito nella legge 30 dicembre 1937, n.2651, e successive modificazioni;

b) opere di ammodernamento, di miglioramento, di arredamento o di rinnovo dell’arredamento degli esercizi di cui alla lettera a) del presente articolo;

c) campeggi, villaggi turistici, case per ferie, alberghi per la gioventù – di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 326 – nonché rifugi alpini;

d) stabilimenti termali e balneari;

e) opere, impianti e servizi complementari all’attività turistica – compresi gli impianti sportivi e ricreativi – o comunque atti a favorire lo sviluppo del movimento turistico;

f) aziende della ristorazione ubicate in località di interesse turistico; altri pubblici esercizi ubicati nelle stesse località e costituenti coefficiente di attrazione della clientela estera o nazionale; nonchè agenzie di viaggio e turismo; opere di segnaletica turistica e di uffici di informazioni e dì assistenza turistica istituiti ad iniziativa degli enti pubblici nazionali e periferici del turismo”.

La norma contempla una serie di attività che sarebbero state comunque riconducibili nella previsione di cui all’art. 27 della legge n.392 del 1978 a prescindere dal richiamo alla legge n.326 del 1968, contenuto nel n.2 del primo comma del citato art.27, o perché consistenti in attività industriali, commerciali e artigianali, o perché consistenti in attività alberghiera.

Deve, pertanto, convenirsi che il problema della disciplina da applicare ai campeggi deve essere risolto non tanto in base al rilievo che essi sono contemplati nell’art.2 della legge n.326 del 1968, richiamato dal primo comma dell’art.27 della legge n.392 del 1978, ma in base alla verifica se la locazione di un’area da destinare a campeggio possa essere inquadrata nella locazione di immobile adibito ad attività alberghiera.

9.4. In proposito si osserva che la disciplina legislativa, sia anteriore che successiva alla legge n.392 del 1978, tende a distinguere nettamente l’attività alberghiera da quella di gestione di campeggi, riconoscendo che la prima consiste nel fornire alloggio e la seconda nella gestione di parchi attrezzati per sosta di turisti provvisti di tenda o di altri mezzi di pernottamento (v. per quest’ultima definizione la legge 21 marzo 1958, n.326, richiamata proprio dall’art.2 della legge n.326 del 1968.

La legge 17 maggio 1983, n.217 (recante Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica), ora abrogata dall’art.11, sesto comma, della legge 29 marzo 2001, n.135, all’art.6, dopo avere inquadrato nella categoria generale delle “strutture ricettive” “gli alberghi, i motels, i villaggi-albergo, le residenze turistico-alberghiere, i campeggi, i villaggi turistici, gli alloggi agro-turistici, gli esercizi di affittacamere, le case e gli appartamenti per vacanze, le case per ferie, gli ostelli per la gioventù, i rifugi alpini”, distingue nettamente gli alberghi che definisce come “esercizi ricettivi aperti al pubblico, a gestione unitaria, che forniscono alloggio, eventualmente vitto ed altri servizi accessori, in camere ubicate in uno o più stabili o in parti di stabile” dai campeggi che definisce invece come “esercizi ricettivi, aperti al pubblico, a gestione unitaria, attrezzati su aree recintate per la sosta ed il soggiorno di turisti provvisti, di norma, di tende o di altri mezzi autonomi di pernottamento”.

Una conferma di tale differenziazione si ha nella legge della regione Liguria 4 marzo 1982 n.11 (e successive modificazioni) che dopo avere definito (art.1) l’attività ricettiva, come quella “diretta alla produzione e all’offerta al pubblico di ospitalità intesa come prestazione di alloggio e di servizi connessi”, distingue (art.2) le aziende ricettive alberghiere che definisce come “esercizi pubblici a gestione unitaria che con l’osservanza di quanto previsto dalla presente legge offrono ospitalità al pubblico in uno o più stabiliti o parti di stabili”, in detta categoria comprendendo (art.3) gli alberghi (con le sottocategorie: villaggi-albergo, motel) e le residenze turistico-alberghiere, dalle aziende ricettive all’aria aperta, che definisce (art.4) come “gli esercizi pubblici a gestione unitaria che con l’osservanza di quanto previsto dalla presente legge offrono ospitalità al pubblico in aree recintate ed attrezzate per fornire alloggio sia in propri allestimenti minimi sia in spazi atti ad ospitare clienti muniti di mezzi di pernottamento autonomi e mobili”, in detta categoria comprendendo (art.5) i villaggi turistici, i campeggi e i parchi per vacanze, questi ultimi due caratterizzati dal fatto che, a differenza di quanto accade per le strutture alberghiere, gli ospiti sono fomiti di messi autonomi di pernottamento.

9.5. Dal complesso delle norme ora indicate emerge con chiarezza qual è il tratto distintivo dell’attività alberghiera rispetto a qualsiasi altra attività diretta a fornire ospitalità; invero l’attività alberghiera consiste nell’offrire all’ospite un alloggio in una struttura propria, con la conseguenza che non può essere definita come alberghiera l’attività di colui che offre all’ospite una porzione di terreno attrezzato dove sistemare una tenda, un caravan o una roulotte, come avviene nei campeggi e nei parchi- vacanze. Una riprova di ciò si trova nell’art.6 della citata legge regionale, che nel prevedere i “casi di promiscuità” impone che non siano superate determinate percentuali, sotto comminatoria di sanzioni amministrative pecuniarie (art.14).

9.6. La netta distinzione, sotto il profilo strutturale, tra attività alberghiera e attività di gestione di un campeggio, giustifica il differente trattamento, con riferimento alla durata del contratto (che interessa nella specie) ed alla misura dell’indennità di avviamento, che la legge predispone in relazione ai contratti di locazione relativi agli immobili adibiti all’una o all’altra attività.

9.7. Il fatto che talune norme del codice civile siano state ritenute applicabili sia al contratto di albergo sia al contratto instaurato tra il gestore del campeggio e l’ospite o che l’art.18 della legge della regione Liguria, più sopra richiamata, disponga che “per quanto non previsto dalla presente legge le aziende ricettive all’aria aperta indicate all’art.4 sono assoggettate alla disciplina delle aziende alberghiere, in quanto applicabile”, non rileva ai fini delle dimostrate ragioni che giustificano il diverso trattamento che la legge riserva alla locazione degli immobili utilizzati per lo svolgimento delle due distinte attività.

9.8. Quanto sin qui detto giova anche per ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente.

Non vi è, invero, violazione dell’art.3 della Costituzione, perché la diversità sopra evidenziata tra l’attività alberghiera e quella di gestione dì un campeggio, giustifica il diverso trattamento che la legge ha predisposto in relazione alla locazione degli immobili per mezzo dei quali le suddette attività vengono svolte.

Non vi è poi violazione dell’art.41 della Costituzione perché l’attività imprenditoriale relativa alla gestione di un campeggio trova adeguata tutela nella legge, essendo riconosciuta una durata minima di sei anni, prorogabile per altri sei, al rapporto di locazione dell’immobile a mezzo del quale l’attività viene esercitata e l’indennità di avviamento da corrispondere alla data di cessazione del rapporto.”

Per effetto di quanto recentemente disposto dall’art.7 della legge 8 febbraio 2007, n.9, hanno anche durata minima di nove anni le locazioni adibite “all’esercizio di attività teatrali”, la cui menzione è ora aggiunta al terzo comma dell’art.27 della legge 392/78.

Sfugge la ratio del distinguerle da quelle culturali, così come sfugge l’esigenza di questa improvvisa novella legislativa (nella cui ombra sembra forse celarsi un provvedimento ad hoc, in favore del Teatro Nuovo di Milano), siccome non si registrava un dibattito orientato nel senso di allungare di tre anni la durata minima di detti contratti.

c) Locazioni stagionali.

Se l’attività ha carattere stagionale, ciò si ripercuote sul contratto di locazione relativo ai locali necessari per il suo svolgimento. Non ci si deve però confondere, pensando che il rapporto sia limitato ad una sola stagione. Difatti, in tali circostanze sussiste un preciso obbligo inderogabile in capo al proprietario dell’immobile, che scatta nel medesimo periodo della stagione successiva e si ripete per un ciclo minimo di sei anni (nove per le attività alberghiere stagionali). Egli deve infatti locare gli stessi locali al medesimo conduttore, se quest’ultimo lo richiede per iscritto prima della scadenza di ogni stagione del ciclo stesso (art.27, comma 6, legge 392/78).

            Nella sentenza del 1 agosto 1995, n.8388, la Cassazione ha precisato che per individuare una locazione stagionale deve aversi riguardo non già alla particolare struttura del rapporto locativo, ma al tipo dell’attività svolta nell’immobile o del godimento per il quale viene utilizzato (conforme la sentenza del 10 marzo 1988 n.2380). Viene dunque tutelata un’attività rientrante tra quelle indicate nei primi due commi dell’art.27 della legge 392/78 (e cioè quelle industriali, commerciali, artigianali, di interesse turistico nonché quelle abituali e professionali di lavoro autonomo) che – per sua intrinseca natura – è destinata a svolgersi in un arco di tempo corrispondente alla durata di una stagione.

La Suprema Corte ha poi considerato nulle le previsioni limitative della durata dei vincolo di rinnovo del rapporto o attributive al locatore di una mera facoltà di rinnovo per le stagioni successive, o  infine volte ad assicurare al conduttore solo un diritto di prelazione per il rinnovo.

            Ove alla scadenza stagionale il conduttore non restituisca la res locata nella disponibilità del locatore, l’acquiescenza di quest’ultimo comporta – ai sensi dell’art.1597 c.c. – sì la rinnovazione tacita della locazione, ma sempre con carattere stagionale. E ciò con possibilità di ulteriori tacite rinnovazioni stagionali, finché non intervenga l’opposizione del locatore in vista dello scadere del numero massimo di rinnovazioni che egli deve sopportare.

Sempre in detta sentenza, infatti, la Cassazione ha precisato che la rinnovazione tacita riguarda il tipo legale “locazione stagionale”, nel senso che la protratta detenzione, non contrastata dal locatore, tiene luogo della manifestazione espressa della volontà del conduttore di esercitare il diritto di rinnovo per l’eguale successivo periodo stagionale, e ciò in quanto la “locazione stagionale” presenta la peculiarità di non costituire un rapporto unitario, bensì una serie di rapporti – distinti ancorché collegati da un potenziale vincolo di reiterazione – di durata determinata, perché necessariamente corrispondente a quella di una specifica stagione.

Nel periodo intermedio tra una locazione e l’altro (e cioè fuori dalla stagione pattuita), se non è contrastata dal locatore, la protratta detenzione dell’immobile da parte del conduttore ha caratteristiche del tutto peculiari, poiché (a parte il caso di abusive utilizzazioni difformi, reprimibili con gli ordinari rimedi) non è accompagnata dal godimento caratterizzante il rapporto come “stagionale” e non determina quindi l’obbligo di pagare un corrispettivo, in ragione della compatibilità di tale fruizione esclusivamente con la specifica stagione individuata dal contratto o risultante dalla natura dell’attività.

Di conseguenza, in simili circostanze la Cassazione nega che si verta in tema di detenzione correlata a rapporto di locazione (art.1571 c.c.), ritenendo piuttosto configurabile una situazione di custodia del bene anche nell’interesse del detentore, in vista dell’instaurazione del successivo rapporto stagionale. Per contro, l’occupazione è abusiva, se il locatore richiede il possesso dei locali durante il periodo intermedio tra una stagione e quella successiva.

Sul piano giuridico, comunque, quanto sopra non impedisce di locare l’immobile “a tempo pieno”, quand’anche l’attività da esercitare nei locali abbia natura stagionale. In tali circostanze, infatti, saranno unicamente considerazioni economiche a definire i rapporti tra le parti, e cioè il canone complessivo richiesto dal locatore e la mancanza di un suo interesse ad utilizzare l’immobile fuori dalla stagione.

d) Locazioni transitorie.

 

            Solo nell’ipotesi in cui l’attività esercitata dal conduttore ha carattere transitorio (Cassazione, 31 gennaio 2006, n.2147), la durata del contratto di locazione a tal fine stipulato può legittimamente avere una durata inferiore a quella minima di legge appena illustrata (art.27, comma 5, legge 392/78). Sotto l’aspetto pratico, è però bene formulare un’avvertenza. In realtà, l’unica garanzia di vedere effettivamente rispettata la più breve durata pattuita, in considerazione delle peculiari esigenze del conduttore, è che queste ultime siano realmente di natura transitoria al momento di stipulare il rapporto e lo restino in epoca successiva. In tali circostanze, sarà il conduttore stesso a rilasciare i locali alla scadenza pattuita, non avendo diverso interesse a rimanervi. In caso opposto, esaminando con realismo la situazione, il locatore non ha alcuna sicurezza di rientrare in possesso dei locali nel tempo stabilito.

I correttivi a tale situazione sono allora due. Il primo è che, a fronte della perpetrata occupazione dei locali, il conduttore è comunque tenuto a corrispondere la somma inizialmente pattuita ed eventualmente assoggettata ad aggiornamento: pertanto, se essa corrisponde al valore di mercato, sotto questo aspetto il pregiudizio per il locatore è limitato. Il secondo è che il locatore potrebbe comunque richiedere anche il risarcimento del danno ovvero il pagamento delle penali (a suo tempo eventualmente fissate) per l’illecita occupazione dopo la scadenza pattuita in vista delle esigenze transitorie del conduttore. Nel processo dove il locatore chiede la condanna della propria controparte a rilasciare i locali e risarcire i danni in questione, diviene allora dirimente lo stabilire se la durata transitoria venne legittimamente pattuita dalle parti, il che significa in buona sostanza capire quale fosse la consapevolezza del locatore circa la natura dell’attività realmente esercitata dall’altro contraente.

e) Durata effettiva: una cosa decisamente diversa dalla durata minima.

Non ci si può ora esimere da un’avvertenza, con riserva di approfondirne meglio la trattazione nelle pagine successive: non si deve affatto pensare che la durata minima (appena illustrata), fissata dalla legge al contratto di locazione, corrisponda alla durata effettiva del rapporto così instaurato tra le parti.

A protrarlo significativamente nel tempo concorrono solitamente due fattori.

Sul piano puramente giuridico, entra in gioco il meccanismo della rinnovazione automatica del contratto (art.28 legge 392/78), la quale a sua volta si combina con le norme – anch’esse inderogabili in sfavore del conduttore – che limitano fortemente il diritto del locatore a disdettare il rapporto in vista della prima scadenza (art.29 legge 392/78).

Sul piano invece economico, opera invece il diritto del conduttore a percepire l’indennità per la cessazione del rapporto di locazione, sussistente essenzialmente quanto nell’immobile viene esercitata un’attività di tipo industriale, commerciale e artigianale comportante contatto con il pubblico (art.34 e 35 legge 392/78, di cui al caso 5.17). Tale indennità matura nel momento in cui il locatore – pur avendone pieno diritto – decide di porre termine al rapporto stesso, disdettandolo alla prima scadenza (se ne sussistono i presupposti) ovvero, se il rapporto prosegue per effetto della tacita rinnovazione, disdettandolo (questa volta ad nutum) in concomitanza di una successiva scadenza.

Infine, non si deve trascurare il diritto di prelazione del conduttore in caso di nuova locazione, sussistente in sostanza nelle stesse circostanze in cui matura l’indennità appena citata (art.40 della legge 392/78, di cui al caso 5.19). Se viene invocato, il proprietario si ritrova costretto ad instaurare ex novo un rapporto di locazione con la medesima controparte, seppure con canone iniziale del tutto scollegato rispetto al precedente contratto legittimamente cessato.

f) Casi residuali in cui la legge non impone una durata minima.

 

Per quanto concerne i contratti ad uso sì diverso da abitazione, ma non rientrante tra quelli di cui all’art.27 della legge 392/78, non è imposta alcuna durata minima. In tali residuali ipotesi, riprende pieno vigore l’autonomia contrattuale, rivestendo la legge – nella fattispecie trattasi dell’art.1574 c.c. – solo carattere integrativo, e cioè intervenendo a disciplinare la durata di tali rapporti in assenza dell’accordo tra le parti.

Ad esempio, è l’ipotesi dei contratti di locazione per box o posti auto, che si esamineranno al capitolo n.8.

 

 

In conclusione:

 

 

 

La durata minima del contratto di locazione viene rigidamente determinata dalla legge mediante una norma imperativa, che impedisce di pattuire validamente un periodo più breve rispetto a quello legale.

 

 

 

Clausole contrattuali.

 

a) immobili:

  • adibiti ad attività: industriale, commerciale, artigianale, di interesse turistico (quest’ultima compresa tra quelle di cui all’art.2 della legge 326/1968), di lavoro autonomo, ricreative, assistenziali, culturali, scolastiche, sedi di partiti, sindacati;
  • ovvero di cui siano conduttori lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali

 

 

“La durata della locazione è di sei anni, e precisamente dal …………… al ……………….”

 

 

 

b) immobili adibiti ad attività alberghiere e teatrali:

 

“La durata della locazione è di nove anni, e precisamente dal …………… al ……………….”

 

 

 

c) immobili locati per l’esercizio di attività aventi carattere transitorio:

 

“Siccome il conduttore intende locare l’immobile unicamente per un’attività di carattere transitorio, dovendo egli soddisfare le seguenti sue esigenze ……………………………………………………………………… (*), la locazione stessa assume natura transitoria ed avrà pertanto durata a partire dal ………………. con termine al ……………., senza alcuna necessità di disdetta”.

 

(*) indicare con cura le ragioni che inducono il conduttore a stipulare una locazione transitoria.

 

 

 

d) immobili locati per l’esercizio di attività aventi carattere stagionale:

 

“Siccome il conduttore intende locare l’immobile unicamente per un’attività di carattere stagionale, dovendo egli soddisfare le seguenti sue esigenze ……………………………………………………………………… (*), la locazione stessa assume natura stagionale ed avrà pertanto durata – ai sensi dell’art.27, comma sesto, della legge 392/78 – per la stagione compresa tra il ………………. il ……………. Se, prima del termine della stagione in corso, mediante lettera raccomandata il conduttore farà pervenire al locatore richiesta di locare l’immobile per la medesima stagione dell’anno successivo, la locazione avrà luogo anche in tale nuovo periodo alle condizioni pattuite in questa scrittura, e ciò per un massimo di sei stagioni (**), compresa cioè quella  in cui ha inizio il presente rapporto”.

 

(*) indicare con cura le ragioni che inducono il conduttore a stipulare una locazione stagionale.

(**) nove anni per attività alberghiera e teatrale.