I reati penali che possono essere commessi in occasione del passaggio consegne amministratore condominio.
La documentazione condominiale è pacificamente di proprietà del Condominio a cui essa si riferisce.
L’amministratore è un mero custode di tale documentazione: quello uscente è pertanto tenuto a consegnarla al nuovo amministratore in occasione del passaggio consegne o, al più tardi, non appena il secondo la richieda al primo.
L’omessa consegna della documentazione condominiale al nuovo amministratore può esporre l’amministratore uscente ad un’azione sul piano civile, al cui termine egli verrà condannato a consegnarla al nuovo amministratore.
In tali circostanze, inoltre, il persistente rifiuto dell’amministratore uscente a consegnare la documentazione condominiale al nuovo amministratore può configurare anche la commissione di due reati:
- violazione dell’art.388 del codice penale (inosservanza di un ordine dell’autorità giudiziaria), qualora l’amministratore uscente ometta di consegnare la documentazione dopo che ciò gli sia stato ordinato da un giudice mediante la pronuncia di un provvedimento di urgenza;
- violazione dell’art.646 del codice penale (appropriazione indebita), qualora il rifiuto sia riconducibile alla volontà dell’amministratore uscente di trarre un vantaggio da tale condotta (ad esempio:
- ottenere il pagamento di somme pretese dal Condominio;
- ostacolare la ricostruzione della propria gestione patrimoniale).
Al riguardo sono significative due sentenze di recente rese dalle Sezioni Penali della Cassazione, in appresso riprodotte.
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-05-2013) 10-07-2013, n. 29451
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACCHIA Alberto – Presidente –
Dott. MANNA Anton – rel. Consigliere –
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –
Dott. VERGA Giovanna – Consigliere –
Dott. CARRELLI P.D.M. Roberto M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.A.;
avverso la sentenza 27.6.12 della Corte d’Appello di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Alfredo Pompeo Viola, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore – Avv. Giovanni Usai, in qualità di sostituto processuale dell’Avv. Bruno Mura -, che ha concluso per l’annullamento dell’impugnata sentenza in virtù dei motivi di cui al ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27.6.12 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la condanna emessa il 14.3.11 dal Tribunale della stessa sede nei confronti di M.A. per appropriazione indebita aggravata della documentazione concernente il condominio di cui l’imputato era stato amministratore fino a quando non era stato revocato con apposita delibera dell’assemblea condominiale.
Tramite il proprio difensore il M. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 co. 1 disp. att. c.p.p.:
a) erroneamente la gravata sentenza aveva ravvisato l’ingiusto profitto proprio del delitto p. e p. ex art. 646 c.p., nel continuare il ricorrente a comportarsi da amministratore del condominio (malgrado la revoca dalla carica, che egli reputava illegittima) così creando una sorta di gestione parallela rispetto a quella del nuovo amministratore, trattandosi di una mera ipotesi che, per di più, non avrebbe comportato nemmeno un qualche vantaggio economico;
b) malgrado l’espressa sollecitazione da parte della difesa del M., la Corte territoriale aveva omesso di dichiarare estinto per prescrizione il reato, che era stato commesso il 26.7.04, data della delibera dell’assemblea condominiale che aveva nominato un nuovo amministratore in luogo del M..
Il 10.5.13 la difesa dei M. ha fatto pervenire motivi aggiunti (tardivi, in realtà si tratta in sostanza di una mera memoria con cui ha insistito nelle doglianze e nelle richieste di cui al ricorso).
Motivi della decisione
1 – Il motivo che precede sub a) è manifestamente infondato.
Invero, per la configurazione del delitto di cui all’art. 646 c.p., basta che l’ingiusto profitto sia potenziale, non essendo necessario che esso si realizzi effettivamente, il che emerge pacificamente dal rilievo che la norma richiede solo che il soggetto attivo agisca “per procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto”.
In altre parole basta – per il dolo specifico che caratterizza la fattispecie – il mero intento di procurare a sè o ad altri un ingiusto profitto, a prescindere dalla concreta sua realizzazione.
Nel caso di specie, correttamente i giudici del merito hanno ravvisato il fine di profitto perseguito dall’odierno ricorrente nel fatto di continuare ad amministrare il condominio, il che lo poneva (e ciò non costituisce mera ipotesi, ma oggettiva constatazione) in condizioni di accampare ulteriori pretese o comunque di rendere più difficoltosa (se non di paralizzare) l’amministrazione del condominio stesso, giacchè – come emerge dalla gravata pronuncia – il M. continuava a considerarsi amministratore del condominio ritenendo illegittima la delibera assembleare che lo aveva revocato, al punto da invitare i condomini dissenzienti a sottoscrivere un documento in suo sostegno.
E appena il caso di ricordare che l’ingiusto profitto di cui all’art. 646 c.p., non deve necessariamente connotarsi in senso patrimoniale (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 40119 del 22.10.10, dep. 12.11.10).
2- Del pari manifestamente infondato è il motivo che precede sub b).
E’ pur vero che quello p. e p. ex art. 646 c.p., è reato istantaneo (cfr. Cass. Sez. 2^ n. 709 del 16.3.71, dep. 26.11.71), che si verifica con la prima condotta appropriativa, ma nel caso di specie la consumazione si è verificata non già al momento della revoca del M. e della nomina di nuovo amministratore (come si sostiene in ricorso, confondendo il mero venir meno del titolo per cui si detiene con la condotta appropriativa, che richiede quid pluris), bensì in quello in cui l’odierno ricorrente, volontariamente negando la restituzione della contabilità che ancora deteneva (nella consapevolezza di non avere più alcun titolo per trattenerla presso di sè), si è comportato uti dominus rispetto alla res.
Nel caso di specie tale momento va individuato – alla stregua dell’accertamento in punto di fatto compiuto dai giudici di merito, per come emerge dalla lettura dell’impugnata sentenza – al momento della notifica del precetto del 1.3.05, che dava seguito all’ordinanza del Tribunale di Cagliari che gli ordinava la consegna della documentazione.
Dunque, considerato come dies a quo quello del 1.3.05, deve constatarsi che il termine massimo di anni 7 e mesi 6 di prescrizione del reato ai sensi del combinato disposto dell’art. 157 nuovo testo c.p., comma 1, e art. 161 cpv. nuovo testo c.p. – da prolungarsi ulteriormente per effetto della sospensione della prescrizione dal 19.3.12 al 27.6,12 – non era ancora spirato alla data della sentenza impugnata (27.6.12).
Nè importa che sia maturato alla data della presente pronuncia: valga in proposito il noto principio – ormai consolidatosi a partire da Cass. S.U. n. 32 del 22.11.2000, dep. 21.12,2000 – per cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione, anche se per manifesta infondatezza dei relativi motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’ari 129 c.p.p. (cfr. ad es. Cass. Sez. 1 n. 24688 del 4.6.2008, dep. 18.6.2008; Cass. Sez. 4^ n. 18641 del 20.1.2004, dep. 22.4.2004, e numerosissime altre).
Del pari è inammissibile il ricorso per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione, in quanto esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a norma dell’art. 606 c.p.p. (cfr., ad es., Cass. S.U. n. 33542 del 27.6.2001, dep. 11.9.2001).
3 – All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2013
Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-04-2014) 16-07-2014, n. 31192
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASUCCI Giuliano – Presidente –
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere –
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –
Dott. CERVADORO Mirella – Consigliere –
Dott. BELTRANI Sergio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.M. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 208/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del 17/10/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Massimo Galli, che ha concluso per annullamento senza rinvio, perchè il fatto non sussiste, limitatamente al reato di cui all’art. 388 c.p., e l’annullamento senza rinvio, per prescrizione, relativamente al reato di cui all’art. 647 c.p., rilevata la regolarità degli avvisi di rito.
Svolgimento del processo
Con sentenza emessa in data 17 ottobre 2013, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza emessa in data 5 dicembre 2011 dal Tribunale della stessa città, che aveva dichiarato l’imputato C.M. colpevole dei reati di cui agli artt. 388 e 646 – 61 n. 7 c.p. (fatti accertati in (OMISSIS)), unificati dal vincolo della continuazione, e lo aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia, oltre alle statuizioni accessorie in favore della parte civile; la Corte di appello ha disposto a sua volta le statuizioni accessorie relative al grado.
Contro tale provvedimento, l’imputato (personalmente) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo il seguente motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
1 – erronea applicazione dell’art. 388 c.p., comma 2, e art. 646 c.p., (lamentando che il provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., che aveva ordinato all’imputato di consegnare la documentazione contabile inerente all’amministrazione di un condominio che egli aveva in precedenza curato, non poteva considerarsi adottato a tutela della proprietà, del possesso o del credito e non disponeva effettivamente una determinazione qualificabile come cautelare;
mancherebbe, inoltre, la prova in ordine al dolo specifico richiesto dall’art. 646 c.p.).
Ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
3. All’odierna udienza pubblica, è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
1. L’art. 388 c.p., comma 2, nella formulazione vigente all’epoca di commissione del fatto, stabiliva che la pena prevista dal comma 1 della stessa disposizione “si applica a chi elude un provvedimento del giudice civile che (…) prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”.
1.1. Questa Corte Suprema (Sez. 6^, sentenza n. 2908 dell’8 ottobre 1987, dep. 5 marzo 1988, CED Cass. n. 177793), con orientamento che merita di essere condiviso e ribadito, aveva già chiarito che rientrano tra i provvedimenti cautelari del giudice civile la cui dolosa inottemperanza da luogo a responsabilità penale, tutti i provvedimenti cautelari previsti nel libro 4^ del codice di procedura civile, e quindi non soltanto quelli tipici, ma anche quello atipico adottato ex art. 700 c.p.c., purchè attinente in concreto alla difesa della proprietà, del possesso o del credito, poichè l’art. 388 c.p., comma 2, costituiva (e costituisce, nella sua attuale formulazione) presidio penale esclusivamente per i provvedimenti cautelari emessi nelle materie tassativamente indicate dalla norma, e non può trovare applicazione analogica (necessariamente in malam partem, e quindi non consentita in diritto penale dal principio di legalità, sancito dall’art. 25 Cost., comma 2) al di fuori di essi.
E la ragione per la quale sia stata penalmente sanzionata soltanto l’inosservanza di alcuni provvedimenti cautelari (quelli in materia di proprietà, possesso e credito) appare manifesta sol che si abbia riguardo all’interesse tutelato dalla norma in esame: l’interesse tutelato dall’art. 388 c.p. non è, infatti, l’autorità in sè delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione (Sez. un., sentenza n. 36692 del 27 settembre 2007, Vuocolo, CED Cass. n. 23G937), di tal che la sanzione non consegue alla mera trasgressione dell’ordine del giudice, occorrendo che la condotta ostacoli l’effettiva possibilità di una sua esecuzione.
Va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
“Tra i provvedimenti del giudice civile che prescrivono misure cautelari, la cui inosservanza è penalmente sanzionata dall’art. 388 c.p., comma 2, rientrano anche i provvedimenti di urgenza emessi a norma dell’art. 700 c.p.c., ma a condizione che essi attengano alla difesa della proprietà, del possesso o del credito”.
1.2. Nel caso di specie, peraltro, non può dubitarsi che il provvedimento di urgenza de quo attenesse alla proprietà, pacifico essendo che l’ordine (non osservato) di consegna della documentazione contabile inerente all’amministrazione di un condominio incidesse sulla proprietà condominiale, impedendone la corretta amministrazione.
1.3. Deve, per completezza, rilevarsi che il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’articolo 388, comma 2, c.p. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell’obbligato, proprio perchè l’interesse tutelato dall’art. 388 c.p., non è l’autorità in sè delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione (Sez. un., sentenza n. 36692 del 27 settembre 2007, Vuocolo, CED Cass. n. 236937).
Ma, nel caso di specie, appare evidente che vi fosse necessità della collaborazione dell’imputato ai fini dell’esecuzione dell’ordine impartito dal giudice ex art. 700 c.p.c., ovvero della disposta consegna di documenti.
1.4. Quanto al dolo specifico richiesto ad integrazione del delitto di cui all’art. 646 c.p., la Corte di appello (f. 4), con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede, con i quali il ricorrente non si confronta con la necessaria specificità (limitandosi inammissibilmente a riproporre, più o meno pedissequamente, doglianze già ritenute infondate dalla corte di appello), ha compiutamente ricostruito le vicende de quibus ed indicato gli elementi posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità e della qualificazione giuridica dei fatti, valorizzando, in particolare (in accordo con la sentenza di primo grado, come è fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità), “l’ostinazione con la quale il C. si è rifiutato di consegnare detta documentazione”, motivatamente ritenuta sintomatica del fatto “che egli avesse un preciso interesse a non consentire una ricostruzione della sua gestione patrimoniale, traendone una specifica utilità”.
A tali rilievi, nel complesso, il ricorrente non ha opposto alcunchè di decisivo, se non generiche ed improponibili doglianze, fondate su una personale e congetturale rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare, nei modi di rito, eventuali travisamenti.
2. Per effetto degli intervenuti periodi di sospensione della prescrizione (mesi due e giorni sedici, dal 19.9. al 5.12.2011, rinvio su richiesta della difesa; mesi due e giorni tre, rinvio dell’udienza 5.6.2013 legittimo impedimento dell’imputato, malato, per una durata pari, per legge, a giorni 60 oltre alla durata dell’impedimento), la prescrizione non è ancora maturata alla data della odierna decisione.
3. Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2014