Appalto condominiale

Come assicurarsi nel tempo l’esecuzione a regola d’arte per i lavori di un appalto condominiale?


 

Preservare il risultato dell’investimento, effettuato in relazione ad un interevento di straordinaria manutenzione (quale il rifacimento del tetto ovvero di una facciata o per le opere utili a mettere in sicurezza un edificio o, ancora, per coibentarlo), è un obiettivo tutt’altro che secondario.

Trascurarlo significa correre il rischio di vedere vanificato l’esborso – talora considerevole – sostenuto a tal fine, quando l’impresa committente esegua i lavori non a regola d’arte.

Per cautelarsi, il committente deve affrontare questo problema al momento di stipulare il contratto di appalto. Dire nulla ed accontentarsi  della mera applicazione di quanto sancito dal codice civile è, invece, una scelta spesso inadeguata per due ordini di ragioni: una di carattere giuridico; l’altra prevalentemente pratica.

Iniziamo dalla prima. Nonostante l’azione “mitigante” svolta nel tempo dalla giurisprudenza, la disciplina codicistica ancora sensibilmente risente della sua originaria impostazione datale dal legislatore nel 1942, tesa a privilegiare la posizione dell’appaltatore rispetto al committente. Come noto, la legge impone a quest’ultimo pressanti obblighi di denuncia circa i vizi presenti nell’opera nonché limita tramite stretti termini di decadenza e prescrizione le azioni per farli valere in giudizio.

Ai sensi degli artt.1667 e 1668 c.c., il committente perde il diritto di far valere i vizi riconoscibili al momento della consegna dell’opera, se  non denunciati subito in tale contesto formulando apposite riserve.
Quanto ai vizi emergenti in un momento successivo, vanno segnalati (basta una raccomandata) a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla loro scoperta, mentre la relativa azione si prescrive in due anni dalla consegna.

A meno che i vizi in questione siano così gravi da rendere assolutamente inadatta l’opera realizzata dall’appaltatore (circostanza che giustifica la risoluzione del contratto), al committente spetta – alternativamente a sua scelta:

  • il diritto ad ottenere che l’appaltatore elimini a sue spese i vizi
  • oppure il diritto alla riduzione del prezzo pattuito.

Nell’ipotesi di comprovata colpa a carico dell’appaltatore, egli deve altresì risarcire al committente quei danni che non siano eliminabili tramite il ricorso all’uno o all’altro dei due citati rimedi.

Esiste poi la cosiddetta garanzia “decennale”, prevista dall’art.1669 c.c., la cui portata viene però solitamente equivocata. E’ vero che tale norma concerne non solo la costruzione vera e propria di un immobile, ma anche i lavori eseguiti sugli edifici già esistenti. E’ però parimenti vero che l’art.1669 c.c. non copre qualsiasi opera, circoscrivendosi la sua applicabilità solo agli interventi destinati ad avere lunga durata e, nel contempo, aventi una particolare importanza rispetto all’intero fabbricato.

Solo qualora sussistano tali circostanze, l’appaltatore è tenuto a risarcire i danni conseguenti alla presenza di vizi nella sua opera, a condizione – dunque un’ulteriore limitazione! – che siffatti difetti siano gravi, e cioè vizi incidano sulla stabilità dell’immobile ovvero ne compromettano seriamente l’utilizzazione o il godimento.  La denuncia deve essere proposta, a pena di decadenza, entro un anno dal momento in cui simili vizi divengano evidenti, mentre l’azione giudiziaria è soggetta ad un termine di prescrizione annuale dalla data della denuncia stessa.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale (inizia però ad esserci qualche decisione discordante sulla scorta di Cassazione, 18 febbraio 1999, n.1379), in ogni caso compete al committente dare la prova di aver agito a tempo debito, il che si traduce solitamente nell’onere per quest’ultimo di dimostrare il momento in cui il vizio è divenuto apparente.

Ad alleviare tale incombenza processuale piuttosto “diabolica”, la giurisprudenza pacificamente riconosce che il termine decorre solo dal momento in cui il committente ha acquistato un apprezzabile grado di conoscenza, seria ed obiettiva, non soltanto della gravità dei difetti dell’edificio, ma anche della loro incidenza sulle sue qualità statiche e sulle sue potenzialità di resistenza nel tempo, nonché del collegamento causale tra i dissesti e l’attività di realizzazione dell’opera come posta in essere dall’appaltatore. In altre parole, si rende indispensabile l’acquisizione in capo al committente di un’adeguata e precisa conoscenza del vizio affliggente l’immobile, sia circa la sua entità, sia circa le sue esatte cause e conseguenze.

Passiamo alle ragioni di ordine pratico, immediatamente comprensibili. Vinta (sovente dopo il decorso di molto tempo) la causa contro l’appaltatore, se quest’ultimo risulta insolvente ovvero ha cessato di esistere, il committente rischia di vedere vanificato tutto il proprio sforzo processuale, ritrovandosi così con “un pugno di mosche”.

Come rimediare? L’unica via è stipulare attentamente il contratto di appalto, prevedendo innanzitutto un regime contrattuale di garanzie per i vizi dell’opera maggiormente favorevole al committente. In tale sede, quindi, sarà bene:

  1. pattuire modalità di consegna e di collaudo dell’opera che non comportino l’immediata decadenza dal diritto di far valere i vizi al momento apparenti; estendere i termini per la denuncia dei difetti che emergano in epoca successiva
  2. ampliare il contenuto stesso della garanzia dovuta dall’appaltatore, sia sotto l’aspetto temporale (sì da coprire le ipotesi in cui non si applica il citato art.1669 c.c.) che sostanziale (precisando cosa sia tenuto a garantire l’appaltatore circa la bontà della propria opera)
  3. inserire la clausola arbitrale, al fine di assicurarsi la decisione di eventuali controversie in tempi rapidi e da parte di soggetti specializzati in materia.  Agendo in tal modo, si ovviano molte delle difficoltà di ordine giuridico, che diversamente il committente si trova ad affrontare in giudizio.

Quanto ai rilevanti problemi di ordine pratico, il rimedio è esigere – sempre inserendo apposite pattuizioni nel testo contrattuale, sulla scorta di quanto avviene per gli appalti pubblici ovvero per quelli stipulati dagli operatori economici privati più attenti – che l’appaltatore fornisca altresì al committente una fideiussione o, meglio ancora, una garanzia a prima richiesta(entrambe rilasciate da soggetti fidati, quali banche o società assicuratrici) a fronte dell’adempimento delle proprie obbligazioni.

Garanti nei cui confronti il committente potrà poi rivolgersi per esigere il pagamento – avendo così la certezza di trattare con soggetti solvibili e reperibili – di quanto eventualmente dovuto dall’appaltatore per la presenza di vizi nell’opera realizzata o, magari, nemmeno terminata nonostante gli acconti ricevuti.  Per altro verso, l’impossibilità per l’appaltatore a trovare un garante diviene la “cartina al tornasole” della sua capacità patrimoniale o operativa, che potrebbe talora essere stata abilmente “gonfiata” agli occhi del committente al fine di indurlo ad affidargli il lavoro.

Una precisazione: il  testo contrattuale deve necessariamente comprendere – allegandolo – il capitolato dell’opera commissionata, redatto dal consulente tecnico del committente. Ciò serve, fra l’altro, anche allo scopo di consentire la verifica sulla congruità e sulla bontà dell’opera eseguita dall’appaltatore. In effetti, se in quest’ultima si dovesse poi lamentare la presenza di vizi e difformità, per decidere sul fondamento della doglianza bisognerà stabilire cosa l’appaltatore si fosse effettivamente impegnato a realizzare. Solitamente, le lacune e la poca chiarezza in proposito giocano a danno del committente.

Appare così quanto sia assurda e controproducente la prassi, purtroppo spesso seguita dalle assemblee condominiali anche in caso di appalti aventi considerevole valore economico, di conferire l’incarico accettando supinamente il preventivo (spesso formulato in termini generici e, di certo, assolutamente non nell’ottica di favorire la posizione del committente) predisposto dall’appaltatore stesso, che l’amministratore si limita a sottoscrivere.

Sembra quindi corretto sostenere che, tra i doveri professionali dell’amministratore, dovrebbe perlomeno rientrare quello di rappresentare ai condomini l’indubbia opportunità di far predisporre – nel loro esclusivo interesse – il contratto di appalto ed il relativo capitolato tecnico.

Ancora qualche parola sul direttore dei lavori: è estremamente opportuno far intervenire tale professionista, specie quando le opere risultano complesse dal punto di vista tecnico ovvero particolarmente costose. Ciò a condizione, però, che egli – in quanto retribuito dal committente – agisca effettivamente nell’esclusivo interesse di quest’ultimo. Nel scegliere il direttore dei lavori, dunque, sarà bene che il Condominio committente eviti di nominare una persona proposta dall’appaltatore: in effetti, suona strano che il controllato nomini o proponga il proprio controllore!

Peraltro, va altresì sottolineato che (a meno di precise diverse pattuizioni fra le parti, anche in ordine al pagamento della parcella spettante al direttore dei lavori)  quest’ultimo non è un soggetto neutrale: egli deve infatti agire – ovviamente in modo ragionevole – nell’esclusivo interesse del committente. Ciò comporta anche alcune restrizioni per tale professionista nel comunicare il cosiddetto “fine lavori”, e cioè la dichiarazione che le opere sono state compiute a regola d’arte.

In realtà, detta comunicazione va indirizzata esclusivamente al Condominio e non anche all’appaltatore. Sarà poi il legale rappresentante del committente che – avendone il relativo potere – procederà se del caso ad approvare l’opera eseguita dall’appaltatore (magari sentita preventivamente l’assemblea), viste le rilevanti ripercussioni che tale atto comporta in relazione alla decadenza per i vizi presenti nell’opera e rilevabili in sede di collaudo.

APPROFONDIMENTO: LE RESPONSABILITA’ DELL’APPALTATORE, DEL DIRETTORE LAVORI E DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO.