Quale forma devono rivestire gli eventuali patti che, in pendenza del rapporto, apportano modifiche al contratto locazione commerciale originariamente stipulato?
Il legislatore – magari un po’ contraddittoriamente – richiede che i contratti ad uso abitazione abbiano necessariamente forma scritta a pena della loro nullità (art.1, ultimo comma, della legge 431/1988), mentre ciò non viene detto circa quelli per uso diverso da abitazione, che restano a forma libera.
Di conseguenza, ai sensi dell’art.1325 c.c., lo stesso vale anche per i patti che vadano successivamente a modificare i contratti iniziali.
Si è però spiegato che lo stipulare verbalmente un contratto di locazione per un immobile ad uso diverso da abitazione è si valido, ma decisamente poco opportuno.
In effetti, l’interesse reciproco delle parti (e, ancor più, del locatore) è che siano ben chiari da subito i rispettivi obblighi: ciò non solo è utile sotto l’aspetto economico, ma previene anche il contenzioso e, in particolare, quello strumentale. Provare in giudizio l’esistenza di un rapporto può non essere difficile, ma è invece molto più ostico dimostrarne l’esatto contenuto. Ciò vale, fra l’altro, per le eventuali pattuizioni che le parti desiderino concludere in deroga a norme di legge aventi mero carattere dispositivo (e cioè prive di natura imperativa).
Tali esigenze trovano risposta solo nella forma scritta.
Una volta stipulato per iscritto, se le parti nulla prevedono nel testo dell’accordo, un contratto ad uso diverso da abitazione può essere però modificato verbalmente. Sebbene ciò appaia semplificare la dinamica dei rapporti tra le parti, nella realtà così non è. Infatti, si ripropongono tutte le considerazioni di opportunità già illustrate, questa volta riferite all’esistenza ed al contenuto delle eventuali pattuizioni modificative.
Per ovviare a detti inconvenienti, predisponendo il testo del contratto le parti possono pattuire che le eventuali modificazioni vadano fatte esclusivamente per iscritto, imponendo così loro una forma convenzionale, specificando ulteriormente che essa è necessaria per la loro validità.
In mancanza di quest’ultima precisazione, soccorre l’art.1352 c.c., il quale introduce la presunzione (tuttavia superabile: Cassazione 24 giugno 2002, n.9164) che la forma scritta sia stata voluta dalle parti per la validità stessa della loro eventuale futura pattuizione.
Pattuita la forma scritta per i futuri accordi fra le parti, essa si applica anche a quelli sulla risoluzione consensuale del rapporto di locazione (Cassazione, 14 aprile 2000, n.4861).
Una volta inserita la clausola in questione, le parti devono però comportarsi in modo coerente. In effetti, bisogna evitare di incorrere nella situazione esaminata dalla sentenza 22 ottobre 2003, n.12344 (conforme 24 giugno 1997, n.5639; 5 ottobre 2000, n.13277), in cui la Cassazione ha sancito che, quand’anche le parti abbiano convenuto l’adozione della forma scritta per un determinato atto, nella loro autonomia negoziale possono successivamente rinunciare al succitato requisito anche tacitamente, e cioè mediante comportamenti incompatibili con il suo mantenimento.
In conclusione:
La forma scritta è necessaria per la validità delle modifiche ad un contratto di locazione ad uso abitativo. Per contro, ciò non è necessario con riferimento alle pattuizioni modificative di un contratto ad uso diverso da abitazione, a meno che nel suo testo sussista una clausola che impegna le parti ad adottare la forma scritta in tali circostanze, cosa alquanto opportuna.
Clausola contrattuale:
“Tutte le eventuali modifiche ai patti del presente contratto devono sempre avvenire per iscritto, forma richiesta per la loro validità”.
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