Morosità del conduttore

Nelle locazioni commerciali, cosa accade se in caso di morosità del conduttore, e cioè se il conduttore non paga il canone pattuito?


 

 

Tra le patologie del rapporto di locazione, la morosità del conduttore è purtroppo quella notoriamente più comune.

Sotto il profilo contrattuale, la miglior tutela possibile per il locatore è disporre di una garanzia – data da terzi solvibili e facilmente aggredibili, se non adempiono spontaneamente – che scatta in tale eventualità e consente al locatore di ottenere il pagamento di un importo complessivo quanto meno pari alla somma dei canoni di locazione e degli acconti spese, che maturano nel tempo necessario per ottenere una convalida di sfratto e la relativa esecuzione coattiva.

Ricordato così in cosa consiste il nucleo essenziale della strategia contrattuale avverso il rischio di morosità del conduttore, si può passare a ricordare una differente clausola, spesso usata nella prassi ma sovente di dubbia efficacia. Si tratta della previsione che vieta al conduttore di sospendere il pagamento del canone, qualora egli abbia a muovere delle contestazioni avverso il locatore. Tale clausola (riconducibile all’idea del solve et repete) tende in sostanza a scoraggiare il conduttore dal formulare pretese pretestuose.

In via generale, la clausola di “solve et repete” è prevista all’art.1462 c.c. Essa preclude al debitore la possibilità di rifiutare il pagamento, sollevando eccezioni attinenti il rapporto sostanziale. Soltanto dopo avere corrisposto il pagamento, il debitore potrà agire per ripeterlo dalla controparte, se egli riesce a dimostrare la fondatezza delle proprie eccezioni.

Tale clausola è vitale in tutte le ipotesi in cui un adempimento ritardato sarebbe privo di utilità per il creditore: in simile contesto, la pattuizione in questione non muta affatto l’equilibrio sinallagmatico del rapporto, tendendo bensì a conservarlo.

L’ambito di operatività di detta clausola è però circoscritto.

In primo luogo, sono escluse le eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione del contratto, già ai sensi del testo letterale della norma citata.

In secondo luogo, siccome la clausola presuppone la conservazione del contratto in cui è contenuta, non può essere invocata dal contraente che ne chiede la risoluzione (Cassazione, 30 aprile 1956, n.1361).

In terzo luogo, si ritiene che essa nemmeno sia efficace a paralizzare le eccezioni sull’esistenza di fatti estintivi del credito, quali l’adempimento, la compensazione, la remissione, la novazione, la transazione, la prescrizione, l’impossibilità sopravvenuta.

Non restano, allora, che le eccezioni di inadempimento. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, la clausola non vale a paralizzarle tutte, ma solo quelle di inesatto adempimento (sentenza 16 luglio 1994, n.6697):

 

“Secondo il costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte (v. Cass., 14 luglio 1967, n.1767, Cass., 16 luglio 1976, n.2819, Cass., 3 dicembre 1981 n.6406), cui si è puntualmente attenuta la Corte del merito, “la clausola contrattuale che precluda al debitore di sollevare qualsiasi contestazione, sia in sede di eccezione che in via riconvenzionale, prima dell’adempimento (cosiddetto solve et repete), non incide sulla validità del rapporto processuale in ordine alle eccezioni o domande riconvenzionali che siano state proposte dal debitore ancora inadempiente, ma comporta un impedimento di natura esclusivamente sostanziale all’esame delle medesime, ne consegue che l’adempimento del debitore in corso di causa determina il venire meno dell’indicato impedimento e consente l’esame delle eccezioni e delle riconvenzionali in precedenza ritualmente sollevate”.

Peraltro si è pure ribadito (v. Cass., 3 dicembre 1981, n.6406) che la garanzia da eccezioni dilatorie, propria della clausola “solve et repete”, non ha un’efficacia tale da paralizzare in toto l’exceptio inadimpleti contractus, bensì resta correlata all’ambito di operatività dell’exceptio non rite adimpleti contractus, sicché essa non incide sulla possibilità di far valere la mancata esecuzione, totale o parziale, della controprestazione”.

 

Visto il limitato ambito di applicazione, la clausola in questione perde d’interesse. Con riferimento alla disciplina delle locazioni, sembra più interessante la giurisprudenza che censura il cosiddetto fenomeno della “autoriduzione” del canone, unilateralmente attuata dal conduttore per reagire contro asseriti inadempimenti della controparte (Cassazione, 17 maggio 1983, n.3411; 3 marzo 1997, n.1870; 3 dicembre 1998, n.12253; 1 giugno 2000, n.7269). Così anche nella pronuncia più recente (1 giugno 2006, n.13133):

 

“Afferma infatti, la giurisprudenza di questa Corte che: “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti” (cfr. Cassazione 3^ sezione civile n.14739 del 13 luglio 2005)”.

 

Di conseguenza, risulta alquanto limitato lo spazio in cui la “autoriduzione” del canone è legittima, e cioè quando rappresenta effettivamente una proporzionata (Cassazione, 11 febbraio 2005, n.2855) e ragionevole reazione (16 maggio 2005, n.10185) all’inadempimento comprovato del locatore, configurabile solo in presenza del totale venir meno della propria prestazione, come appare dalla sentenza n.14753, resa dalla Suprema Corte il 13 luglio 2005:

 

“La giurisprudenza ha ripetutamente ribadito il principio secondo il quale la principale e fondamentale obbligazione del conduttore di immobili è il pagamento del canone di locazione, sì che non gli è consentito di astenersi dal corrisponderlo anche nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione del godimento del bene, nemmeno nel caso in cui egli assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. Infatti la sospensione dell’adempimento di detta obbligazione, ai sensi dell’art.1460 cod. civ., è legittima soltanto quando sia giudizialmente accertato che è venuta completamente a mancare la prestazione della controparte, altrimenti costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore che altera il sinallagma contrattuale e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di un’unilaterale ragion fattasi del conduttore, che perciò configura inadempimento colpevole all’obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato e all’obbligazione principale per il conduttore.

A ciò deve aggiungersi che per la configurabilità del sopravvenuto difetto funzionale della causa del contratto per impossibilità sopravvenuta di adempimento della controprestazione, la sospensione della prestazione sinallagmatica – secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum” – è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, il che è da escludere se il conduttore continua a godere dell’immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assume l’inutilizzabilità del bene all’uso convenuto, perché in tal modo fa venir meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Dunque in tal caso, per conformare il suo comportamento a buona fede, può soltanto chiedere una riduzione del canone proporzionata all’entità del mancato godimento, in analogia al disposto dell’art.1584 cod. civ. (applicazione del principio dell’art.1464 cod. civ.) per la diminuita utilizzabilità economica del bene a causa delle riparazioni su di esso, ovvero può chiedere la risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (Cass. 3341/2001)”.

 

In base a quanto sopra, allora, l’inadempimento del locatore non deve condurre ad una mera diminuzione del godimento del bene, ma ad una totale inidoneità dell’immobile a svolgere la propria funzione (Cassazione, 16 maggio 2005, n.10185).

Più sfumata, però, è la pronuncia del 27 febbraio 2004, n.3991, dove i giudici legittimano l’opposizione dell’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” in presenza sì di una oggettiva mancanza della controprestazione del locatore, ma ravvisabile già quando la condotta colposa di quest’ultimo ostacola il pieno godimento dell’immobile locato da parte del conduttore:

 

“… se l’eccezione di inadempimento può essere opposta dal conduttore solo in presenza di un inadempimento dipendente da colpa, anche se non totale (Cass. 7 marzo 2001 n.3341), quando il locatore agisce, come ha fatto in questo caso, per ottenere l’intero pagamento del canone, il conduttore, nel caso di oggettiva mancanza della controprestazione del locatore, può opporgli in via di eccezione, non il diritto a restare nella cosa locata senza pagare alcun canone sino alla naturale conclusione del contratto ed in attesa del ripristino del rapporto, ma certamente il diritto ad ottenere una riduzione del canone, che tenga conto della riduzione delle utilità che il conduttore si trova a ritrarre dalla detenzione del bene in una condizione in cui ne è ostacolato il pieno godimento contrattuale da parte sua (artt.1464 e 1584 c.c.)”.

 

 

Altro problema è capire quando la mora del conduttore risulta tale da consentire la risoluzione del contratto. In effetti, alle locazioni ad uso diverso da abitazione non si applica l’art.5 della legge 392/78 (Cassazione, 12 maggio 1999, n.4688; 4 agosto 2000, n.10239; 29 maggio 1995, n.6023; 10 giugno 2005, n.12321), in base al quale la mora del conduttore è causa di risoluzione del contratto nelle seguenti circostanze: se trattasi di somme dovute a titolo di canone, quando il mancato pagamento concerne una rata e sono decorsi venti giorni dalla relativa scadenza; se concerne invece oneri accessori il cui termine di pagamento è ormai decorso, quando il loro importo supera quello  di due mensilità del canone. Con riferimento a questi ultimi, poi, il conduttore inadempiente non può evitare la mora: quando trattasi di somme contrattualmente dovute a titolo di acconto; ovvero, quando trattasi di somme a saldo, se nel termine predetto egli non ha richiesto l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione ovvero di prendere visione dei documenti giustificativi (Cassazione, 24 gennaio 1996, n.540.

Pertanto, per le locazioni ad uso diverso da abitazione, è bene pattuire in quale misura la mora del conduttore rappresenta un inadempimento che giustifica la risoluzione del contratto. Altrimenti, provvede il giudice, limitandosi semmai ad utilizzare i criteri indicati nell’art.5 citato quali meri parametri di orientamento (Cassazione, 4 febbraio 2000, n.1234).

Il disposto da tale norma può conseguentemente essere trasfuso con sicurezza nel testo di una clausola contrattuale, sì da chiarire quando debba considerarsi essenziale la mora del conduttore di locali ad uso diverso da abitazione e quali ne siano gli effetti.

Sotto il profilo processuale, la giurisprudenza esclude l’applicabilità del “termine di grazia”, di cui all’art.55 della legge 392/78, ai rapporti di locazione ad uso diverso da abitazione. Pertanto, una volta notificatagli la citazione per convalida di sfratto (ex art.658 c.p.c.), il conduttore non gode della facoltà di sanare la morosità in udienza ovvero di chiedere in tale occasione un termine per adempiere, sì da impedire la convalida ed evitare il successivo sfratto  (Cassazione, Sezioni Unite, 28 aprile 1999, n.27211; 11 maggio 2005, n.9878).

Quanto alle modalità di pagamento, la Cassazione ha chiarito che – in assenza di specifiche pattuizioni specifiche o di prassi instauratesi tra le parti (com’è il caso del pagamento tramite bonifici bancari ripetuto nel tempo) – l’invio di un assegno di conto corrente per effettuare il pagamento non ha efficacia liberatoria, se non viene accettato dal locatore creditore (5 gennaio 1981, n.24; 3 febbraio 1995, n.1326; nonché le Sezioni Unite, 28 dicembre 1990, n.12210).

Infine, quando conduttore è la Pubblica Amministrazione, a quest’ultima non è concesso giustificare la propria morosità invocando i vincoli derivanti dalle regole sulla contabilità di Stato, quali quelle che impongono la formazione dei titoli di spesa (Cassazione, 18 ottobre 1982, n.5406; 13 maggio 1983, n.3271).

 

 APPROFONDIMENTO:

In conclusione:

 

Per proteggersi contro il rischio della morosità del conduttore, l’unico modo efficace è stipulare il contratto solo in presenza di una garanzia data da terzi solvibili, i quali assicurano il pagamento di un importo pari quanto meno alla somma dei canoni di locazione e acconti spese che maturano nel tempo necessario per portare a termine una procedura esecutiva di sfratto

 

Clausola contrattuale:

 

– in vista della prestazione di una garanzia

“L’efficacia del presente contratto resta sospensivamente condizionata al fatto che il conduttore consegni al locatore la garanzia di cui all’Allegato n.1 al presente contratto (*), prestata in favore di quest’ultimo da primario istituto bancario o primaria società assicuratrice (italiani o con rappresentante stabile in Italia).

Il presente contratto perderà automaticamente ogni suo effetto, qualora:

a) entro trenta giorni dalla sua sottoscrizione il conduttore non consegni al locatore la garanzia di cui al paragrafo precedente, validamente prestata da uno dei soggetti sopra indicati;

nonché

b) la garanzia in questione venga meno per qualsiasi ragione.

Nel periodo in cui l’efficacia del presente contratto resta sospensivamente condizionata, il conduttore non avrà il possesso dell’immobile”.

(*) allegare al contratto il testo della garanzia richiesta dal locatore

solve et repete

“Il pagamento del canone non potrà mai essere sospeso né ritardato da pretese ed eccezioni del conduttore, fatto comunque salvo al conduttore il successivo esercizio delle sue eventuali ragioni”.

 

– gravità della morosità

“Producono ipso iure la risoluzione anticipata del contratto, per fatto e colpa del conduttore ai sensi dell’art.1456 c.c., e l’insorgere del conseguente diritto in capo al locatore al risarcimento dei danni: il mancato pagamento di una rata del canone di locazione, che perduri oltre venti giorni dalla sua scadenza; il mancato pagamento degli oneri accessori, quando il loro importo supera quello di due mensilità del canone di locazione”.