La tutela delle denominazioni di origine e delle menzioni tradizionali comporta limitazioni all’uso dei nomi così protetti, che non possono essere usati come marchi (Conflitto denominazioni origine menzioni marchi caso Amarone Arte Tribunale Venezia).
Nel settembre 2017 il Tribunale di Venezia ha reso un’importante sentenza in materia, ritenendo che sia vietato utilizzare una menzione tradizionale “Amarone” quale componente di un marchio “Famiglie dell’Amarone d’Arte“, giacché ciò – per il carattere laudativo del termine “Arte” – crea indebite distinzioni tra i produttori della denominazione di origine (“Amarone”) cui è collegata la menzione stessa, consentendo che agli occhi dei consumatori appaiano più meritevoli e capaci i produttori del vino DOCG AMARONE che si fregiano di detto marchio rispetto a quelli che non avrebbero tale possibilità (Conflitto denominazioni origine menzioni marchi caso Amarone Arte Tribunale Venezia).
Di conseguenza, il citato marchio è nullo ed il suo utilizzo rappresenta altresì un atto di concorrenza sleale.
Il conflitto tra denominazioni di origine e marchi nonché quello tra questi ultimi e le menzioni tradizinali è regolato dalla normativa comunitaria (rispettivamente articoli 103 e 113 dela regolamento sulla OCM Unica nonché art.40 e 41 del suo regolamento attuativo 607/2009)
A prescindere dalle questioni giudiche (si vedrà se la decisione del Tribunale di Venezia diverrà definitiva), il caso pone un rilevante problema di ordine “politico”.
In effetti, le imprese che avevano registrato il marchio (“Le famiglie dell’Amarone d’Arte“) ritenuto nullo dal Tribunale, poichè in conflito con la menzione “Amarone” della DOP “Valpollicella”, avevano motivato la propria condotta nel seguente modo:
“la produzione di Amarone (“A.”) nel tempo era stata fatta oggetto di una crescita disequilibrata, fenomeno che il Consorzio non aveva efficacemente contrastato assumendo anzi un atteggiamento “contraddittorio” sfociato in particolare nel 2009 in un aumento della superficie viticola per poi abbassare la percentuale di cernita per le uve a riposo, il tutto a discapito dei vigneti altamente vocati che avevano pagato il prezzo legato alla percentuale di cernita ed erano stati altresì “affiancati” a nuovi vigneti entrati in produzione e destinati, anch’essi, alla produzione di Amarone (politica poi proseguita nel 2013 con la proposta di modifica dell’art. 4 del disciplinare di produzione dell’Amarone , ossia con proposta di estendere, ai fini dell’idoneità alla produzione del vino Amarone Valpollicella, l’area di produzione anche ai vigneti piantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle)”.
In sostanza, se detti argomenti trovano un effettivo riscontro nella realtà (essi non siano cioè meri assunti difensivi in sede processuale), emerge il conflitto tra due esisgenze contrapposte:
- da un canto, ampliare i territori di produzione delle uve di una denominazione di successo, in modo da soddisfare la crescente domanda di mercato (il vino è un prodotto economico, che va venduto, se si vuole ottenere reddito);
- dall’altro, salvaguardare la tipicità del vino stesso, e cioè quelle sue “qualità e le caratteristiche del prodotto sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani” (art.93, comma 1, lettera a, punto i, della Regolamento stesso sulla OCM Unica), che rappresentano la ragione stessa della tutela comunitaria in favore delle DOP!
In altre parole, se si estende il territorio di produzione in modo irragionevole, consentendo l’uso di uve provenienti da vigneti collocati in zone menifestamente poco idonee (quali i terreni situati in pianura o nel fondovalle), la bontà del vino così ottenuto – estremizzando – sarà maggiormente frutto delle tecniche di cantina sapientemene usate anziché della bontà dell’uva da cui è ottentuo.
A questo punto, allora, è proprio il consumatore a patire infine un pregiudizio ai suoi interessi economici (tutelati dall’art.80, comma 3, lettera c, nonché dall’art.92, comma 2, lettera a, del medesimo Regolamento sulla OCM Unica).
Inoltre, ciò mina la credibilità stessa della DOP: divenendo più lasso il legame con il territorio di produzione delle uve, il baricentro si sposta sulle pratiche di cantina, che in ultima analisi altro non sono che tecniche di produzione industriale attuabili ovunque nel mondo!
Si pensi allora al caso del Prosecco, un vero e proprio fenome di mercato, che sta collezionando ripetuti successi nelle vendite internazionali.
Originariamente, esisteva il vino veneto DOC “Conegliano” , che già compariva come oggetto di un accoro Italo-Francese per la reciproca protezione di alcune denominazioni di origine, tra cui “Prosecco di Conegliano”, da noi ratificato con legge 18 luglio 1949, n.766.
Il disciplinare di tale vino venne poi approvato con D.M. 2 aprile 1969.
Successivamente, “Prosecco” divenne una dizione tradizionale per i vini a denominazione “Conegliano/Valdobbiadene”.
Ancor dopo, nell’anno 2009, sull’onda del crescente successo di mercato del “Prosecco”, venne istituita la relativa DOP, il cui territorio comprende le province di Belluno, Gorizia, Padova, Pordenone, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza.
Nel contempo, però, “Conegliano/Valdobbiadene – Prosecco” venne trasformata in una DOCG, intesa come sottozona della DOP “Prosecco”. Lo stesso accadde per “Colli Asolani – Prosecco”
In tale caso, il passaggio di “Conegliano/Valdobbiadene – Prosecco” e “Colli Asolani – Prosecco”a DOCG rappresenta dunque lo strumento di garanzia e trasparenza in favore del consumatore, volto a segnalare la differenziazione sia della provenienza di tali vini rispetto a quelli della più ampia DOC Prosecco, sia il differente tenore organolettico.
Questa strada, però, non pare percorribile per l’Amarone, poiché esso già oggi è una DOCG.
Ciò spiega allora perché sia nato il conflitto su cui è stato chiamato a decidere il Tribunale di Venezia, il quale – nell’interesse di tutti – va risolto non solo sul piano giuridico.
Si impone infatti di evitare che una punta di diamante della produzione vinicola italiana rappresenti l’incoerenza capace di minare la credibilità dell’intero sistema delle nostre denominazioni di origine.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Ordinario di Venezia, Sezione Specializzata in materia di Impresa, in persona dei magistrati
Dott. GUZZO Liliana – presidente rel ed est.
Dott ZANON Gabriella – giudice
Dott. GASPARINI Martina – giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa rg 4350 2015
promossa da:
- CONSORZIO PER LA TUTELA VALPOLLICELLA
(…)
– attori
.
contro:
- LE FAMIGLIE DELL’AMARONE D’ARTE SOC. CONS. A R.L
(…)
– convenuti
.
oggetto: nullità marchio, denominazione, concorrenza sleale interferente
MOTIVAZIONE
Il Consorzio per la Tutela del Valpollicella (T.V). qualificatosi quale “Consorzio riconosciuto ai sensi dell’art. 17 comma 1 e 4 D.Lgs. n. 61 del 2010 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali Direzione Generale per la promozione della qualità agroalimentare, con riferimento alle d.o.c. “V.” e “V.R.” nonché alle d.o.c.g. “A.V.” e “R.V.” ed altresì i seguenti attori (di seguiti denominali “produttori”) e (…) formulando da ultimo le conclusioni trascritte in premessa.
A sostegno delle proprie domande gli attori hanno in sintesi esposto nei propri atti che :
– In sede nazionale, la menzione tradizionale “AMARONE VALPOLLICELLA (A.V.)”, già riconosciuta come d.o.c. con D.P.R. 21 agosto 1968, è stata riconosciuta come d.o.c.g. con D.M. 24 marzo 2010 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali che ha altresì approvato il vigente disciplinare di produzione che all’art. 7 comma 1 fa divieto che alla menzione tradizionale sia aggiunta “qualsiasi specificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione ivi compresi gli aggettivi “extra” fine scelto e similari”
– In sede europea la menzione tradizionale “A.V.” è stata come tale riconosciuta dal Reg. CE n. 607/2009 (approvato dalia Commissione ti 14.07.2009 ed entrato in vigore l’01.08.2009), ti cui all. XII, parte B, la descrive come “Menzione storica connessa esclusivamente al metodo di produzione della denominazione “Valpollicella” (“V”). È impiegata sin dall’antichità per identificare il luogo di origine di questo vino, ottenuto da uve appassite con un metodo di produzione specifico basato sulla completa fermentazione degli zuccheri: si spiega così l’origine del termine “Amarone” (“A.”). Si tratta di una menzione del tutto particolare e ampiamente conosciuta, in grado di identificare da sola il prodotto”; eguale descrizione si ritrova nella banca dati “E-Bacchus” gestita dalia Commissione, Direzione Generale per l’agricoltura e lo sviluppo rurale.
– Il Consorzio, costituito nel 1970 per la tutela delle denominazioni protette “VALPOLLICELLA” e “RIPASSO VALPOLLICELLA”, tutela dal 2000 anche le denominazioni “V.R.” e “A.V.” ed attualmente rappresenta circa l’80% di ciascuna delle categorie che compongono la filiera vinicola (viticoltori, vinificatori ed imbottigliatori) inerente alle quattro denominazioni tutelate,
– con D.M. 25 gennaio 2013, il Ministero ha riconosciuto il Consorzio incaricandolo di svolgere per la durata di tre anni le funzioni di tutela previste dall’art. 17, comma 1 e 4, D.Lgs. n. 61 del 2010, con riferimento alle d.oc. V.” e V.R.” nonché alle d.o.c.g “A.V.” e R.V.
– sia gli attori “produttori” che i convenuti soci della società consortile convenuta (di seguiti denominati “soci”) sono inseriti in forza della vigente normativa, nel sistema di controlli della d.o.c.g “A.V.” il cui organismo di certificazione istituzionale è S. s.p.a.
Gli attori hanno poi affermato che i convenuti (denominati soci) , rappresentanti all’inarca il 5% dei viticoltori e vinificatori inseriti nel sistema di controlli della d.o.c.g “A.V.”, avevano costituito in data 18.06.2009 ( ad eccezione di (…) S. s. che era entrata a far parte della società consortile nel 2015) una società consortile a responsabilità limitata, attribuendo ad essa la denominazione sociale “Le Famiglie dell’Amarone d’Arte” (“L.F.”) nell’intento di creare un soggetto collettivo che potesse sotto certi aspetti competere con il Consorzio attore.
Tale società consortile includeva nell’oggetto sociale le seguenti attività “tutela del vino denominato “AMARONE” (“A.”) come prodotto tipico del territorio veronese della V. ..; elaborazione e realizzazione di azioni di promozione, comunicazione e tutela tese alla valorizzazione commerciale del vino “A.V., organizzazione di eventi, mostre, convegni, workshop e attività coinvolgenti sia aziende associate che aziende non associate, rivolte a promuovere a livello nazionale e internazionale il vino “A.”; partecipazione attiva ai tavoli istituzionali contribuendo alla definizione delle politiche di promozione del vino “A.”; cura, sviluppo, diffusione dell’immagine del vino “A.” attraverso azioni di promozione e valorizzazione sul mercati nazionali ed internazionali; sostegno al successo del vino “A.” e dei marchi degli associati sui mercati nazionali ed internazionali …; individuazione di nuovi percorsi per la promozione del vino “A.” ricercando idonee sinergie con i settori più rappresentativi del made in Italy; creazione, deposito e utilizzo di un marchio che contraddistingua il vino “A.” prodotto dai soci consorziati“; inoltre la società consortile si era dotata di Regolamento Consortile il cui art. 4 rubricato “Disciplinare” descriveva , sulla falsariga di un disciplinare di produzione, alcuni requisiti che i Soci s’impegnavano a rispettare nella produzione del “vino “A.”” nonché nella organizzazione interna senza che però nessun soggetto o ente terzo fosse chiamato a vigilare sul rispetto di detto Regolamento e di detto disciplinare, peraltro neppure pubblicati.
Ancora gli attori hanno affermato che nel 2010 la società L.F. soc cons a r.l. aveva creato un logo costituito da una composizione grafica comprendente in posizione centrale la lettera “A” in stampatello maiuscolo, circondata da una cornice circolare formata superiormente da motivi ornamentali ed inferiormente da due diciture anch’esse in stampatello maiuscolo: la prima, più esterna, compone la scritta “Famiglie dell’Amarone d’Arte“; la seconda, più interna, componente la scritta “Amarone Families“, che ciascuno dei soci apponeva sulle proprie bottiglie a d.o.c.g. “A.V.”.
La società convenuta aveva altresì presentato in data 20.05.2010 in sede comunitaria, presso l’UAMI, domanda di registrazione di detto logo quale marchio comunitario per le classi merceologiche n. 35 e n. 41 ed era stata poi presentata anche una nuova domanda del 30.01.2014 di registrazione per le classi merceologiche n. 33 e 43: pendevano in sede europea procedimenti promossi dal Consorzio, volti ad accertare la nullità della prima registrazione e di opposizione alla seconda.
L.F. soc cons a r.l. aveva altresì presentato in sede nazionale presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi in data 24.5.2010 domanda n. (…) di registrazione di tale logo come marchio figurativo nazionale per le classi merceologiche n. 35 e 41 ed il marchio era stato registrato il 27.01.2011 con il n. (…)
Hanno inoltre affermato che varie erano state le pratiche commerciali e gli atti censurabili poste in essere dai convenuti ed elencati in dettaglio.
Ciò esposto hanno lamentato:
– l’uso illegittimo da parte de L.F. soc. cons. a r.l. nella propria denominazione sociale della menzione tradizionale “A.” c/o di un elemento costitutivo distintivo della d.o.c.g. “A.V.” in violazione dell’art. 26, co. 1, D.Lgs. n. 61 del 2010, dell’art. 5, co. 1, D.Lgs. n. 297 del 2004, degli artt. 103, 2, lett. a), e 113, 2, Reg. UE n. 1308/2013, degli artt. 19, 3, e 40, 2, Reg. CE n. 607/2009, nonché – quanto alla separazione della menzione “A.” dal toponimo “V.” – in violazione dell’art. 19, 3, Reg. CE n. 607/2009, in combinato disposto con l’all. XII, parte B, dello stesso Regolamento
– la nullità del marchio figurativo registrato da L.F. soc. cons. a r.l. presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi con n. (…) del 27.01.2011, per contrarietà alla legge ex artt. 25, lett. b), c 14, co. I, lett. a) e b), D.Lgs. n. 30 del 2005, poiché in violazione dell’art. 29, D.Lgs. n. 30 del 2005, dell’art. 20, co 1, 2 e 4 D.Lgs. n. 61 del 2010, nonché dell’art. 102, 1, Reg. UE n. 1308/2013 e degli artt. 19, 3, 40, 2, e 41, 1, Reg CE n. 607/2009,
– la esistenza di pratiche commerciali scorrette e di concorrenza sleale dei soci dei soci de L.F. soc. cons. a r.l. in danni dei Produttori e degli altri produttori di vino a d.o.c.g A.V. consistenti :
- nell’utilizzo della menzione protetta per promuovere selettivamente i propri prodotti e ciò anche per quelli di diversa denominazione od indicazione geografica
- nello svolgimento di attività promozionale e commerciale volta ad indurre erroneamente i consumatori a ritenere che esistesse un vino denominato Amarone d’Arte ” o di serie A o con la A maiuscola il quale si distinguerebbe per miglior qualità dagli altri vini a d.o.c.g. A.V. non prodotto regola d’arte o di serie B o con la “a” minuscola e ciò in violazione degli artt. 20, co. 1 e 2,23, co. 3, e 26, co 2, D.Lgs. n. 61 del 2010 nonché dell’art. 2598 n. 1 e 3 c.c. e degli art. 20 comma 1 e 21 co. 2 lett. a) DLGS 206 /2005.
Tutto ciò attraverso attività di comunicazione convegnistica e realizzazione di eventi, distinzione dei propri prodotti con un apposito specifico logo con finalità di garantire “su ogni bottiglia l’A. con la A maiuscola” introducendo per questa via la suggestione di un A. “speciale”, la registrazione dello stesso logo quale marchio comunitario e nazionale; l’organizzazione di eventi nei quali i soci promuovevano anche la vendita di altri vini di loro produzione sfruttando così il veicolo pubblicitario costituito dalla d.o.c.g “A.V.”; la pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 2, co. 1, lett. b), D.Lgs. n. 145 del 2007, anche in relazione all’adozione di un asserito codice di condotta non assistito da alcuna garanzia di terzietà; lo svolgimento di pubblicità comparativa basata su elementi non obiettivi e non verificabili, in violazione dell’art. 4, co. 1, lett. c) e d), D.Lgs. n. 145 del 2007; l’adozione di pratiche commerciali ingannevoli.
Hanno formulato le conclusioni trascritte in premessa.
I convenuti hanno svolto alcune considerazioni ” preliminari ” circa il fatto che la produzione di “A.” nel tempo era stata fatta oggetto di una crescita disequilibrata, fenomeno che il Consorzio non aveva efficacemente contrastato assumendo anzi un atteggiamento “contraddittorio” sfociato in particolare nel 2009 in un aumento della superficie viticola per poi abbassare la percentuale di cernita per le uve a riposo, il tutto a discapito dei vigneti altamente vocati che avevano pagato il prezzo legato alla percentuale di cernita ed erano stati altresì “affiancati” a nuovi vigneti entrati in produzione e destinati, anch’essi, alla produzione di A., (politica poi proseguita nel 2013 con la proposta di modifica dell’art. 4 del disciplinare di produzione dell’A., ossia con proposta di estendere, ai fini dell’idoneità alla produzione del vino A.V.,l’area di produzione anche ai vigneti piantati su terreni freschi, situati in pianura o nei fondovalle).
Hanno altresì asserito che la costituzione della società Consortile convenuta era avvenuta nel 2009 anteriormente al D.Lgs. n. 61 del 2010 ed aveva avuto l’unico intento di promozione e diffusione dell’Amarono di produzione delle “famiglie”, quale risultato del rispetto di un “disciplinare” adottato secondo i canoni della tradizione più autentica.
Ciò premesso hanno in primis eccepito la carenza di legittimazione attiva del Consorzio sul rilievo che il decreto 25.1.2013 (GU 32 del 7.2.2013) – con il quale era avvenuto il Riconoscimento del Consorzio per la T.V. e vi era stato conferimento dell’incarico erga omnes – era viziato per violazione di legge e doveva esser disapplicato: ciò in quanto l’ente consortile, non era mai stato in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa per il riconoscimento ai sensi dell’art. 17 comma 1 del D.Lgs. n. 61 del 2010, né lo era a) momento del riconoscimento, avvenuto con il citato decreto del 25 gennaio 2013
Sul punto hanno dedotto che uno dei presupposti per ottenere il riconoscimento erga omnes era integrato dall’adozione di uno statuto conforme alle prescrizioni del D.M. 16 dicembre 2010 nel mentre lo statuto era stato adottato dal Consorzio con provvedimento assembleare viziato per difetto del quorum necessario per le assemblee straordinarie.
Hanno altresì eccepito che anche a prescindere dalla sussistenza o meno del potere del Consorzio a rappresentare collettivamente in giudizio ex art. 81 c.p.c. i componenti della filiera vinicola inseriti nel sistema dei controlli della denominazione tutelata, esso e le singole aziende produttive non avevano comunque alcuna legittimazione a richiedere provvedimenti inibitori all’uso dell’attuale denominazione della società consortile convenuto per violazioni della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 61 del 2010, in ragione del fatto che il potere sanzionatorio in merito a pretese violazioni della disciplina del D.Lgs. n. 61 del 2010 era riservato al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (poteri che allo stato il Ministero non aveva inteso azionare) cosi come non spettava al Consorzio la legittimazione a richiedere una pronuncia di nullità del marchio registrato presso l’UIBM.
Nel merito hanno poi esposta in sintesi quanto segue.
Denominazione sociale
Sul punto hanno premesso che i vincoli e le sanzioni connesse all’uso delle menzioni tradizionali e delle denominazioni di origine di cui alla normativa richiamata dagli attori erano nati non come strumento per contrastare l’operato di un soggetto legittimamente immesso nella filiera, bensì per garantire una tutela agile ed effettiva alla denominazione di origine nei confronti di soggetti esterni.
Hanno negato che sussistesse violazione degli artt. 26 comma 1 D.Lgs. n. 61 del 2010, 5 comma 1 D.Lgs. n. 297 del 2004, 113 2 Reg. Ue 1308/2013 e 40 Reg. Cc 607/2009 osservando innanzitutto quanto al D.Lgs. n. 61 del 2010 che l’utilizzo della denominazione della società consortile risaliva a data antecedente all’entrata in vigore di detto Decreto legislativo.
Hanno poi rilevato che la denominazione protetta il cui uso era riservato al Consorzio di Tutela era “A.V.” mentre nella denominazione della società consortile convenuta veniva usato il solo termine “A.”
Hanno asserito che gli attori avevano confuso la disciplina delle denominazioni tutelate con quella delle menzioni tradizionali. Quanto al fatto che “A.” fosse termine che individuava anche una “menzione tradizionale” hanno affermato che se era vero che la normativa europea di cui ai Reg. UE 1308/2013 e Reg. Ce 607/2009 dettava norme di tutela delle “menzioni tradizionali” espressamente includendovi la menzione “A.”, era altrettanto vero che il fine di detta tutela era scongiurare prassi che potessero indurre in errore il consumatore: detta disciplina non vietava in assoluto l’inserimento in una denominazione sociale o in un marchio di una D.O. ma richiedeva che ciò non fosse fatto al fine di indurre in errore il consumatore e nel caso di specie sussisteva il pieno diritto della società consortile e dei soci di utilizzare la menzione tradizionale “A.” poiché ciò avveniva in riferimento ad un prodotto che aveva tutti i requisiti previsti dal disciplinare di produzione della denominazione citata.
Marchio nazionale registrato
I convenuti hanno preliminarmente dato atto di aver proceduto in data 16.9.2015 alla limitazione del marchio aggiungendo ai servizi protetti la seguente dicitura: “tutti i servizi si riferiscono a vini conformità con la denominazione di origine protetta A.V.”.
Hanno poi negato la sussistenza di violazione dell’art. 25 lett. b) ) e dell’art.14 co. 1, lett b D.Lgs. n. 30 del 2005 (c.P.i) e negato altresì che il marchio fosse confliggente con le norme dettate in materia di denominazioni protette e in particolare dell’art. 20 n 4 D.Lgs. n. 61 del 2010 e dell’art. 40 Reg Cc 607/2009
Hanno contestato la tesi attorea secondo cui il marchio in oggetto sarebbe idoneo a trarre in inganno il pubblico dei consumatori in ordine alla natura e alla qualità del vino prodotto (in quanto secondo la prospettazione attorea con questo marchio verrebbe presentato un prodotto diverso e migliore rispetto al normale “A.V.”) in contrasto con . 25 lett. b) ) e dell’art.14 co. 1, lett b D.Lgs. n. 30 del 2005 (c.P.i) e con le norme in materia di denominazione protetta osservando che le convenute “socie” della società consortile erano aziende rinomate che da anni producevano il vino docg nel pieno rispetto delle regole di produzione del disciplinare medesimo, e risultavano dunque legittimate all’utilizzo della denominazione “A.V.” e che lo stesso disciplinare del Consorzio attoreo al comma 2 dell’art. 7 consentiva ” l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati o di consorzi, purché non abbiano significato laudativo e non siano tali da trarre in inganno l’acquirente”.
Hanno affermato sul punto che il marchio “F.A.” non aveva alcuna connotazione laudativa, dato che né il termine “famiglie” né l’espressione “d’arte” avevano carattere elogiativo. Quest’ultimo in particolare nelle intenzioni delle imprese associate era volto ad indica la “capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche”; in ogni caso, comunque venisse interpretata l’ espressione in esame essa risultava in ogni caso neutra per il consumatore medio e priva di qualsivoglia significato laudativo o discretivo in quanto le espressioni “d’Arte”, “fatto a regola d’arte” o similari erano slogan oramai “volgarizzati”, utilizzati in vari settori merceologici e privi di autonoma capacità persuasiva e/o selettivamente decisoria presso il consumatore medio.
Hanno inoltre affermato che le indicazioni protette aveva avuto una regolamentazione con il Reg. CE 479/2008 che stabiliva, all’ art. 44) la nullità tout court del segno successivamente registrato contenente una menzione tradizionale senza alcuna eccezione ma tale norma era stata sostituita dal Reg. CE 607/2009 e che dal combinato disposto degli artt. 40 e 44 del Reg CE 607/2009 era desumibile che la tutela della menzione protetta con riferimento al marchio era riferita alle sole ipotesi di usurpazione/confusione per i consumatori il che era da escludersi nella fattispecie poiché il marchio era stato registrato con la successiva limitazione che i “suddetti servizi si riferiscono a vini in conformità con la denominazione di origine protetta A.V.”.
Hanno altresì affermato che Il D.Lgs. n. 61 del 2010 nello stabilire all’art. 20 (Impiego delle denominazioni geografiche) che “Dalla data di iscrizione nel “registro comunitario delle DOP e IGP”, le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche non possono essere usate se non in conformità a quanto stabilito nei relativi disciplinari di produzione” aveva recepito quanto indicato nell’ art. 44 del Reg. CE 479/2008, non accorgendosi che “nel frattempo in ambito comunitario, i citati artt. 40 e 41 Reg. CE 607/2009 avevano rivoluzionato la materia secondo i principi sopra esposti” ed hanno affermato che la norma nazionale del D.Lgs. n. 61 del 2010 era contrastante con quella comunitaria considerato anche il successivo Reg CE 1308/2013 che all’art. 113 lett. c) vietava l’uso di una menzione tradizionale solo quando ciò integrava pratiche o circostanze atte ad indurre il errore il consumatore
Hanno chiesto sul punto che il procedimento venisse sospeso per sottoporre alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale riportata nelle “conclusioni” trascritte in premessa e chiesto che comunque l’art. 20 D.Lgs. n. 61 del 2010 venisse disapplicato per contrarietà con la normativa europea stante la prevalenza del diritto comunitario sul i nazionale
Infine hanno anche affermato che l’art. 113 Reg Ce 1308/2013 riecheggiando quanto già previsto dagli artt. 40 e 41 Reg CE 607/2009 limitava l’ambito di protezione delle denominazioni tradizionali alla sola funzione di indicatore di provenienza escludendo in radice la tutela della funzione di collettore di clientela del marchio;
in ogni caso il marchio registrato si riferiva ai servizi della classe 35 e 41 e non a vini mentre la norma di cui all’art. 44 reg CE 479/2008 concerneva solo i marchi riguardanti prodotti rientranti nelle categorie elencate nell’allegato IV dello stesso regolamento.
Concorrenza sleale; danni
Hanno contestato nel dettaglio le asserite illiceità ed altresì la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni.
La causa è stata istruita solo documentalmente, precisate le conclusioni come trascritte in premessa all’esito del deposito delle memorie ex art. 183 VI comma c.p.c. e concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c. nonché effettuata la discussione orale la causa è stata trattenuta dal Collegio in decisione.
Giova premettere che le questioni relative alle censure all’operato del Consorzio attore, mosse dai convenuti ( e sulle quali gli attori hanno comunque replicato), sono estranee alla materia del contendere che concerne la liceità o meno della denominazione della società convenuta, del marchino nazionale registrato e delle attività prospettate dagli attori quali attività concorrenza sleale.
Questione pregiudiziale
Va innanzitutto rilevato che in forza della potestà regolamentare conferita dagli artt. 32 e 37 TCE, del Trattato CE vigente anteriormente all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, è stato emanato il Reg. CE n. 479/2008, disciplinante fra l’altro le denominazioni d’origine, le indicazioni geografiche e le menzioni tradizionali.
Gli stessi artt. 63 e 113, 1, del Regolamento hanno attribuito alla Commissione una potestà regolamentare “di secondo grado”, esecutiva/ attuativa delle disposizioni generali ed il Reg CE 607/2009 è per l’appunto espressione di tale potestà di secondo grado , attuativa” del Reg CE 479/2008 di tal che esso non può aver abrogato il Reg CE 479/2008 in nessuna sua parte.
Va peraltro precisato che dal Regolamento attuativo CE 607/2009 all’esito della modifica effettuata dal Reg. CE n. 538/2011 (art. 1, 3 e 4) è stato eliminato il precedente limite all’esclusione dalla registrazione e alla sanzione di nullità dei marchi d’impresa per il ” vino che ha diritto all’uso di tale menzione tradizionale”.
Il legislatore italiano, con la Legge delega n. 88/2009 e con il D.Lgs. n. 61 del 2010, non ha affatto ignorato il Reg CE 607/2009 posto che il D.Lgs. n. 61 del 2010 fa riferimento sia al Reg. CE n. 479/2008 sia alle norme di attuazione contenute nel Reg. CE n. 607/2009 ( richiamato nel preambolo e in vari articoli quali gli artt. 7, co. 1;9, co 3; 10,co. 3; 11, co. 1; 14, co. 9; ecc.) attuativo del REG 479/2008 fatto oggetto della legge delega (né può ritenersi che ciò esorbiti dai limiti della legge delega trattandosi di richiamo ad un regolamento attuativo di quello fatto oggetto della legge delega stessa).
Il Reg. CE n. 479/2008 è stato poi abrogato dal Reg. n. 491/2009 emanato dal Consiglio (e di tale abrogazione dà atto il D.Lgs. n. 61 del 2010) che ha stabilito di trasfondere le norme di cui al Reg. CE n. 479/2008 nel previgente Reg. CE n. 1234/2007(“Regolamento Unico OCM”): la normativa sulle denominazione d’origine, indicazioni geografiche e menzioni tradizionali all’esito di ciò si ritrovava negli artt. 118 bis e seguenti Reg CE n. 1234/2007
A sua volta il Reg CE 1234/2007 è stato abrogato dal Reg CE 1308/2013 (che prevede anch’esso agli artt. 109, 114 e 227 potestà regolamentare di esecuzione della Commissione) e la normativa sulle denominazione d’origine, indicazioni geografiche e menzioni tradizionali si ritrova negli art. 92 e segg. di tale ultimo regolamento
In sede nazionale da ultimo è entrata il vigore la L. 12 dicembre 2016, n. 238 (Disciplina Organica della Coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino) che ha abrogato espressamente il D.Lgs. n. 61 del 2010, all’art. 1 la legge precisa per quel che qui rileva che: ” La presente legge reca le norma nazionali per la produzione, la commercializzazione, le denominazioni di origine, le indicazioni geografiche, le menzioni tradizionali, l’etichettatura e la presentazione, la gestione, i controlli e il sistema sanzionatorio dei prodotti vitivinicoli di cui ai regolamenti (UE) n 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, e n. 1306/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013 nonche’ al regolamento delegato (UE) 2016/1149 della Commissione, del 15 aprile 2016, e al regolamento di esecuzione (UE) 2016/1150 della Commissione, del 15 aprile 2016..”
Tale legge precisa altresì all’art. 26 che : “1 Le definizioni di “denominazione di origine” e di “indicazione geografica” dei prodotti vitivinicoli sono quelle stabilite dall’articolo 93 dei regolamento (UE) n. 1308/2013 2 Le DOP e le IGP, per le quali e’ assicurata la protezione ai senti del regolamento (UE) n. 1308/2013 e del regolamento (UE) n. 1306/2013, sono riservate ai prodotti vitivinicoli alle condizioni previste dalla vigerne normativa dell’Unione europea e dalla presente legge ”
Ciò esposto va rilevato che sia il considerando n. 28 del previgente regolamento CE n. 47/2008 considerando n. 93 del vigente regolamento UE n. 1308/2013 (///) tuttora in vigore prevedono che gli stati membri possano applicare norme più rigorose ; il considerando contribuisce a specificare l’oggetto e la portata del testo normativo di tal che la normativa nazionale su denominazioni d’origine, indicazioni geografiche e menzioni tradizionali qualora preveda standard di tutela più rigorosi non si pone in contrasto con la corrispondente normativa europea che vieta adozione di normative nazionali con standard inferiori di tutela
Ritiene dunque il Collegio sul punto che non sussistano dubbi interpretativi tali da consigliare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’ art. 267 T.F.UE su quanto indicato da parte convenuta Non senza altresì osservare che il rinvio non e in ogni caso necessario ai fini della decisione per quanto si dirà infra.
Legittimazione attiva
Parte convenuta adduce in primis l’illegittimità del D.M. del 25 gennaio 2013 di riconoscimento del Consorzia di Tutela attoreo (riconoscimento peraltro poi rinnovato per un ulteriore triennio con D.M. 14 marzo 2016) chiedendone la disapplicazione, viene addotta la illegittimità per la invalidità, “a monte”, della Delib. del 25 luglio 2012, con cui l’assemblea dei soci del Consorzio ha adeguato il proprio statuto ai requisiti stabiliti dall’art. 2, D.M. n. 50349 del 16 dicembre 2010, adeguamento necessario per il riconoscimento ministeriale del quale ora parte convenuta chiede la disapplicazione. La dedotta invalidità della delibera del Consorzio è fondata su difetto di quorum.
L’eccezione è infondata: in primis va rilevato che l’asserito difetto del quorum costitutivo è vizio che, qualora ipotizzato come esistente, non comporterebbe in ogni caso la nullità bensì mera annullabilità della delibera ed è dunque vizio che può esser fatto valere solo dai consorziati assenti, dissenzienti od astenuti, mediante impugnazione nel termine di legge: tale impugnazione non è avvenuta con la conseguenza che detta pretesa invalidità non può essere in alcun modo rilevata d’ufficio o fatta valere da chiunque abbia interesse.
A ciò si aggiunga, come ben osservato dagli attori, che il potere di disapplicazione incidentale degli atti amministrativi illegittimi attribuito ai giudici ordinari ex art. 4, co. 1, all. E, L. n. 2248 del 1865, è limitato al caso in cui “la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso” mentre nella fattispecie parte convenuta richiede la disapplicazione del decreto di riconoscimento del Consorzio a mera contestazione della legittimazione attiva vantata dallo stesso Consorzio.
E’ infondata anche la eccezione afferente la asserita mancanza di legittimazione attiva del Consorzio in relazione alte richieste concernenti la denominazione, eccezione che i convenuti fondano sul fatto che solo il Ministero avrebbe poteri sanzionatoti : devesi infatti osservare che nel presente procedimento il Consorzio non fa affatto valere un potere sanzionatorio ma, la lesione sul piano “civilistico” integrata dall’ uso improprio della denominazione tutelata e comunque da comportamenti vietati dalla legge per le quali ha legittimazione ad agire sulla scorta delle attribuzioni proprie dei Consorzi di Tutela, sin dalla L. n. 526 del 1999. All’art. 14 essa stabiliva che ai Consorzi di tutela riconosciuti dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali fossero attribuite funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale delle Indicazioni Geografiche, prevedendo in particolare che essi collaborassero secondo le direttive impartite dal Mipaaf, alla vigilanza, alla tutela e alla salvaguardia della DOI’ e della IGP da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietali dalla legge e prevedendo altresì quanto alla attività di tutela che “tale attività è esplicata ad ogni livello e nei confronti di chiunque, in ogni fase della produzione, della trasformazione e del commercio”.
Anche nella normativa successiva vi sono norme che attribuiscono la tutela delle D.o., ai Consorzi di Tutela, anche in sede giudiziale, : per quel che qui interessa ciò SI ritrova nello stesso art. 17 del D.Lgs. 61 del 2010 che precisa al comma 4 lettera c) che i Consorzio di Tutela di cui trattasi possono “agire in tutte le sede giudiziarie e amministrative per la tutela e fa salvaguardia della DOP e della JGP e per la tutela degli interessi e diritti dei produttori”e, da ultimo, anche nella L. n. 238 del 2016 che all’ art. 41 comma 1 lett c) ribadisce che spetta a detti consorzi “collaborare, secondo le direttive impartite dai Ministero, alla tutela e alla salvaguardia della DOP o dell’IGP da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge”;, prevedendo inoltre anch’essa che ai Consorzi di Tutela spetta “agire, in tutte le sedi giudiziarie e amministrative, per la tutela e la salvaguardia della DOP a dell’IGP e per la tutela degli interessi e dei diritti dei produttori”
Analoghe considerazioni -oltre che il generale disposto dell’art. 2601 c.c.- fondano la legittimazione del Consorzio ( oltre che dei produttori ) a reagire anche in sede giudiziale ad atti di slealtà concorrenziale; con la precisazione però che, come rilevato dalla Suprema Corte, sez. III con la sentenza n 7047 del 9.5.2012, la azione volta a reprimere fatti di concorrenza sleale che spetta agli enti esponenziali ex art. 2601 c.c. (e nella fattispecie attribuita al Consorzio di Tutelo sia ex art. 2601 c.c. sia ai sensi della normativa in materia di attribuzioni dei Consorzio di Tutela già richiamata in sentenza) è diversa da quella risarcitoria meramente eventuale prevista dall’art. 2600 c.c. che spelta al singolo e che l’ente esponenziale non ha legittimazione ad esercitare per i singoli Solo in relazione alla domanda di condanna risarcitoria generica, svolta dal Consorzio per i produttori non costituiti in giudizio va dunque affermata la carenza di legittimazione attiva del Consorzio,
Infine quanto alla legittimazione a proporre domanda di nullità del marchio nazionale va rilevato quanto segue: l’art. 122 c.p.i. al primo comma detta una regola generale in tema legittimazione per le azioni di nullità o decadenza delle privative industriali prevedendo che l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di decadenza o nullità di un titolo di proprietà industriale possa essere promossa da chiunque vi abbia interesse, per gli specifici casi di azione di nullità dei marchi e disegni e modelli vigono poi le regole dettate dalle norme speciali e cioè rispettivamente dal secondo e terzo comma dello stesso articolo che derogano a quanto previsto dal primo comma dell’art. 122 cpi.. In particolare, con riferimento, ai marchi l’art. 122 comma secondo c.p.i prevede che ” l’azione diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un marchio per la sussistenza di diritti anteriori oppure perchè l’uso del marchio costituirebbe violazione di un altrui diritto di autore, di proprietà industriale o altro diritto esclusivo di terzi…. può essere esercitata soltanto dal titolare dei diritti anteriori e dal suo avente causa o dall’avente diritto”, così configurando l’azione di nullità de qua come azione di nullità relativa sul punto non può dunque condividersi l’affermazione degli attori (ribadita anche in conclusionale) secondo cui chiunque abbia interesse può agire con l’azione di nullità di marchio.
Il Consorzio non ha la titolarità di inarchi collettivi anteriori atteso che in giudizio è emerso che è la C.C.I.A.A. di Verona, ad essere titolare dei marchi collettivi verbali “A.” ed “A.V.” anteriormente registrati presso l’UIBM.
Va però rilevato che tra i cd “diritti anteriori” da includersi tra quelli previsti dal secondo comma dell’art. 122 c.p.i vanno ricompresi anche i diritti afferenti le denominazioni di origine stante anche il disposto dell’art. 29 c.p.i; alla luce di ciò il Consorzio di Tutela, che ha attribuzione normativa di tutela della denominazione di origine in forza della normativa su richiamata, è legittimato anche ad agire in giudizio per la declaratoria di nullità di un segno/marchio che violi la normativa in materia denominazioni di origine
Denominazione della società consortile convenuta
Per il principio della “ragione liquida” va osservato quanto segue.
E’ infondata la difesa dei convenuti secondo cui la propria denominazione non violerebbe alcuna normativa vista la non applicabilità dell’art. 26, co. 2, D.Lgs. n. 61 del 2010 per essere detta norma entrata in vigore successivamente alla adozione della denominazione sociale avvenuta nel 2009, giova infatti rilevare che tale norma – concernente specificamente il settore vinicolo – non ha fatto altro che riprodurre il disposto dell’art. 5 primo comma del D.Lgs. n. 297 del 2004 vigente anche all’epoca della assunzione della denominazione di cui trattasi da parte della società consortile, che sanziona 1′ “uso della denominazione protetta, nella ragione o denominazione sociale di un organizzazione diversa dal Consorzio di tutela” uso con tutta evidenza dunque anche in allora vietato, poi vietato dal D.Lgs. n. 61 del 2010 cd attualmente vietato dalla L. n. 238 del 2016: il divieto insomma vige quantomeno dalla entrata in vigore del D.Lgs. n. 297 del 2004 ed è stato confermato dalla normativa succedutasi sino a tutt’oggi.
Non vi è dubbio poi che la menzione “A.V.” era già denominazione protetta nel 2009 essendo in sede nazionale stata riconosciuta come d.o.c. sin dal D.P.R. 21 agosto 1968 ( essa è stata poi riconosciuta come d.o.c.g. sin dal D.M. 24 marzo 2010 mentre in sede europea la menzione tradizionale “A.V.” è stata come tale riconosciuta dal Reg. CE n. 607/2009 all. XII, parte B, e poi riconosciuta dal 2011 anche come d.o.p. )
Il divieto di uso di denominazione protetta non è leggibile nel senso che il divieto riguardi solo l’uso della denominazione per intero, dovendosi per contro ritenere, che sia vietato anche l’uso di parte di essa qualora tale parte sia integrata da elementi caratterizzanti, distintivi della denominazione stessa, idonei come tali a produrre lo stesso effetto dell’uso della denominazione intera, ( c cioè l’effetto di indurre in errore il consumatore nella individuazione del soggetto cui sono istituzionalmente attribuite le funzioni di tutela). Tale principio, insito nel divieto stesso, è stato peraltro esplicitato in sede regolamentare europea nell’art. 19, 3, Reg. CE n. 607/2009, secondo cui la protezione “si applica al nome intero, compresi i suoi elementi costitutivi, purché siano di per sé distintivi”.
Indubbiamente il termine “Amarone” è elemento distintivo ed esso non può dunque essere utilizzato nella denominazione sociale della società consortile convenuta.
Neppure può dirsi (come affermato dai convenuti) che la società L.F. soc. cons. a r.l. possa comunque usare la menzione “A.” perché i suoi soci producono vini docg essendo assorbente il rilievo che trattasi di società a responsabilità limitata con personalità distinta dai propri soci, e come tale non certo inserita nel sistema di certificazione e controllo del Disciplinare di produzione della docg ; proprio il fatto che si tratti di società consortile che ha quale oggetto sociale l’ effettuazione di servizi peraltro aggrava la possibilità di errore individuazione del soggetto cui sono istituzionalmente attribuite le funzioni di tutela.
Non senza rilevare per completezza che nella denominazione il termine “Amarone” è associata alla espressione “d’Arte” con tutti i rilievi sul punto svolti che verranno svolti infra.
Ciò è sufficiente per la illegittimità della denominazione della società convenuta e del suo uso
Va conseguentemente inibito a L.F. soc. cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, l’uso nella propria denominazione sociale della menzione tradizionale “A.” e di ogni riferimento alla d.o.c.g. “A.V.”, con ordine a detta società di provvedere alla modificazione della denominazione sociale di cui trattasi con eliminazione di ogni riferimento alla d.o.c.g. “A.V.” o di sue parti distintive e così pure dal nome a dominio dei siti web www.amaronefamilies.it e www.amar.one.
Marchio nazionale registrato
Trattasi del marchio di cui alla domanda in data 24.5.2010 n. (…) registrato il 27.01.2011 con il n. (…) per le classi merceologiche n. 35 e 41 con successiva limitazione (del 16.9.2015) dei servizi protetti effettuata con la seguente dicitura: “tutti i servizi si riferiscono a vini conformità con la denominazione di origine protetta A.V.”.
Il marchio consta di una composizione grafica comprendente la lett. A circondata da una cornice circolare formata superiormente da motivi ornamentali ed inferiormente da una prima dicitura “F.A.” e una seconda più interna componente la scritta “A.F.”
Parte attrice ha invocato, trattandosi di privativa nazionale, in primis la violazione dell’art. 25 lett. b) ) in relazione al disposto dell’art.14 co. 1, lett b) c.p.i per contrasto con disposizioni di legge. Quale disposizione di legge ha indicato l’art. 20 n 4 D.Lgs. n. 61 del 2010 secondo cui che le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche protette non possono essere usate se non in conformità a quanto stabilito nei relativi disciplinari di produzione. Tale norma è stata medio tempore abrogata dalla L. n. 238 del 2016 il cui art. 44 (“Utilizzo delle denominazioni geografiche, delle menzioni tradizionali e delle altre indicazioni riservate ai prodotti vitivinicoli DOP e IGP”) prevede che; “1. Dalla data di iscrizione nel registro delle DOP e IGP della Commissione europea, le DO e le IG, le menzioni tradizionali, le unita’ geografiche piu’ grandi, le sottozone e le unita’ geografiche piu’ piccole e le altre indicazioni riservate alle rispettive DOP e IGP non possono essere usate se non in conformita’ a quanto stabilito nei relativi disciplinari di produzione, nella specifica normativa dell’Unione europea e nella presente legge”.
2. A decorrere dalla stessa data di cui al comma 1, e’ vietata qualificare, direttamente o indirettamente, i prodotti che portano la denominazione di origine o l’indicazione geografica in modo non consentito dal rispettivo disciplinare di produzione ”
Alla luce di tali disposizioni e del disciplinare della DOCG – il cui art. 7 comma 1 fa divieto che alla menzione tradizionale sia aggiunta “qualsiasi specificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare di produzione Ivi compresi gli oggettivi “extra”, “fine”, scelto e similari- va valutato il marchio nazionale in esame.
Deve convenirsi con gli attori che la scritta F.A. posta con particolare evidenziazione e grandezza dei caratteri nel contesto del marchio e occupante parte consistente della circonferenza esterna inferiore del marchio stesso ha valenza laudativa inducendo il consumatore a ritenere che ci si riferisca a vino -all’interno dei vini docg Amarone Valpolicella – “d’arte” ovviamente contrapposto agli altri vini docg A.marone Valpoliccela “non d’arte”. I convenuti hanno affermato che l’espressione “d’Arte”, sarebbe riferita non già al vino, quanto piuttosto all’attività produttiva dei Soci che “si comportano secondo le buone regole che disciplinano la materia” ossia “a regola d’arte” (si veda pag. 29 della comparsa di costituzione e risposta) e si tratterebbe di una espressione “neutra” anche per l’ampio uso nel commercio che di detta espressione viene fatto.
Nel marchio però a differenza di quanto sostenuto dai convenuti, con tutta evidenza l’espressione “d’Arte” è direttamente collegata non alla parola “Famiglie” ma alla parola “A.” che la precede immediatamente nel logo e tale diretto collegamento è vietato dalla normativa e dal disciplinare su richiamati e non può peraltro non creare nel consumatore la suggestione di un per l’appunto “Amarone d’Arte” che implicitamente si differenza da altro “Amarone” (non d’arte). Nel marchio tale impressione è ulteriormente rafforzata dall’ abbinamento alla lettera A posta in posizione di centralità nell’insieme del segno ed evocante sia la parola “Amarone” che “Arte” rafforzativa ulteriormente della suggestione di un vino Amarone di qualità superiore (con la A maiuscola).
Trattasi di utilizzo non consentito della denominazione d’origine.
La normativa di tutela delle denominazioni d’origine, e menzioni tradizionali (sia comunitaria che nazionale) è volta alla tutela di dette denominazioni d’origine, e menzioni tradizionali non soltanto dalle illecite appropriazioni da parte di soggetti esterni alla filiera ma anche dall’uso non corretto da parte dei componenti della filiera stessa.
Se invero i componenti della filiera della D.O. – che in quanto tali sono tutti assoggettati e vincolati al medesimo disciplinare di produzione – possono utilizzare nei modi previsti dalla legge ( che rimanda al disciplinare) la menzione tradizionale e le denominazione d’origine, essi non possono effettuare detto utilizzo con modalità vietate che violino la ratio e il sistema stesso di tutela delle D.O.: tale sistema prevede che qualsiasi “valorizzazione” di particolari metodi di elaborazione, zone di produzione ecc… che voglia fregiarsi della D.O. passi attraverso un sistema regolamentato dalla legge ed è vietato pertanto al di fuori di detta regolamentazione, accostare ad una D.O. qualsivoglia specificazione che non sia consentita dalla legge e dal disciplinare approvato.
L’uso di una parte caratteristica e distintiva della OCG rappresentata nel caso in esame dalla parola “Amarone” con la successiva immediata specificazione “d’arte” non è dunque consentita: essa è in primis vietata dall’ art. 7 l’ 2 del disciplinare che non consente specificazioni aggiuntive.
Detto uso del resto in forza del fatto che alla parola Amarone viene aggiunta l’espressione “d’Arte” come tale “laudativa”, è idoneo ad indurre in errore creando una suggestione di “sottocategoria” all’interno della filiera odcg, nel mentre nessuna differenziazione nell’ambito del sistema della Odcg “A.V.” è prevista dall’unico disciplinare di produzione approvato; né da ultimo una qualsivoglia differenziazione nell’ambito del sistema delle D.O. può avvenire come si è già detto su base “volontaria” al di fuori di qualsivoglia previsione normativo, senza che gli specifici più rigorosi disciplinari di produzione siano approvati secondo le procedure di legge e senza il sistema di controlli ex lege previsto.
Ciò non significa, come si dirà infra trattando degli addebiti di concorrenza sleale che le differenziazioni tra i vari produttori e prodotti – differenziazioni che ben possono esistere al di la del rispetto del disciplinare a cui tutti i componenti della filiera son tenuti – non possano essere promosse o valorizzate, ma detta promozione o valorizzazione deve in buona sostanza avvenire stante la normativa che tutela le D.O. in un regime di “separatezza” rispetto alle D.O., con modalità tali da non intaccare le D.O. medesime con indebiti specificazioni ed accostamenti.
Il marchio nazionale de quo che ingloba la espressione “A.A.” è dunque per tutto quanto esposto nullo.
Né rileva che il marchio sia stato registrato per i servizi attinenti al vino OCDG “A.V.” atteso che vi è comunque violazione della DOGC nel senso su esposto.
Va conseguentemente inibito l’uso del marchio de quo a L.F. soc. cons. a r.l., nonché ai suoi soci (…)
Ritenuta l’opportunità che la inibitoria sia assistita ex art. 124, co. 2, D.Lgs. n. 30 del 2005 da penale, pone a carico di ciascun convenuto una somma di Euro 30,00 in favore del Consorzio per la T.V. per ogni violazione od inosservanza rispettivamente da ciascuno di essi poste in essere, a decorrere da dopo il trentesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza.
E’ poi sufficiente a tutelare adeguatamente dall’ uso del marchio affetto da nullitá l’ l’ulteriore ordine ad (…) prodotti destinati alla commercializzazione, fissando ex art. 124, co. 2 D.Lgs. n. 30 del 2005, la somma di Euro 100,00 in favore del Consorzio per la T.V. per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento con decorrenza dopo il trentesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza.
Concorrenza sleale e pratiche commerciali scorrette
Dal complesso delle,allegazioni svolte in citazione deve ritenersi lamentata anche nei confronti della società convenuta la attività di concorrenza sleale sub specie di concorso nella concorrenza sleale dei suoi soci.
L’uso del marchio (effettuato come pacifico in causa oltre che dalla società consortile convenuta anche dai suoi soci) & che contiene la diretta associazione della parola “A.” con l’espressione “d’arte” in violazione dell’art. 7, co. 1 del disciplinare di produzione della d.o.c.g. “A.V.” nonché comunque l’uso tout court della espressione “A.A.” integra per quanto già esposto comportamento valorizzabile anche ai sensi dell’ art. 2598 n.3 c.c. quale comportamento scorretto professionalmente suggerendo esso che all’interno della filiera DOCG possa esservi un “A.V.” connotabile come appunto “d’arte”. Ciò ad illecito vantaggio selettivo di una sola parte dei componenti della filiera DOCG.
Ciascun produttore nell’ambito di leale attività concorrenziale ben può promuovere i propri marchi “industriali” e/o presentarsi come migliore rispetto ad altri produttori ma non può fare ciò “intaccando” la DOCG il che avviene con le modalità già esaminate, atte a produrre la suggestione che il prodotto appartenga ad una declinazione della denominazione d’origine con connotazioni migliori di quelle degli altri appartenenti alla filiera, quando il disciplinare di produzione regolarmente approvato e a cui tutti componenti della filiera si debbono attenere è unico. Il produttore deve insomma differenziarsi attraverso modalità che non tocchino in alcun modo la menzione tradizionale e/o la denominazione OCG “A.V.”, tenendo nettamente separati gli aspetti laudativi (che ben possono essere (///): sorto altri piani e profili) da detta menzione tradizionale e DOCG. a cui i termini laudativi non possono essere accostati.
Quanto all’asserito illecito uso della menzione tradizionale e Docg “A.V. per promuovere a traino anche altri prodotti non può ritenersi avere tale valenza l’episodio della cerimonia di proclamazione dei dottori di ricerca dell’Università di Verona in data 15.09.2014 per le peculiarità il contesto e le modalità con cui esso si è svolto, ben descritte dai convenuti; per contro rientra nella scorrettezza censurata dall’art. 2598 n. 1 e 3 c.c. l’allestimento effettuato nella manifestazione Expo 2015 di Milano, visibile nella documentazione fotografica attorea doc. 29 in cui campeggia la scritta “Fam. Amarone” in cui risultano presenti non solo vini a d.o.c.g. “A.V.”, ma anche a diversa denominazione od indicazione geografica
Anche il riferimento nella pubblicità svolta dal Consorzio ad un più restrittivo disciplinare di produzione integra scorrettezza professionale valorizzabile ex art. 2598 n. 3 c.c.e poiché se è vero che nella pubblicità si dà conto del fatto che trattasi di disciplinare meramente “volontario”, nondimeno il pubblicizzare detto disciplinare volontario senza che siano rispettati i criteri imposti per i codici di condotta “volontari” dal D.Lgs. n. 206 del 2005, integra modalità pubblicitaria contraria a correttezza professionale.
Nel M.A. (v doc 13 e poi doc 14 attorei), ampiamente pubblicizzato, concorrono sia l’illecito accostamento della parola “A.” con le connotazioni laudative ad essa “agganciate” sia la illecita pubblicità del disciplinare volontario privo delle connotazioni ex lege richieste per la sua pubblicizzazione come si è detto.
Un tanto è sufficiente a concretizzare la concorrenza sleale lamentata dagli attori in capo ai convenuti
Conseguentemente va inibito a L.F. soc. cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, lo svolgimento di attività promozionale avente ad oggetto il vino a d.o.c.g. “A.V.” condotta riferendosi ad “A.A.” e/o ad un disciplinare volontario più restrittivo di quello della Docg.
Va altresì ordinato a L.F. soc. cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, di rimuovere dal proprio sito web il c.d. “M. dell’ Amarone d’Arte” e inibito l’ utilizzo di tale “M.”, ivi inclusa la pubblicazione anche per estratto sul proprio o su altri siti web, nonché di qualsiasi mezzo promozionale che rappresenti il vino a d.o.c.g. “A.V.” prodotto dai suoi soci in accostamento con l’espressione “d’arte” c/o facendo riferimento al rispetto di un regolamento diverso dal disciplinare di produzione;
Va inibito altresì ad (…) l’uso anche parziale della d.o.c.g. “A.V.” e/o di sua parte distintiva quale “A.” unitamente all’accostamento a tale docg o a sua parte distintiva della espressione “d’Arte”, ed altresì l’uso anche parziale della d.o.c.g. “A.V.” per promuovere prodotti di diversa denominazione od indicazione geografica, (…)
Trattandosi di misure afferenti concorrenza sleale non sono irrogabili penali industrialistiche ex art. 124, co. 2, D.Lgs. n. 30 del 2005 come specificamente invece richiesto dagli attori.
La condanna generica al risarcimento del danno postula unicamente quale suo presupposto l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose, restando impregiudicato quello( la cui valutazione è riservata al giudice della liquidazione), relativo alla esistenza e all’entità effettiva del danno: il presupposto della potenziale dannosità della attività di sleale concorrenza sussiste di tal che va pronunciata la condanna generica dei convenuti a risarcire il danno in favore dei produttori “concorrenti” che hanno agito in giudizio.
La portata delle violazioni rende opportuno disporre ai sensi degli artt. 126, D.Lgs. n. 30 del 2005 e 2600, co. 2, c.c. la pubblicazione della intestazione e del dispositivo della presente sentenza per due volte su “Il Sole 24 Ore” e “Il Corriere della Sera” a spese dei convenuti in caratteri doppi del normale nonché la pubblicazione sulla pagina principale (home page) dei rispettivi siti web dei convenuti per una durata di giorni 10.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Il Tribunale definitivamente pronunciando
1) rigetta l’istanza di rinvio pregiudiziale alla corte di Giustizia formulata dai convenuti
2) accoglie l’eccezione di carenza di legittimazione attiva del Consorzio di Tutela attoreo limitamente alla domanda di risarcimento dei danni in favore dei produttori che non hanno agito in giudizio, rigettandola per il resto.
3) accerta la illicietà della denominazione delta società convenuta e del suo uso;
4) conseguentemente inibisce a L.F. soc. cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, l’uso nella propria denominazione sociale della menzione tradizionale “A.” e di ogni riferimento alla d.o.c.g. “A.V.”, ordinando a detta società convenuta di provvedere alla modificazione della denominazione sociale di cui trattasi con eliminazione da essa di ogni riferimento alla d.o.c.g. “A.V.” o di sue parti distintive quale “A.” e così pure dal nome a dominio dei siti web www.amaronefamilies.it e ww.amar.one.
5) accerta la nullità del marchio nazionale di cui alla domanda in data 24.5.2010 n. (…) registrato il 27.01.2011 con il n. (…) per le classi merceologiche n. 35 e 41 con successiva limitazione dei servizi protetti effettuata con la seguente dicitura: “tutti i servizi si riferiscono a vini conformità con la denominazione di origine protetta A.V.”.
6) inibisce l’uso del marchio di cui al punto 5) a L.F. soc. cons. a r.l., nonché ai suoi soci (…) in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , pone a carico di ciascun convenuto una somma di Euro 30,00 in favore del Consorzio per la T.V. per ogni violazione od inosservanza rispettivamente da ciascuno posta in essere alla inibitoria di cui al presente capo, penale applicabile dopo il trentesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza
7) ordina ad (…) di rimuovere il marchio di cui al punto 5) della presente sentenza dai rispettivi prodotti destinati alla commercializzazione, fissando ex art. 124, co 2, D.Lgs. n. 30 del 2005, la somma di Euro 100,00 in favore del Consorzio per la T.V. per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento di cui al presente capo penale applicabile dopo il trentesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza.
8) accerta e dichiara che (…) anche con il concorso de L.F. soc. cons. a r.l., hanno posto in essere, atti di concorrenza sleale ex art. 2598, nn. 1 e 3, c.c.;
9) inibisce a L.F. soc. cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, lo svolgimento di attività promozionale avente ad oggetto il vino a d.o.c.g. “A.V.” condotta riferendosi ad “A.A.” e/o ad un disciplinare volontario più restrittivo.
10 ) ordina 2 L.F. soc. cons. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, di rimuovere dal proprio sito web il c.d. “M.A.” e inibisce l’utilizzo di tale “M.”, ivi inclusa la pubblicazione anche per estratto sul proprio o su altri siti web, nonché di qualsiasi mezzo promozionale che rappresenti il vino a d.o.c.g. “A.V.” prodotto dai suoi soci in accostamento con l’espressione “D.A.” e/o che faccia riferimento al rispetto di un regolamento volontario diverso dal disciplinare di produzione;
11 ) Inibisce altresì ad (…) in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, l’uso anche parziale della d.o.c.g. “A.V.” o di sua parte distintiva quale “A.” con l’accostamento della espressione “D.A.”, ed altresì l’uso anche parziale della d.o.c.g. “A.V.” per promuovere prodotti di diversa denominazione od indicazione geografica
12 ) condanna in via generica i convenuti a rifondere ai produttori attori i danni arrecati con te condotte di concorrenza sleale
13) ordina la pubblicazione della intestazione e del dispositivo della presente sentenza per due volte su “Il Sole 24 Ore” e su “Il Corriere della Sera” a spese dei convenuti in caratteri doppi del normale nonché la pubblicazione della intestazione e dei dispositivo della presente sentenza sulla pagina principale (home page) dei rispettivi siti web dei convenuti per una durata di giorni dicci
14 ) condanna i convenuti in solido a rifondere agli attori le spese di lite che liquida in complessivi Euro 1063,00 per anticipazioni, Euro 21.387,00 per competenze professionali, oltre spese generali, IVA e CPA sugli importi assoggettabili.
Così deciso in Venezia, il 25 luglio 2017.
Depositata in Cancelleria il 24 ottobre 2017.