Morosità e garanzie nei contratti di locazione: come può cautelarsi il locatore contro il rischio di morosità del conduttore nel pagare il canone pattuito?
Disamina del rischio di mora.
Non sussiste il minimo dubbio che il conduttore è tenuto a pagare il canone di locazione, ai sensi dell’art.1587, comma 2, c.c., siccome tale obbligo può venire meno solo in presenza di un inadempimento del locatore, avverso il quale nemmeno è facilmente consentito alla controparte reagire mediante la cosiddetta “autoriduzione” del canone (come si approfondirà al caso 5.9).
Contro il conduttore moroso, poi, è dato esperire il procedimento di convalida di sfratto per morosità (art.658 c.p.c.), il quale – in mancanza di opposizione del conduttore alla convalida (art.663 c.p.c.) ovvero, qualora quest’ultima venga invece proposta ma non fondata su prove scritte, in presenza di un’ordinanza non impugnabile di rilascio provvisoriamente esecutiva (art.665 c.p.c.) – conduce all’esecuzione forzata in tempi “relativamente” brevi, al contrario di quanto troppo spesso avviene per l’esecuzione degli sfratti per finita locazione (si veda il caso 1.7).
Inoltre, avverso il conduttore moroso è anche possibile proporre, unitamente (art.658, comma 1, c.p.c.) alla citazione per convalida di sfratto, istanza per ingiunzione di pagamento (art.633 c.p.c.). Ovvero detta istanza può essere proposta in modo separato, facendola seguire o precedere – in base alla strategia processuale considerata di volta in volta più consona – alla citazione per la convalida.
Tale scelta può anche dipendere dalla circostanza che, per le sole locazioni ad uso abitativo, sussiste tutt’oggi la facoltà per il conduttore di sanare in udienza, per almeno quattro volte nel corso di un quadriennio di locazione, la morosità in udienza, corrispondendo in tale momento i canoni insoluti nonché le spese legali maturate. Ciò impedisce la risoluzione del rapporto di locazione. A sancirlo è l’art.55 della legge 392/78, il quale riconosce altresì al conduttore di chiedere – in sede di udienza per la convalida – la concessione di un “termine di grazia”, la cui durata non può eccedere i novanta giorni, entro il quale sanare la morosità.
Domandare il “termine di grazia” implica il riconoscimento della morosità e, dunque, impedisce di sollevare eccezioni sulla sussistenza del credito vantato dal locatore. Così Cassazione 23 dicembre 2003, n.19772:
“Al riguardo va rilevato che secondo il più recente orientamento di questa Corte il giudice può accordare il termine per purgare la morosità pure quando la relativa richiesta sia proposta in via subordinata senza necessità di valutare la fondatezza delle altre richieste, presupponendo la valutazione il passaggio ad un’ulteriore fase processuale, ed, ove accerti il mancato pagamento nel termine, deve emettere l’ordinanza di convalida e non può rinviare la causa per un’ulteriore trattazione di merito, conseguendo “ipso facto” all’accertamento il detto provvedimento, che rimane insuscettibile di impugnazione mediante appello o ricorso per cassazione (Cass. 5 agosto 2002, n.11704; Cass. 8 agosto 1996, n.7289).
La motivazione di tale orientamento è che la richiesta di sanatoria ed, a maggior ragione, la sanatoria stessa implicano la prevalente volontà solutoria del conduttore, ponendo nel nulla l’opposizione alla convalida (Cass. 23 maggio 1990, n.4646), o comportano che l’ordinanza di convalida non si può più ritenere condizionata dalla mancata proposizione dell’opposizione, secondo quanto disposto dall’art.665 c.p.c., bensì dal mancato pagamento nel termine fissato a norma dell’art.55 legge 392/1978 (Cass. 8 agosto 1996, n.7289).
Il collegio aderisce all’orientamento, ma coerentemente a recente dottrina ritiene che per effetto del mancato pagamento il procedimento retrocede alla fase precedente all’instaurazione del subprocedimento di sanatoria, sicché il provvedimento da emettere è quello (convalida) che avrebbe dovuto essere emesso se il subprocedimento non si fosse instaurato”.
Il mancato pagamento entro il termine in questione comporta dunque l’automatica convalida dello sfratto.
Alle locazioni ad uso diverso da abitazione, invece, non si applica l’art.55 della legge 392/78 (Cassazione, 12 maggio 1999, n.4688; 4 agosto 2000, n.10239; 29 maggio 1995, n.6023; 10 giugno 2005, n.12321). Di conseguenza, se la morosità sussiste ed il conduttore non si oppone, il giudice non può che convalidare lo sfratto. In caso di opposizione (comportante la trasformazione del veloce rito sommario della convalida in quello – ben più lento – a cognizione piena previsto dall’art.447 bis c.p.c.), invece, resta il rimedio della citata ordinanza di rilascio provvisoriamente esecutiva, da richiedere in sede dell’udienza in cui le parti compaiono per effetto della citazione per la convalida.
Allora, perché preoccuparsi della morosità del conduttore?
La risposta, alquanto banale, giunge dalla prassi.
Se il conduttore moroso è privo di patrimonio oppure se egli lo ha occultato sapientemente, a nulla serve il decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni insoluti, giacché si traduce solo in un aggravio di spesa per il locatore. In altre parole: il decreto ingiuntivo si riduce ad un inutile quanto costoso “pezzo di carta”, sostanzialmente identico ad un assegno a vuoto (ormai il protesto di quest’ultimo, invece non possibile per un decreto ingiuntivo, incute minor timore che in passato), se agendo in sede esecutiva non si riesce ad individuare un bene del debitore utilmente aggredibile, e cioè tale da essere venduto coattivamente ricavandone una somma utile sotto il profilo economico. Ciò di solito non accade, se l’esecuzione forzata riesce ad aggredire unicamente mobilia del conduttore (eccettuato quanto impignorabile ex art.514 e 515 c.p.c.) priva di particolare pregio ovvero automobili e macchinari utensili vetusti ovvero miseri depositi di conto corrente ovvero stipendi il cui quinto sia già stato abbondantemente ceduto o pignorato da terzi.
Soprattutto in simili circostanze, al locatore non resta che recuperare il più celermente possibile il possesso sull’immobile locato, in modo da contenere la perdita discendente dalla mancata percezione dei canoni di locazione, cui si aggiunge quella riconducibile al fatto di dover egli sostenere di propria tasca anche le spese condominiali imputabili all’alloggio occupato dal conduttore, di cui quest’ultimo continua a godere sino al momento dell’esecuzione effettiva dello sfratto. Difatti, nonostante l’art.10 della legge 392/78 (applicabile anche alle locazioni ad uso diverso da abitazione: Cassazione, 3 ottobre 2005, n.19308) riconosca al conduttore addirittura un diritto di voto nelle assemblee condominiali relative alle spese ed alle modalità di gestione del servizio di riscaldamento e di aria condizionata, alle quali egli partecipa in luogo del proprietario, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che solo quest’ultimo è escutibile dal condominio per il saldo di tutti i contributi ricollegabili all’unità immobiliare (ivi comprese quelle appena citate). Al riguardo, infatti, nella sentenza 13 gennaio 1995, n.384 la Cassazione ha detto:
“Si osserva:
a) non è esatto che l’assemblea prevista dall’art.10, comma 1, della legge n.392 del 1978 sia qualcosa di diverso dall’assemblea condominiale regolata dal codice civile. Non c’è alcun argomento nella legge speciale che autorizzi a pensare che si siano voluti creare due collegi diversi: tanto meno può suffragare questa tesi una pretesa analogia con l’assemblea prevista dagli ulteriori commi dello stesso articolo 10, la quale assemblea è bensì sicuramente diversa dall’assemblea condominiale, ma per il fondamentale motivo che nelle situazioni previste dalle accennate ultime disposizioni non esiste il condominio.
L’assemblea dell’art.10 è un assemblea condominiale “allargata” alla partecipazione, per certe materie, dei conduttori, i quali, su queste, deliberano “in luogo” dei condomini. Si tratta (vedi sentenza 14 luglio 1988, n.4606) di una ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore ispirata dal principio che, poiché le spese di riscaldamento gravano su di lui, (art.9), il conduttore è maggiormente interessato alle relative deliberazioni.
b) Detto questo il ricorso potrebbe essere respinto senza ulteriori rilievi, perché tutta la costruzione del ricorrente si basa sulla tesi, sopra dimostrata fallace, che l’assemblea cui partecipano anche i conduttori sarebbe qualcosa di diverso dall’assemblea dei condomini.
c) Va comunque ribadito che gli artt.9 e 10 della legge n.392 del 1978 si riferiscono solo ai rapporti conduttori-condomini.
Di fronte al condominio esistono solo i condomini e non i conduttori; l’amministrazione condominiale si può rivolgere solo ai condomini per il rimborso delle spese condominiali. La prova che la legge del 1978 riguarda solo i rapporti locatori-conduttori si ricava oltre che dalla sedes materiae (legge c.d. sull’equo canone) dall’art.5 della stessa che prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il conduttore non gli rifonda gli oneri accessori a suo carico.
Non è quindi sostenibile la possibilità di un’azione diretta del condominio contro il conduttore, … omissis.
d) Restano da riscontrare i due ultimi rilievi e cioè:
1) anomalia dell’ipotesi che un soggetto debba rispondere per spese deliberate da altri. Ma l’obbligo per il condomino di pagare le spese di gestione della cosa comune è da considerarsi preesistente rispetto all’approvazione dello stato di ripartizione delle spese da parte dell’assemblea dei condomini (Cass., 21 maggio 1964, n.125) e quindi non trova in questa sede la sua fonte. La dottrina, dalla constatazione che l’obbligo del condomino verso il condominio di pagare gli oneri condominiali (ivi comprese le spese di riscaldamento) deriva dalla proprietà della cosa comune e non dall’uso concreto del servizio, deduce (e fondatamente) che questo obbligo del condomino costituisce un’obbligazione propter rem.
2) Violazione art.3 della Costituzione. Non sussiste (o, meglio, la relativa eccezione è manifestamente infondata) perché la differente disciplina delle spese dei servizi comuni per il condomino che abita il proprio appartamento e per quello che lo abbia locato, è giustificata dalla sostanziale diversità delle due situazioni”.
Anche l’abuso nelle richieste del “termine di grazia” va ad aggravare la posizione del locatore. In tali circostanze, infatti, l’istanza – fatta nella piena consapevolezza di nemmeno poi tentare ad adempiere – rappresenta uno stratagemma per prolungare l’occupazione dell’immobile. Pertanto, nel fissarne la durata, il magistrato dovrebbe vagliare attentamente la serietà della richiesta avanzata dal conduttore inadempiente.
Visto quanto sopra, sfatiamo infine il falso “mito” del deposito cauzionale, e cioè di quella somma – non superiore a tre mensilità di canone, come impone l’art.10 della legge 392/78, norma di carattere inderogabile applicabile a tutti i tipi di locazione (Cassazione, 15 ottobre 2002, n.14655, su cui al caso 6.3) – consegnata dal conduttore al locatore per garantire che, al termine del rapporto, l’immobile verrà restituito nello stesso stato in cui venne ricevuto (art.1590, comma 1, c.c.). Somma minima che, in modo altresì inderogabile, produce interessi a vantaggio del conduttore in misura pari al tasso legale d’interesse.
Sebbene nelle pattuizioni contrattuali venga generalmente anche chiarito che l’importo depositato non può mai essere computato in contro pigioni, la prassi insegna che così non è affatto.
Spesso si assiste ad una delle seguenti situazioni.
Se il conduttore è in procinto di rilasciare spontaneamente i locali, egli si astiene dal pagare gli ultimi tre mesi di canone, appellandosi impropriamente all’esistenza del deposito cauzionale. Quando poi l’immobile è rilasciato in condizioni accettabili, il conduttore rivendica anche gli interessi maturati sul deposito stesso. Per contro, se l’immobile è rilasciato in condizioni che non corrispondono al dettato dell’art.1590 citato ma neppure disastrose, il locatore tende a non far valere il diritto al risarcimento del danno, ritenendo la causa non conveniente per il suo modico valore. Infine, se l’immobile è veramente restituito in pessime condizioni, con danno in capo ben superiore all’ammontare del deposito cauzionale impropriamente “recuperato” dal conduttore, al locatore non resta che agire per il risarcimento del danno, come comunque egli avrebbe dovuto fare quand’anche fosse rimasto nelle sue mani il deposito in questione.
Se il conduttore è invece moroso, per il recupero delle somme dovute a titolo di risarcimento per danni valgono le medesime considerazioni fatte per i crediti dei canoni di locazione insoluti.
Ecco perché preoccuparsi della mora del conduttore!
Siccome nel momento in cui i canoni restano insoluti, al locatore non è data altra soluzione che confrontarsi con i problemi appena illustrati confidando nella buona sorte, l’unico momento per apprestare qualche tutela contro siffatto rischio è quando si conclude il rapporto di locazione.
Rimedi.
Allora, quale strategia adottare?
Di certo, quanto prima il locatore inizia il procedimento di convalida, tanto più contiene le perdite a suo carico. Tuttavia, per il locatore non sempre è facile distinguere le semplici difficoltà finanziarie del conduttore, aventi mera natura temporanea, rispetto alle condizioni che conducono alla sua morosità definitiva. Inoltre, il timore di rovinare le relazioni personali funge da freno ad una tempestiva azione sul piano giudiziario.
A ben vedere, allora, accanto alla celerità di decisione, la miglior tutela per il locatore è disporre di una garanzia che scatta nell’eventualità della morosità e consente al locatore di ottenere il pagamento di un importo complessivo quanto meno pari alla somma dei canoni di locazione e degli acconti spese, che maturano nel tempo necessario per ottenere una convalida di sfratto e la relativa esecuzione coattiva. Tempo variabile (comunque non breve), a seconda del carico di lavoro esistente nei diversi Tribunali italiani nonché presso gli ufficiali giudiziari poi competenti all’esecuzione. Ad ogni modo, in assenza di opposizione alla convalida, è bene preventivare almeno un anno.
(segue): natura del garante.
Sul piano pratico, qualsiasi tipo di garanzia serve solo quando è data da terzi solvibili e facilmente aggredibili, se non adempiono spontaneamente.
Banche e società assicuratrici, specie se “primarie”, presentano tendenzialmente tali caratteristiche. Qualora esse non abbiano sede in Italia, l’escussione potrebbe presentare qualche ostacolo, comunque facilmente superabile all’interno dello Spazio Giuridico Europeo (e cioè nell’Unione Europea). Ciò però nemmeno si pone, se tali soggetti hanno comunque una sede secondaria o un’agenzia nel nostro paese.
Qualche maggiore cautela va invece attuata nei confronti delle società finanziarie, siccome è bene verificare presso la Banca d’Italia se quest’ultima le abbia autorizzate ad operare in Italia, avendone previamente verificato la consistenza patrimoniale (si veda il sito www.bancaditalia.it, nella sezione dedicata alle funzioni di vigilanza). Ciò vale comunque anche per gli istituiti bancari, specie se poco noti, siccome la stessa Banca d’Italia segnala la presenza dell’abusivismo anche in questo settore.
Attenzione, dunque, al rischio di incappare in soggetti che, dopo aver costruito l’apparenza di una società rispettabile, prestano “allegramente” garanzie in favore di chicchessia, prefiggendosi in realtà solo di lucrare in modo illecito raccogliendo i corrispettivi delle garanzie, che mai onoreranno.
Qualora non sia possibile reperire un garante autorevole ovvero non lo si ritenga necessario volendo risparmiare (cosa quest’ultima da ponderare attentamente, prima di deciderla), la garanzia potrebbe comunque essere fornita da terzi rispetto il conduttore.
Innanzitutto, se il conduttore è una società a responsabilità limitata, a garantirne le obbligazioni di pagamento potrebbero essere i soci personalmente, come spesso avviene nelle relazioni accese tra le banche e tali società, specie quando quest’ultime vengono considerate non adeguatamente capitalizzate.
Ancora, garante per il conduttore potrebbe essere un suo famigliare dotato di adeguato patrimonio personale.
Come si noterà, nell’elencarli (in modo non esaustivo), i possibili garanti sono stati individuati seguendo un criterio decrescente circa le previsioni sulla loro solvibilità.
In effetti, sussiste una relazione direttamente proporzionale tra la capacità patrimoniale e quella di fornire un autorevole garante. La difficoltà o l’impossibilità a trovare quest’ultimo diviene così la “cartina al tornasole” della situazione capacità patrimoniale del conduttore, che potrebbe talora essere stata abilmente “gonfiata” agli occhi del proprietario al fine di indurlo a consegnare delle chiavi dell’immobile, pur sapendo l’inquilino di non essere materialmente in grado di far fronte al pagamento di quanto pattuito alle debite scadenze. Parimenti, la presenza di garanti poco autorevoli va valutata con un certo sospetto.
Chiarita tale assorbente questione preliminare, procediamo ad esaminare quali siano le caratteristiche dei diversi tipi di garanzia ottenibili.
(segue): tipologia delle garanzie.
a) fideiussione.
E’ il contratto con il quale – ai sensi dell’art.1936, comma 1, c.c. – un soggetto, il fideiussore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui (nel nostro caso, quelle a carico del conduttore), obbligandosi personalmente verso il creditore (il locatore).
Per effetto della fideiussione, il debitore ed il suo fideiussore divengono obbligati in solido nei confronti del creditore: è la cosiddetta fideiussione “solidale”. Quest’ultimo può dunque – a sua scelta – decidere da chi esigere il pagamento ovvero agire nei confronti di entrambe, senza essere tenuto ad escutere preventivamente il debitore principale, a meno che ciò sia stato espressamente pattuito (art.1944 c.c.). Quest’ultima ipotesi è costituita dalla fideiussione “semplice” o “con beneficio di escussione”.
Ai sensi dell’art.1957 c.c., però, il creditore decade dal suo diritto verso il fideiussore, se – entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione in capo al debitore principale – il creditore stesso omette di agire in giudizio contro:
- il debitore principale ovvero, in alternativa, il fideiussore, se trattasi di fideiussione “solidale” (Cassazione, Sezioni Unite, 25 ottobre 1979, n.5572, in Foro Italiano, 1979, I, c.2555);
- il debitore principale, se trattasi di fideiussione “semplice”.
Conformemente, più di recente si è nuovamente espressa la Suprema Corte (1 luglio 1995, n.7345):
“la giurisprudenza di questa Corte (a partire da Cassazione, Sezioni Unite 25.10.1979 n.5572) ritiene che l’art.1957, I comma, nell’imporre al creditore l’onere di richiedere giudizialmente entro sei mesi al debitore principale l’adempimento dell’obbligazione garantita dal fideiussore, pena la decadenza del diritto verso quest’ultimo, si riferisce all’obbligazione solidale; in tal caso tuttavia, l’istanza può essere indifferentemente rivolta, a scelta del creditore contro l’uno o contro l’altro dei due condebitori solidali e con effetti ugualmente idonei a impedire l’estinzione della fideiussione. In effetti, imporre al creditore che, come nella specie, esercitando la facoltà di scelta spettantegli in base ai principi sulla solidarietà obbligatoria passiva, abbia tempestivamente proposto le sue istanze nei confronti del fideiussore e le abbia continuate con diligenza, l’ulteriore onere di agire, prima della scadenza del termine fissato dall’art.1957, anche nei confronti del debitore principale, significherebbe costringere il medesimo creditore, in evidente e non giustificato contrasto con i principi sulla solidarietà passiva, a proporre le sue istanze, e continuarle con diligenza nei confronti di entrambi gli obbligati in solido, anche nel caso in cui, per la dubbia solvibilità del debitore principale, egli non abbia alcun interesse a farlo. Né tale interpretazione contrasta con la ratio della norma, individuata nell’esigenza di impedire che il fideiussore, per l’inerzia del creditore, resti incerto in ordine agli effetti ed alla sorte della sua obbligazione, e possa essere pregiudicato per ciò che attiene al suo rapporto con il debitore principale”.
Detto principio viene applicato con estremo rigore dalla Suprema Corte (sentenze 20 aprile 1982, n.2461; 19 dicembre 1985, n.6498). Va allora puntualizzato che, sebbene l’art.1957 c.c. imponga genericamente al creditore di proporre “le proprie istanze” nel termine e contro i soggetti anzidetti, in realtà deve trattarsi di un’azione cognitiva ovvero esecutiva, non essendo sufficiente una mera intimazione e nemmeno la notifica del solo atto di precetto (Cassazione, 18 maggio 2001, n.6823).
In via pattizia, però, si può contemperare tale rigore, prevedendo che la fideiussione resti in essere sino all’integrale soddisfacimento dell’obbligazione principale. Così Cassazione, 19 luglio 1996, n.6520:
“con riguardo a fideiussione, la cui durata sia correlata non alla scadenza dell’obbligazione principale, ma all’integrale soddisfacimento di questa, come nel caso di polizza fideiussoria contenente clausola di previsione della efficacia della garanzia prestata fino al momento della liberazione del debitore dagli obblighi inerenti al contratto per il quale la garanzia stessa è stata ottenuta, l’azione del creditore non è più soggetta ad alcun termine di decadenza, con conseguente estraneità della relativa situazione all’area di operatività dell’art.1957 c.c. (Cass., 14 marzo 1994, n.2827)”.
Il debitore principale è estraneo al contratto di fideiussione, essendo concluso tra il terzo garante ed il creditore. Tuttavia, la fideiussione è solitamente rilasciata sulla base di un rapporto interno fra debitore principale e garante, che tuttavia è inopponibile al creditore (Cassazione, 3 settembre 1982, n.4811). Ciò significa che la sopraggiunta risoluzione di tale rapporto interno non influisce sulla validità delle obbligazioni assunte dal fideiussore verso il creditore.
Fermo quanto detto, l’obbligazione del fideiussore è però accessoria (qui la differenza essenziale rispetto al contratto autonomo di garanzia, su cui si dirà subito dopo) rispetto a quella garantita.
Dall’accessorietà in questione, tipica caratteristica della fideiussione, discendono alcune rilevanti conseguenze.
In primo luogo, la fideiussione è valida solo se l’obbligazione del debitore principale è, a sua volta, valida.
In secondo luogo, l’obbligo del fideiussore non può eccedere quello a carico del debitore principale (art.1941), siccome la parte eccedente risulterebbe priva di causa.
In terzo luogo, oltre alle eccezioni fondate sul contratto di fideiussione, il fideiussore ha diritto di opporre al creditore anche le eccezioni spettanti al debitore principale sulla base del rapporto da quest’ultimo concluso con il creditore stesso, ivi compresa quella di compensazione (art.1945 c.c.).
Vediamo le conseguenze del pagamento del credito. Se è fatto dal debitore principale, oltre ad estinguersi l’obbligazione a suo carico si estingue anche quella del fideiussore. Invece, se provvede il fideiussore, egli ha l’alternativa fra il surrogarsi nei diritti del creditore ovvero agire in via di regresso verso il debitore principale (art.1949 c.c.).
Quanto all’oggetto della garanzia, vi possono essere varie ipotesi.
Fideiussione per obbligazione futura, non ancora insorta al momento della conclusione della fideiussione stessa (art.1938 c.c.). L’obbligazione futura può discendere sia da uno specifico contratto già esistente tra creditore e debitore principale, sia da uno specifico contratto non ancora concluso tra le parti. Ai sensi dell’art.1956 c.c. (come novellato dall’art.10 della legge 17 febbraio 1992, n.154), deve essere previsto un massimale entro cui si contiene l’importo garantito: la norma è di ordine pubblico. Tale fideiussione è talora pattuita anche per un periodo di tempo determinato nonché inferiore rispetto a quello in cui vigono le obbligazioni del debitore principale. In tal caso, la fideiussione non copre le obbligazioni che maturano in epoca successiva alla sua scadenza (Cassazione, 19 dicembre 1987, n.9466). Questa è la situazione consueta nelle fideiussioni bancarie, il che risulta alquanto delicato per i contratti di durata come la locazione.
Fideiussione di indennità, mediante la quale viene garantito l’obbligo di risarcire un eventuale danno che dovesse insorgere da contratti stipulati tra creditore e debitore principale. Si tratta di una specifica ipotesi di fideiussione per obbligazione futura, la cui legittimità è stata riconosciuta dalla Cassazione (5 ottobre 1978, n.4433). Anche qui deve essere fissato un massimale alla garanzia.
Fideiussione omnibus. Altra specie di fideiussione per obbligazione futura, mediante la quale viene garantito l’adempimento di tutte le obbligazioni che il debitore principale assumerà nei confronti del creditore sulla base di una o più determinate specie di rapporti. Pure la validità di quest’ultimo tipo di fideiussione è condizionata dalla previsione di un limite massimo all’esposizione del fideiussore.
Per quanto concerne il rapporto tra fideiussore e creditore, analoga alla fideiussione bancaria è la polizza fideiussoria, consistendo l’unica differenza nella circostanza che a prestarla è una società assicuratrice (Cassazione, 7 aprile 1982, n.2142). Per contro, nel rapporto tra debitore principale e fideiussore, si è in presenza non di un contratto bancario ma assicurativo, con cui il secondo assume su di sé il rischio dell’insolvenza del primo, a fronte del pagamento di un premio. Varia così il termine di prescrizione del diritto al compenso per la fideiussione, che per quella assicurativa diventa annuale, in base all’art.2952, comma 2, c.c.
b) contratto autonomo di garanzia.
Anche definito come “garanzia a prima richiesta” ovvero “a semplice richiesta”. Ciò per il fatto che l’escussione della garanzia è sostanzialmente lasciata alla responsabilità del soggetto (beneficiario) in favore del quale il garante – in base ad un separato ed indipendente accordo raggiunto con l’ordinante – si impegna a pagare una certa somma di denaro: se il beneficiario dichiara di volersene avvalere, il garante deve pagare, salvo rifiutarsi in casi eccezionali, per poi chiedere il rimborso all’ordinante.
Il tratto caratteristico di tale contratto atipico è dunque la sostanziale sua autonomia rispetto al rapporto tra beneficiario (il creditore) e l’ordinante (debitore), cosa che svincola le obbligazioni, assunte dal garante nei confronti del beneficiario, rispetto al rapporto esistente tra quest’ultimo e l’ordinante. Per contro, permane l’accessorietà nei rapporti tra creditore/beneficiario e debitore/ordinante: se il primo escute la garanzia, senza giustificato motivo insorgente dal rapporto principale, egli si vedrà poi costretto a restituire la somma in questione al suo debitore, che nel frattempo come ordinante avrà dovuto corrispondere al proprio garante quanto da quest’ultimo pagato al beneficiario.
Il punto fondamentale, dunque, è che al garante non è dato opporre al beneficiario le eccezioni fondate sul rapporto tra quest’ultimo ed l’ordinate, al contrario di quanto avviene nel caso della fideiussione (Cassazione, 3 settembre 1966, n.2310; 1 ottobre 1987, n.7341; 6 ottobre 1989, n.4006).
A tale regola esiste tuttavia un’eccezione, che scatta in ipotesi decisamente limitate ed eccezionali: il garante deve astenersi dall’onorare il proprio impegno verso il beneficiario, quando quest’ultimo intende escutere la garanzia in modo abusivo o fraudolento. Tale eccezione trova fondamento proprio nel rapporto che lega il garante all’ordinate, in virtù del quale quest’ultimo può pretendere che il primo sollevi l’exceptio doli, qualora il beneficiario escuta in modo abusivo e fraudolento la garanzia. Tale eccezione, peraltro, è l’unica in grado di bloccare la pretesa di pagamento dei titoli in questione. Quando ne sussistono i rari presupposti, l’ordinante ha diritto di esigere che il garante non onori la garanzia né gli addebiti – se il pagamento viene comunque eseguito – le somme sborsate in favore del beneficiario. Sulla base di tali considerazioni, la giurisprudenza ha allora attribuito all’ordinante la legittimazione attiva a chiedere un procedimento cautelare che inibisca al garante – in presenza delle menzionate condizioni per proporre l’exceptio doli – di pagare le somme oggetto della garanzia al suo beneficiario e di rivalersi poi sul proprio mandante (Cassazione, 19 marzo 1993, n.3291).
Il pagamento di una garanzia, dunque, va sì rifiutato dalla banca, in presenza di un’escussione manifestamente fraudolenta ed abusiva, ma in nessun altra ipotesi di sorta. La pretestuosità dell’escussione è ravvisabile non solo con riferimento al testo della garanzia, ma anche guardando alla condotta tenuta dalle parti e, in particolare modo, dal beneficiario. Ciò non implica un giudizio sul merito delle controversie che oppongono l’ordinante al beneficiario, ma solo sui fatti rilevanti al fine di stabilire se sia o meno dovuto il pagamento della garanzia. Né potrebbe essere diversamente. Non si può cioè sostenere che il carattere abusivo dell’escussione vada valutato solo riferendosi al tenore letterale della garanzia. La fraudolenza emerge infatti alla luce della condotta del beneficiario, risultando quindi ricollegabile ad elementi di fatto che sono necessariamente successivi alla stesura del testo della garanzia e che devono poter essere apprezzati dal garante. In caso contrario, si negherebbe in sostanza a quest’ultimo il modo di opporre l’exceptio doli.
Anche la garanzia ora in esame può essere prestata da una società assicurativa mediante un’apposita polizza, senza che ne muti la natura.
c) fideiussioni “a prima richiesta” o “senza eccezioni”.
Rappresentano un po’ una via di mezzo tra le fideiussioni ed i contratti autonomi di garanzia.
A meno che, interpretando caso per caso la volontà espressa dal garante, non si addivenga invece alla conclusione che in realtà sia stato concluso un vero e proprio contratto autonomo di garanzia, pur utilizzando simili espressioni “ibride”.
Di conseguenza, è preliminare individuare se il garante ha realmente concesso una garanzia completamente autonoma, rispetto al rapporto tra beneficiario ed ordinante, ovvero se sia stato mantenuto il vincolo di accessorietà tra la garanzia ed il rapporto tra creditore e debitore principale, salvo affievolire – con un meccanismo riconducibile alla clausola “solve et repete” – la possibilità per il garante stesso di opporre le eccezioni fondate sul rapporto sottostante.
Sul tale delicato problema la Cassazione ha faticato a dare soluzione (si vedano: da un canto, la sentenza 29 marzo 1996, n.2909; dall’altro, quelle 6 aprile 1998, n.3552, e 21 aprile 1999, n.3964), per poi addivenire alla seguente decisione (19 giugno 2001, n.8324), con riferimento ad una polizza fideiussoria (in cui all’art.5 delle condizioni generali – C.G.A.) risultava l’obbligo dell’assicuratrice di effettuare il pagamento dopo un semplice avviso al contraente/ordinante, senza bisogno di un suo preventivo assenso e senza possibilità per quest’ultimo di eccepire all’assicuratrice alcunché sul pagamento stesso:
“Possono esaminarsi, congiuntamente, i primi due motivi, strettamente connessi nel denunziare, sotto i due distinti profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, la scelta della Corte di Milano di ricondurre la clausola di cui all’art.5 (o 4) delle C.G.A. nell’ambito della garanzia autonoma a semplice richiesta.
Ritiene il Collegio che la decisione della pronunzia impugnata, a fronte di un testo contrattuale quale quello letteralmente trascritto, ed interpretato con argomentazione completa e logica, sia stata del tutto rispettosa dell’indirizzo seguito al proposito nelle più recenti sentenze di questa Corte (Cass. 10864/99 – 3964/99 – 3552/98 – 1420/98), indirizzo dal quale non si ha ragione alcuna di dissentire.
Più particolarmente, devesi rilevare che argomentazioni critiche identiche a quelle proposte dalla ricorrente – a proposito del travisamento operato nell’individuare, tra le espressioni della clausola de qua, quelle caratterizzanti la garanzia autonoma propria della clausola “a prima richiesta” – sono state disattese da questa Corte nella cit. sentenza 3964/99 e con riguardo a vicenda nella quale era venuta in applicazione una clausola n.5 di polizze avente testo (come risultante dalla trascrizione fattane dalla menzionata pronunzia di questa Corte) assolutamente identico a quello delle clausole esaminate dalla sentenza in questa sede impugnata. Ditalché pare al Collegio sufficiente, nella totale condivisione del relativo decisum, trascrivere ampi stralci della parte motiva della ridetta sentenza 3964/99, … omissis …
“La Corte di Appello (…) ha attribuito decisivo rilievo, nella interpretazione della clausola trascritta, alla previsione contrattuale che il debitore principale (…) non può opporsi al pagamento (che il creditore abbia richiesto al garante) facendo valere le eccezioni derivanti dal rapporto principale, eccezioni che, inoltre, egli non potrà opporre neanche al garante dopo che questi abbia effettuato il pagamento. (….) L’esclusione della legittimazione del debitore principale a chiedere che il garante opponga al creditore garantito le eccezioni nascenti dal rapporto principale (…), eccezioni che il debitore principale non potrà opporre neanche al garante successivamente al pagamento da questo effettuato, (..) costituisce una chiara deroga alla accessorietà della obbligazione fidejussoria e sancisce l’autonomia dell’obbligazione di garanzia assunta dalla società assicuratrice rispetto all’obbligazione principale. Nella disciplina legale della fideiussione, infatti, il fideiussore ha l’onere di preavvisare il debitore principale che intende procedere al pagamento (art.1952 comma 2° c.c.) e tale preavviso ha lo scopo di mettere il debitore principale in condizione di fare tempestiva opposizione al pagamento ove sussistano idonee ragioni da eccepire al creditore (ragioni poi opponibili al fidejussore che abbia pagato senza osservare l’onere del preavvisa). Secondo le pattuizioni in esame, invece, il debitore principale, pur avvisato della richiesta di pagamento formulata dal creditore garantito, non può opporre alcuna contestazione in ordine a tale pagamento, poiché il garante non ha bisogno del suo consenso per effettuarlo e per poi pretendere da lui “a semplice richiesta” il rimborso delle somme pagate. Correttamente, quindi, la Corte d’Appello ha ravvisato nelle (..) polizze esaminate la pattuizione atipica di un contratto autonomo di garanzia la cui caratteristica fondamentale, che lo distingue dalla fidejiussione, è l’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, onde il garante si impegna a pagare al creditore senza possibilità di opporre le eccezioni che spettano al debitore principale, in deroga alla regola essenziale della fidejussione posta dall’art.1945 c.c. Tale contratto atipico viene ritenuto ammissibile nel nostro ordinamento (..) con orientamento giurisprudenziale peraltro non contestato dalla parte ricorrente. Nel ricorso si sostiene, invece, che nella clausola n.5 non possa essere ravvisata una garanzia autonoma poiché in essa si prevede che il pagamento del garante deve avvenire entro il termine massimo di trenta giorni dalla richiesta del creditore, anziché “a semplice richiesta” o “a prima richiesta” del creditore.
Va al riguardo osservata che l’uso dell’una o dell’altra espressione letterale non è decisiva per l’interpretazione del tipo di garanzia pattuita tra le parti (…), che va desunto piuttosto dalla relazione in cui le parti hanno inteso porre l’obbligazione principale e l’obbligazione di garanzia (…)”.
… omissis …
Ed invero, la recisione pattizia del collegamento tra obbligazione principale ed obbligazione di garanzia, ove realmente introdotta … omissis …, non può in alcun modo arrestarsi sulla soglia della eccezione, dando luogo alla successiva azione di rivalsa in caso di inesistenza del credito del soggetto beneficiario: la ratio della garanzia a prima richiesta, infatti, quale deroga pattizia al disposto dell’art.1946 c.c., sta proprio nella autonomia oggettiva della obbligazione di garanzia dalla sorte di quella principale (con la conseguente improponibilità delle eccezioni afferenti quest’ultimo) e non già nella mera, quanto inutile, imposizione di un onere di solve et repete in capo al fidejussore, autorizzato a far valere in via riconvenzionale quel che gli è stato inibito dedurre solo in via di eccezione. Il fidejussore che abbia stipulato … omissis .. una clausola di garanzia quale quella descritta, sarà pertanto obbligato a pagare (con la sola possibilità di formulare la nota exceptio doli) interamente ed irreversibilmente nelle mani del creditore ed allo stesso fidejussore spetterà, non già la pretesa successiva rivalsa ma, soltanto, la ordinaria azione di regresso ex art.1950 c.c. contro il debitore principale”.
In sintesi.
A seconda di come viene ricostruita la volontà delle parti, la clausola “a prima richiesta” può trasformare la fideiussione in un vero e proprio contratto autonomo di garanzia oppure non modificare la natura fideiussoria del rapporto, limitandosi a produrre gli effetti di una ordinaria pattuizione di “solve et repete”.
In ogni caso, al momento dell’escussione della garanzia, gli effetti della menzionata clausola sono essenzialmente i medesimi, siccome viene comunque preclusa al garante la possibilità di rifiutare il pagamento per motivi attinenti al rapporto di base tra ordinante/creditore e beneficiario/debitore principale.
Diversi sono invece gli effetti per il garante in sede di rivalsa, e cioè dopo avere pagato quanto pattuito al beneficiario. Se il rapporto viene qualificato come contratto autonomo di garanzia, il garante può agire solo contro il proprio ordinante; al contrario, se trattasi di fideiussione, egli può chiedere la restituzione sia all’ordinante/debitore principale che al beneficiario/creditore, facendo valere nei confronti di quest’ultimo tutte le ragioni fondate sul rapporto esistente tra creditore e debitore principale.
(segue): suggerimenti pratici.
Per il locatore, è sicuramente preferibile ottenere che, in suo favore, il conduttore procuri una garanzia autonoma rispetto al rapporto di locazione.
Inoltre, bisogna evitare l’errore di credere che, una volta ottenuto un garante autorevole, si possa accettare qualsiasi testo per la garanzia prestata. E’ invece vitale trattare con il conduttore non solo le clausole del contratto di locazione, ma anche quelle della garanzia stessa.
Per capire il problema, basti pensare l’importanza per il locatore che le modalità – specie quelle temporali – per escutere la garanzia non siano formulate in modo tale da vanificarla del tutto.
Ad esempio, va assolutamente rifiutata una clausola dove si sancisce semplicemente che il beneficiario decade dalla garanzia, se non la escute entro un mese dal momento in cui emerge la morosità del conduttore.
Come noto, nonostante la rigidità delle norme di legge (applicabili alle sole locazioni abitative: art.5 della legge 392/78) e delle eventuali previsioni contrattuali (molto opportune nel caso di locazioni ad uso diverso, come si spiegherà al caso 5.9) volte a stabilire quando il conduttore è in mora, sotto l’aspetto pratico accade spesso che egli ritarda solo il pagamento, ma poi procede al saldo senza la necessità per il locatore di agire in giudizio. Fermo restando che per quest’ultimo è opportuno non attendere troppo, spesso la decisione di promuovere la convalida di sfratto per morosità non è immediata, ma segue di qualche mese l’inizio della morosità, onde capire nel frattempo quali sono le reali intenzioni del conduttore e non rovinare inutilmente il rapporto personale.
Tale situazione rende solitamente difficile, anche al locatore più diligente, stabilire da subito quando si palesa una morosità avverso la quale è necessario reagire con lo sfratto. Di conseguenza, se la clausola in questione viene interpretata nel senso di produrre l’effetto di far decadere il locatore dall’intera garanzia, si impone a quest’ultimo un onere di escutere la garanzia quasi parossistico ed inutile (ottenuto il pagamento dal conduttore, va rifiutato quello del garante). In realtà, l’interpretazione più corretta per la clausola in questione si direbbe quella che l’obbligo di escussione scatta solo nel momento in cui il locatore ha effettivamente la consapevolezza sul carattere irreversibile della morosità oppure quella di escludere dalla garanzia unicamente le mensilità insolute maturate prima del termine di decadenza pattuito, ma non quelle successive.
Ad ogni modo, si comprende come una clausola costruita nel modo siffatto va evitata, giacché da adito a contenzioso. Essa va invece formulata in modo idoneo a contemperare l’esigenza del locatore di ottenere le prestazioni del garante, senza sottoporsi a inutili e ripetuti formalismi, con l’opposta necessità del garante di contenere la propria esposizione.
Ancora, è oltremodo opportuno che la garanzia, quando rilasciata in forma di fideiussione, non copra solo il pagamento del canone di locazione ed oneri accessori, ma – più ampiamente – tutte le obbligazioni pecuniarie facenti capo al conduttore e quindi: il risarcimento dei danni cagionati ai locali (sì da sostituire il deposito cauzionale); il rimborso delle spese di manutenzione; il pagamento delle eventuali penali, prima fra tutte quella per il mancato rilascio dei locali nel momento in cui viene meno per qualsiasi ragione il diritto del conduttore ad occuparli (su cui al caso 1.7).
Ravvisandosi un’ipotesi di fideiussione per obbligazione futura, il massimale pattuito dovrà essere adeguato, valutando caso per caso i seguenti elementi: almeno un anno di canone di locazione ed oneri accessori; le condizioni dei locali, sì da stimare una somma adeguata per coprire gli eventuali danni; le penali che potrebbero maturare. Le stesse considerazioni valgono per fissare la somma che il garante si obbliga a corrispondere a “prima richiesta”.
A prescindere dalla natura della garanzia, sarebbe poi preferibile per il locatore non stipulare il contratto di locazione, sino a quando la garanzia richiesta non viene accesa e consegnata nelle sue mani.
Per ovviare all’esigenza del potenziale garante di conoscere il contenuto delle obbligazioni, cui egli potrebbe essere chiamato ad assolvere, specie qualora si stipuli una fideiussione, il locatore può limitarsi a formulare una mera lettera d’intenti, con allegata la bozza del contratto di locazione che – esistente la garanzia – egli sarebbe disponibile a firmare.
Oppure, se il potenziale conduttore preme per vincolare maggiormente il suo possibile futuro locatore, tale scritto potrebbe anche contenere l’impegno di quest’ultimo a stipulare il contratto stesso entro un breve lasso di tempo dalla concessione della garanzia. In siffatto caso, però, pare opportuno che il potenziale locatore ponga anche un preciso termine al valore del proprio impegno, facendolo automaticamente decadere, qualora la garanzia non venga prestata entro un determinato arco temporale.
Ovvero, le parti potrebbero stipulare sin da subito lo stesso contratto di locazione, sottoponendolo però nel contempo a due condizioni strettamente interdipendenti: sospensiva (nel senso che il contratto non opera sino a quando la garanzia non viene prestata) e risolutiva (il contratto si risolve automaticamente, se la garanzia non è concessa entro un preciso termine). Naturalmente, il locatore dovrà anche usare l’accortezza di non concedere affatto alla controparte il possesso del locale (non darle cioè le chiavi), sino a quando non gli verrà consegnata la garanzia validamente accesa. Visto il delicato meccanismo contrattuale così posto in essere, sarà comunque opportuno identificare con precisione il contenuto della garanzia richiesta dal locatore. Pertanto, non basta indicare quale deve essere l’oggetto della garanzia, ma è bene allegare al contratto di locazione sospensivamente condizionato anche il testo della garanzia richiesta al terzo.
In conclusione:
L’unico modo a disposizione del locatore per cautelarsi contro il rischio di morosità del conduttore è quello di pretendere – come condizione per la conclusione del contratto di locazione – che quest’ultimo procuri un autorevole garante, il quale, mediante un contratto autonomo di garanzia ovvero una fideiussione (meglio se “a prima richiesta”), assicuri il pagamento di una somma che tenga conto di: almeno un anno di canone di locazione ed oneri accessori; gli eventuali danni arrecati dal conduttore ai locali, tenuto conto delle loro specifiche condizioni; le penali che potrebbero maturare in capo al conduttore, specie quelli per mancato rilascio dell’immobile.
Clausola contrattuale: (per un corretto coordinamento, si vedano anche le clausole al caso 5.9)
a) Fideiussione:
ATTO DI FIDEIUSSIONE
La Banca ……………………………………………………, con sede a ……………………, in via ……………………………, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, sig. ……………………………
Premesso– che il sig. …………… (locatore) ha concesso in locazione al sig. ………………… (conduttore) un alloggio ad uso abitativo sito ……………… in via ……………………. il contratto (da ora: il Contratto di Locazione) costituente l’Allegato n.1 al presente atto; – che nel Contratto di Locazione, viene stabilito: a) che la validità del Contratto di Locazione resta sospensivamente condizionata al fatto che il conduttore ottenga da primario istituto bancario o società assicuratrice (italiani o con rappresentante stabile in Italia) la garanzia in favore del locatore di cui all’Allegato n.1 al Contratto di Locazione stesso, garanzia costituita dal presente atto di fideiussione; b) che il Contratto di Locazione perde automaticamente ogni suo effetto: b.1) qualora, entro trenta giorni dalla sua sottoscrizione, il conduttore non consegni al locatore la garanzia in questione (e cioè quella di cui all’Allegato n.1 al Contratto di Locazione), validamente prestata da uno dei soggetti sopra indicati; b.2) qualora detta garanzia per qualsiasi ragione venga meno nel corso del rapporto di locazione; – che l’istituto bancario sopra individuato, dopo aver preso ampia visione del Contratto di Locazione ed averne ottenuta copia integrale, intende prestare al locatore la predetta garanzia che il conduttore è tenuto a procurare a quest’ultimo; tutto ciò premesso, l’istituto bancario sopra individuato (da ora definito il “Fideiussore”) SI COSTITUISCE FIDEIUSSORE– sino alla concorrenza di ……………… EURO – nei confronti del citato “locatore” o dei suoi aventi causa per qualsiasi somma il “conduttore” del Contratto di Locazione di cui in premessa sia tenuto a pagare al “locatore” medesimo a qualsiasi titolo in ragione del Contratto di Locazione stesso, o di successive eventuali proroghe o rinnovazioni di detto Contratto, siano esse tacite o espresse. Non è necessaria la preventiva escussione del conduttore da parte del creditore. Il pagamento da parte del fideiussore avverrà “senza eccezioni”, a semplice richiesta del locatore beneficiario (*). La presente fideiussione avrà validità per tutta la durata del Contratto di Locazione (ivi comprese le sue successive eventuali proroghe o rinnovazioni, sia tacite o espresse) nonché continuerà a vincolare il Fideiussore anche dopo la cessazione del Contratto di Locazione, sino a quando il conduttore non abbia provveduto ad estinguere interamente tutti i debiti che a qualsiasi titolo insorgano a suo carico in ragione del Contratto di Locazione. Torino, Il Fideiussore ………………………………
Allegato n.1: Contratto di Locazione, di cui in premessa.”
(*) inserire questa frase, per trasformare la garanzia in una fideiussione con pagamento “a prima richiesta”.
b) Garanzia a prima richiesta:
“Gent.mo signor .………………. (dati del locatore),
siamo stati informati che il giorno .….. avete concluso un contratto di locazione (qui di seguito definito il “Contratto”) con il sig. ……………… (qui di seguito definito il “Conduttore”). Secondo i termini del Contratto, al Conduttore si richiede di fornirvi una garanzia di corretta esecuzione per l’importo di …………………………… Ciò stabilito, su richiesta del Conduttore, noi ………………………………. (dati del garante) con la presente ci impegniamo irrevocabilmente a pagarvi immediatamente, alla vostra prima richiesta scritta, ogni somma fino all’ammontare massimo di ……………………….. euro, al momento del ricevimento della vostra conferma scritta che il Conduttore non ha adempiuto alle sue obbligazioni in conformità alle clausole del Contratto. La nostra obbligazione in virtù di questa garanzia verrà meno al più tardi il giorno ……………, indipendentemente dal fatto che il presente atto ci sia stato restituito o meno. La vostra rivendicazione scritta deve averci raggiunto in …………………. (luogo di ricezione della richiesta) entro tale data, altrimenti ogni e qualsiasi rivendicazione contro di noi in virtù di questa garanzia verrà automaticamente meno. Se inferiore al massimale sopra indicato, ogni pagamento fatto in virtù di questa garanzia comporterà una corrispondente riduzione della nostra obbligazione nei vostri confronti. L’originale di questo atto deve esserci restituito dopo la data di scadenza o dopo che le vostre rivendicazioni di cui infra siano state da noi soddisfatte. Nel caso effettuassimo qualsiasi pagamento in virtù di questa garanzia e successivamente venisse effettuato qualsiasi rimborso per qualunque ragione, Vi impegnate, accettando la presente garanzia, ad effettuare tale rimborso esclusivamente a noi”.
Firma garante …………………………”
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