Rilascio alla scadenza

Quando matura la scadenza contrattuale indicata nel contratto di locazione commerciale, cessa il rapporto: il conduttore è tenuto a rilasciare l’immobile (rilascio alla scadenza dell’immobile locato)?


 

Tacita rinnovazione.

 

Come si è appena anticipato, altra norma di carattere inderogabile (art.28 della legge 392/78, come di recente modificato dall’art.7 della legge 9/2007) fissa un meccanismo di tacito rinnovo del rapporto di locazione, che può essere interrotto solo per effetto di una disdetta fatta per iscritto, che l’altro contraente deve ricevere almeno dodici mesi (aumentati a diciotto, se trattasi di attività alberghiera o attività teatrale) prima della scadenza.

Gli effetti della tacita rinnovazione si potrebbero sintetizzare nel dire che il contratto prosegue tra le parti alle medesime condizioni inizialmente pattuite, salvi gli aumenti del canone derivanti dall’adeguamento all’incremento del costo della vita, se originariamente concordati (e cioè salvi gli aumenti attuabili per effetto della presenza di clausole conformi all’art.32 della legge 392/78).

Si sarebbe spinti a raggiungere la medesima conclusione anche per quanto concerne la durata, ma al riguardo la Cassazione ha elaborato un principio più sfaccettato. In effetti, così i giudici di legittimità hanno osservato nella sentenza del 24 novembre 2004, n.22129:

 

“2.11. Una esemplificazione è utile per dimostrare la coerenza della interpretazione che si ritiene di dover dare delle norme esaminate.

a) Immobile concesso in locazione senza determinazione di tempo: il contratto ha una durata di sei anni o nove anni per effetto del disposto del quarto comma dell’art.27; alla scadenza il contratto si rinnova per altri sei o nove anni per effetto del primo comma dell’art.28 a meno che il locatore eserciti il diritto di diniego di rinnovo ai sensi del secondo comma dell’art.28, secondo le modalità ed i termini previsti dall’art.29; in caso si mancato esercizio del diritto di diniego del rinnovo alla prima scadenza, alla nuova scadenza il locatore può fare cessare il contratto inviando una disdetta non motivata.

b) Immobile concesso in locazione per una durata inferiore a sei o nove anni; anche in questo caso il contratto ha una durata di sei o nove anni per effetto del disposto del quarto comma dell’art.27; per il resto la disciplina del rinnovo è la medesima di quella indicata nell’ipotesi a).

c) Immobile concesso in locazione per una durata superiore a sei o nove anni ma inferiore a dodici anni o diciotto anni, senza previsione o con esclusione del rinnovo alla scadenza ovvero ancora con previsione di un rinnovo inferiore a sei o nove anni; in questa ipotesi il contratto è valido quanto alla sua durata iniziale perché conforme alla disciplina di cui all’art.27; deve essere integrato con la disciplina del rinnovo dettata dall’art.28, nell’ipotesi in cui questa non sia stata pattuita dalle parti; deve essere invece sostituita da quella di cui allo stesso articolo nel caso in cui sia stato escluso il diritto al rinnovo o questo sia stato previsto in una misura inferiore a quella prevista dalla legge; tale sostituzione avviene per effetto del disposto del primo comma dell’art.79 della legge n.392 del 1978; in sintesi si faccia l’ipotesi in cui sia prevista una durata di nove anni, per un contratto che ai sensi dell’art.27 dovrebbe averne una minima di sei: se non sia stata prevista una disciplina pattizia per la sua rinnovazione, il contratto si rinnoverà alla prima scadenza per sei anni, salvo il diritto del locatore di negare il rinnovo per uno dei motivi di cui all’art.29; se sia stato previsto il diritto del locatore ad ottenere la restituzione dell’immobile alla prima scadenza, il contratto comunque si rinnoverà per sei anni se non sia inviata disdetta che possa configurarsi come esercizio del diritto di diniego di rinnovo alla prima scadenza; se sia stato previsto un rinnovo inferiore a sei anni, e non venga esercitato il diritto di diniego del rinnovo, il contratto si rinnoverà per sei anni, perché tale è la misura del rinnovo prevista dall’art.28; questa misura è indipendente dalla durata complessiva del contratto, data dalla somma della durata iniziale e di quella relativa al rinnovo, cosicché non può considerarsi ammissibile un contratto che abbia una durata iniziale di nove anni per il quale sia previsto un rinnovo di tre anni; non può infatti affermarsi che tale contratto sia valido perché complessivamente è stata rispettata la durata minima legale di dodici anni; al contrario, come già rilevato, il contratto è conforme alla legge per quanto riguarda la sua durata iniziale, ma non lo è per quanto riguarda l’autonoma disciplina dettata per la durata del rinnovo, la quale è prevista nella misura di sei o nove anni, salvo che ne sia concordata una più lunga.

d) Immobile concesso in locazione per una durata iniziale di dodici o diciannove anni, ovvero superiore, senza previsione o con esclusione del rinnovo alla scadenza ovvero ancora con previsione di un rinnovo inferiore a sei o nove anni. Anche in questa ipotesi, se si parte dalla considerazione che la disciplina della durata minima del contratto e la disciplina della sua rinnovazione costituiscono due momenti distinti della vita del contratto stesso, con la conseguenza che sussiste il diritto del rinnovo alla prima scadenza indipendentemente dalla durata iniziale del contratto, la disciplina conseguente non potrà essere che quella indicata sub e) (rectius, sub c: n.d.r.). Il solo fatto che il contratto sia stato stipulato per dodici o diciannove anni non vale a sottrarlo alla disciplina del diniego di rinnovazione alla prima scadenza. Un contratto siffatto, sarà invero conforme alla legge quanto alla sua durata iniziale ma non lo sarà per quanto concerne la disciplina del rinnovo, anch’essa obbligatoria così come è obbligatoria quella relativa alla durata iniziale”.

 

Così anche Cassazione, 28 ottobre 2004, n.20906.

 

 

Limiti alla facoltà di disdettare alla “prima scadenza”.

 

Fermi i principi appena illustrati, le parti ricevono però un diverso trattamento nel momento in cui di tratta di applicarli.

Il conduttore, infatti, è sempre libero di far cessare il contratto alla sua scadenza, ivi compresa quella originariamente pattuita (usualmente nota come la “prima scadenza” che solitamente coincide con il decorso di un periodo pari alla durata minima imposta dal citato art.27 della legge 392/78), impedendone in qualsiasi momento la rinnovazione.

Per contro, ciò non vale per il locatore, siccome in occasione della “prima scadenza”, egli può comunicare a controparte il proprio diniego alla rinnovazione solo in alcune specifiche circostanze. Non sussistendo queste ultime (indicate all’art.29 della legge 392/78), all’avvicinarsi della “prima scadenza” al locatore è imposto di assistere passivamente all’automatica rinnovazione del rapporto di locazione. Ecco la ragione per cui nella prassi commerciale i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione, ricadenti nel disposto dell’art.27 della legge 392/78, vengono solitamente definiti di durata “6 anni + 6 anni” (ovvero “9 anni + 9 anni” per gli alberghi ed i teatri).

La disdetta può essere comunicata dal locatore anche a mezzo di un mandatario (Cassazione, 28 giugno 1997, n.5802). Ciò vale anche se quest’ultimo agisce quale falsus procurator, a condizione però che non solo che segua la ratifica da parte del soggetto falsamente rappresentato, ma che quest’ultimo coincida con il locatore (Cassazione, 8 febbraio 2005, n.2510).

Ciò posto, esaminiamo nel dettaglio quando al locatore – anche se ente pubblico: Cassazione, 27 luglio 1993, n.8380; 13 dicembre 2000, n.15752 – è consentito comunicare la disdetta in vista della “prima scadenza” contrattuale.

Rigidamente la legge lo ammette solo nelle seguenti circostanze.

In primo luogo, quando il locatore intende adibire l’immobile ad abitazione propria ovvero del coniuge ovvero dei parenti entro il secondo grado in linea retta (e cioè, visto il disposto dell’art.75 c.c.: genitori e nonni del locatore, tra gli ascendenti; figli e nipoti del locatore, tra i discendenti). Secondo Cassazione, 28 giugno 1997, n.580, ciò vale anche se il locatore è una società di persone, dovendosi tali interessi ricollegare ai soci. Per abitazione, si intende quella abituale, siccome il recesso ha proprio come presupposto il bisogno di un’abitazione primaria (Cassazione, 17 gennaio 1987, n.374).

In secondo luogo, quando il locatore intende adibire l’immobile all’esercizio, in proprio o da parte del coniuge ovvero dei parenti entro il secondo grado in via retta, di una delle attività indicate dall’art.27 della legge 392/78 (e cioè le stesse attività che fanno scattare la durata minima legale al contratto di locazione). Il principio opera anche se il locatore è una società di persone (sempre Cassazione, 28 giugno 1997, n.580) nonché se il soggetto indicato quale futuro esercente opererà non quale titolare dell’attività stessa, ma quale partecipe ad un’impresa famigliare (Cassazione, 29 febbraio 1988, n.2122).

Il diniego, inoltre può essere utilmente dato, anche se nel momento in cui viene comunicato il locatore non è in possesso delle licenze amministrative eventualmente necessarie per esercitare detta attività (Cassazione, 10 giugno 1994, n.5664; 22 maggio 1997, n.4568).

In terzo luogo, se il locatore vuole demolire l’immobile per ricostruirlo ovvero procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro, ovvero eseguire su di esso un intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle vigenti leggi.

Così la Cassazione ha distinto le varie menzionate ipotesi (sentenze 19 ottobre 1982, n.5452; 3 settembre 1984, n.4740): la ricostruzione dell’edificio, previa demolizione, comporta la cessazione dell’oggetto del rapporto, generato dal contratto di locazione, che è sostituito da un bene diverso, ancorché riproduca la struttura di quello demolito; l’integrale ristrutturazione conduce alla modificazione della struttura dell’edificio, che viene ad assumere un diverso modo d’essere e, perciò, il sorgere di un quid novi; il completo restauro implica il ripristino dell’edificio nel suo modo di essere originario, attraverso il quasi integrale rifacimento delle parti distrutte o deteriorate e la eliminazione di altri elementi architettonici. Detti interventi presuppongono dunque una modifica dell’immobile sotto forma di diversità ontologica o qualitativa rispetto a quello precedente. Pertanto, tra essi non rientra la manutenzione né straordinaria, né quella ordinaria, siccome entrambe  rappresentano attività edilizia di conservazione, differendo solo in relazione alla normalità dei lavori (nel senso di ordinaria e periodica ricorrenza) ed all’entità della spesa.

Inoltre, la Suprema Corte ha puntualizzato che siffatti interventi edilizi devono concernere l’immobile oggetto di locazione, a nulla invece rilevando che i progettati lavori interessino altre parti dell’edificio in cui detto il bene locato è situato. Ciò vale anche se la permanenza del conduttore durante i lavori all’edificio aggrava la spesa per il locatore (sentenza 14 maggio 1984, n.2929; 22 marzo 1995, n.3266; 15 gennaio 1991, n.296). Va tuttavia puntualizzato che la demolizione o integrale ristrutturazione dell’immobile locato può inserirsi in un più ampio contesto di lavori edilizi all’intero fabbricato. Per contro, non vale l’opposto, nel senso che non è possibile disdettare il contratto alla “prima scadenza”, se i lavori di restauro dell’intero fabbricato non coinvolgono  nella stessa incisiva misura anche il bene locato.

In quarto luogo, infine, se il locatore ha in proposito di ristrutturare l’immobile al fine di rendere la superficie dei locali conforme a quanto previsto dall’art.12 della legge 11 giugno 1971, n.426, e ai relativi piani comunali, sempre che le opere da effettuarsi rendano incompatibile la presenza del conduttore nell’immobile. Detta legge è stata però abrogata dall’art.26 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.114, di integrale riforma della disciplina relativa al settore del commercio, per cui bisogna ora fare riferimento a quanto ora disposto al suo titolo terzo.

Nelle due ultime ipotesi, quando cioè il diniego alla “prima scadenza” sia suffragato dalla necessità di effettuare detti interventi materiali sull’immobile, il possesso in capo al locatore dei prescritti permessi edilizi è condizione per l’esecuzione della pronuncia di rilascio (Cassazione, 11 gennaio 2006, n.258).

Trattasi dunque dell’opposto, rispetto a quanto avviene per le prime due ipotesi. Utile richiamare in proposito l’insegnamento della Suprema Corte contenuto nella sentenza 21 maggio 1997, n.4518:

 

“in linea generale, che nel caso previsto dalla lett. c) dell’art.29, l’esecuzione di opere edilizie (ristrutturazione o completo restauro) sull’immobile locato costituisce lo scopo unico e immediato dell’azione del locatore volta a conseguire la declaratoria di legittimità del recesso e il rilascio dell’immobile, mentre, nell’ipotesi riconducibile alla previsione della lettera b), scopo primario e diretto dell’azione è il soddisfacimento dell’interesse del locatore di destinare l’immobile all’esercizio di una delle attività indicate nell’art. 27, oppure, allorché si tratti di enti pubblici, di attività tendenti al conseguimento della loro finalità istituzionali, avendo carattere accessorio e strumentale, rispetto allo scopo ora indicato, l’eventuale esecuzione di opere edilizie che possa rendersi necessaria per assicurare la destinazione stessa (Cass. 14 giugno 1988 n.4033).

In quest’ultimo caso, secondo quanto si desume inequivocamente dal silenzio della legge, non costituisce condizione necessaria dell’azione di rilascio il possesso della prescritta licenza o concessione edilizia (Cass. 8 agosto 1995 n.8686, Cass. 14 gennaio 1988 n.204)”.

 

 

Disdetta alla “prima scadenza” per locazioni alberghiere.

 

Lievemente diverse le circostanze in cui può il locatore ha facoltà di disdettare alle “prima scadenza” novennale un contratto di locazione relativo ad immobile adibito ad albergo, pensione o locanda. Ciò può avvenire unicamente (Cassazione, 17 dicembre 1990, n.11954) quando il locatore:

  • intende adibire l’immobile all’esercizio, in proprio o da parte del coniuge ovvero dei parenti entro il secondo grado in via retta, della medesima attività alberghiera esercitata dal conduttore;
  • si propone di ricostruire l’immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di apportarvi notevoli migliorie (che ne aumentano la capacità ricettiva o che comunque comportano un passaggio dell’azienda a una categoria superiore) e l’immobile risulta oggetto di intervento sulla base di un programma pluriennale di attuazione, ai sensi delle leggi vigenti.

Anche qui, il possesso della prescritta licenza o concessione amministrativa condiziona l’esperibilità dell’azione di rilascio, se la disdetta alla “prima scadenza” è giustificata con l’esigenza di effettuare i citati interventi edilizi sull’immobile. Per contro, la facoltà del locatore di far cessare il rapporto in tale momento per esercitare nell’immobile locato l’attività alberghiera, non è subordinata all’accertamento del requisito della capacità professionale (Cassazione, 10 giugno 1994, n.5664).

In ogni caso, comunque, la Cassazione è ferma (in ultimo, la sentenza del 18 gennaio 2002, n.537) nel ritenere che il diniego di rinnovo del contratto di locazione non abitativa alla “prima scadenza” non trova ostacolo nella circostanza che il locatore disponga di altri immobili utilizzabili per la destinazione addotta, “avendo il locatore il diritto insindacabile di scegliere quello ritenuto più opportuno (cfr. Cass., 26 giugno 1984 n. 3725 “ex plurimis”)”.

 

 

Forma e requisiti della disdetta.

 

Quanto alla forma, in ogni caso la disdetta deve avvenire per iscritto.

Se a comunicarla è il locatore in occasione della “prima scadenza”, è altresì necessario che egli specifichi con cura i motivi da lui posti alla base del diniego di rinnovazione del rapporto, giacché in mancanza l’atto è nullo (Cassazione, 12 luglio 2005, n.14611). Pertanto, se viene commesso tale errore dando una disdetta recante una motivazione generica o imprecisa, solo l’invio tempestivo di una nuova disdetta da parte del locatore, adeguatamente motivata, sarà capace di interrompere il rapporto.

La giurisprudenza attribuisce infatti particolare importanza al fatto che dal tenore letterale della disdetta emerga – senza peraltro la possibilità di successive integrazioni – con precisione sia qual è lo specifico motivo addotto (Cassazione, 9 settembre 1988, n.8934; 5 aprile 1995, n.4003; 29 settembre 1997, n.9545; 21 novembre 2001, n.14728), sia chi è il soggetto che andrà ad occupare i locali, se diverso dal locatore (Cassazione, 19 gennaio 2001, n.792). La ragione di tale orientamento è che solo in presenza di una disdetta adeguatamente circostanziata diviene possibile, in caso di controversia, la verifica della serietà e realizzabilità dell’intento del locatore e, dopo il rilascio, il controllo circa l’effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato, nel caso in cui il conduttore pretenda l’applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’art.31 della legge 392/78 (illustrate nel successivo caso 5.4).

Circa il controllo della serietà della disdetta data per la “prima scadenza”, oltre a quello facilmente esperibile a posteriori verificando l’uso poi concretamente fatto dal proprietario dei locali una volta liberati dal conduttore, se ne affianca anche uno a priori, eseguibile anche in sede di eventuale opposizione alla richiesta di rilascio. Quest’ultimo consiste nell’accertare se l’intento indicato dal locatore sia – almeno in astratto – realizzabile tecnicamente e giuridicamente (Cassazione, 14 ottobre 1991, n.10758; 12 maggio 1993, n.5413; 12 novembre 1994, n.9550; 3 dicembre 1994, n.10423; 24 giugno 1997, n.5637; 20 agosto 2003, n.12209).

Per contro, il conduttore non è mai tenuto a dare alcuna motivazione e si trova libero di disdettare ad nutum il contratto anche alla “prima scadenza”.

Secondo la giurisprudenza, la disdetta costituisce una comunicazione di natura recettizia: di conseguenza, non è sufficiente che essa venga inviata nel termine suddetto, dovendo invece necessariamente pervenire all’altra parte entro il termine medesimo (così Cassazione, Sezioni Unite, 5 novembre 1981, n.5823, resa con riferimento a tutti gli atti unilaterali di natura recettizia). Pertanto, la disdetta non viene validamente data, se il destinatario non ritira la raccomandata (o altro tipo di scritto, ivi compresa l’intimazione di sfratto per finita locazione: Cassazione, 12 gennaio 2006, n.409) che la porta. In tali circostanze, sarà allora necessario procedere – per tempo! – a dare tale comunicazione facendola notificare dall’ufficiale giudiziario territorialmente competente, sì che in caso di assenza o mancato ritiro vengono da quest’ultimo attivati i meccanismi che consentono di considerare la comunicazione come effettivamente eseguita (di cui agli articoli da 137 a 149 c.p.c.).

Non ci si deve però confondere con l’orientamento seguito dalla Cassazione (sentenza 19 dicembre 1997, n.12866) circa il disposto dell’art.1335 c.c., il quale collega la presunzione di conoscenza delle dichiarazioni recettizie al fatto che esse giungano all’indirizzo del destinatario. In base a detta norma, la dichiarazione deve ritenersi conosciuta dal medesimo destinatario, a meno che egli non provi di non averne avuto notizia senza sua colpa. Per contro, al mittente non spetta provare tale conoscenza, essendo per lui sufficiente dimostrare l’avvenuto recapito della dichiarazione all’indirizzo del destinatario, senza doversi spingersi a dare la prova della ricezione della dichiarazione, da parte del destinatario o di persona autorizzata a riceverla ai sensi dell’art.37 del regolamento di esecuzione del codice postale (R.D. n.689 del 1940). In effetti, nel caso appena illustrato la comunicazione di disdetta viene comunque trattenuta all’indirizzo del suo destinatario (nella fattispecie citata, infatti, il locatore aveva nelle proprie mani la cartolina di avvenuto ricevimento recante apposta una firma), situazione antitetica rispetto a quella in cui quest’ultimo rifiuti di ritirare il plico postale.

Sul piano processuale, dopo aver comunicato regolare motivata disdetta al conduttore in vista della “prima scadenza”, il locatore dovrà esperire la procedura indicata all’art.30, comma 1, della legge 392/78, che rinvia all’art.447 bis c.p.c.

In altri termini, in tali circostanze al locatore è precluso il ricorso alla procedura per convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, dovendosi invece seguire da subito il rito fissato all’art.414 e seguenti c.p.c. (quello per le controversie di lavoro).

 

 

 

Contratti soggetti alla disciplina.

 

L’intera disciplina sopra descritta interessa tutti i rapporti per locazioni ad uso non abitativo soggetti alla legge 392/78.

In passato, si pensava che ciò invece non valesse per le tipologie di rapporti indicate all’art.42, visto che il suo secondo comma richiamava sì il preavviso di cui all’art.28 della medesima legge, ma non il successivo art.29.

Tuttavia, ogni – anche ragionevole – dubbio è stato rimosso dalla Cassazione a Sezioni Unite (nella sentenza del 9 luglio 1997, n.6227), la quale ha sancito che il trattamento sopra descritto si applica anche agli immobili adibiti a:

  • attività ricreative, assistenziali, culturali (i teatri sono ora specificamente menzionati nello stesso art.28 della legge 392/78), scolastiche, sede di partiti e sindacati (art.42, comma 1, legge 392/78);
  • qualsiasi uso, se il conduttore è lo Stato o altro ente pubblico territoriale (art.42, comma 1, legge 392/78).

Pertanto: anche tali contratti non scadono automaticamente al maturare del termine originariamente pattuito dalle parti, in assenza di disdetta; inoltre, al locatore non è concesso di disdettarli “ad nutum” alla “prima scadenza”.

Per tentare di aggirare l’ostacolo, non vale tuttavia inserire nel contratto una clausola comportante la preventiva rinuncia del conduttore ad ottenere la rinnovazione del contratto alla “prima scadenza”, trattandosi di una pattuizione nulla (Cassazione, 28 ottobre 2004, n.20906):

 

“Mentre la rinuncia del conduttore al diritto di rinnovazione del contratto alla prima scadenza è valida soltanto se interviene successivamente alla stipula del contratto – in relazione al fatto che la sanzione di nullità prevista dall’art.79 legge 392/78 si riferisce alle pattuizioni che tendono a limitare preventivamente i diritti attribuiti al conduttore dalle disposizioni inderogabili della detta legge (Cass. 13.9.1996, n. 8262) – la rinuncia del locatore alla facoltà di diniego della rinnovazione di cui all’art.28, ultimo comma, della stessa legge è valida in qualunque momento intervenga, risolvendosi in una protrazione del rapporto e risultando, perciò, più favorevole al conduttore, destinatario della tutela stabilita dalla legge”.

 

Per contro, se durante la pendenza del rapporto il conduttore rinuncia a tale facoltà dietro corrispettivo, la pattuizione è valida, siccome rappresenta un atto dispositivo di un diritto economico conseguito in seguito alla stipulazione del contratto stesso (Cassazione, 13 settembre 1996, n.8262; 29 aprile 1991, n.4709; 21 luglio 2003, n.11323; 12 novembre 2004, n.21520). A ben vedere, sotto l’aspetto pratico tale negozio risulta analogo alla risoluzione consensuale del rapporto di locazione, che può avvenire anche senza alcun compenso per il conduttore.

Diritto che, invece, non verrebbe in essere nel caso di rinuncia preventiva, onde la citata reazione della giurisprudenza.

Merita infine spendere qualche parola per ricordare il caso degli immobili locati adibiti a farmacie. Nulla osta per il locatore a dare la disdetta anche in occasione della “prima scadenza”. Le difficoltà – spesso alquanto ardue – insorgono però nella fase esecutiva del provvedimento di rilascio, giacché ciò è condizionato all’ottenimento di un’apposita autorizzazione prefettizia (Cassazione, 21 novembre 1988, n.6272; 26 ottobre 1994, n.8784).

 

 

Rapporti non soggetti alla legge 392/78.

 

Per tali residuali rapporti, dispone l’art.1597 c.c.

Salva diversa pattuizione, la locazione si considera rinnovata: se, scaduto il suo termine, il conduttore rimane nei locali; oppure se, trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata disdetta a norma dell’art.1596 c.c. (e cioè con il preavviso pattuito o, in mancanza, sancito dagli usi).

In base al secondo comma dell’art.1597 citato, in mancanza di disdetta la nuova locazione viene regolata dalle stesse condizioni della precedente, ma la sua durata diviene quella prevista per le locazioni a tempo indeterminato e, quindi, rinvia all’art. 1574 n.1 c. c., il quale al riguardo stabilisce la durata di un anno, salvi gli usi.

Con riferimento a quest’ultima norma, la Cassazione ha precisato (sentenza 5 ottobre 2002, n.11701) che è intesa a regolare la durata di ogni specie di locazione non soggetta alla legge 392/78. Di conseguenza, l’elencazione ivi contenuta delle diverse attività, a cui i locali possano essere adibiti, riveste necessariamente carattere non tassativo ma meramente esemplificativo, fermo restando – è bene ribadirlo – che non deve comunque trattarsi di rapporti disciplinati dalla legge 392/78, sovrappostasi alle previgenti norme contenute nel codice civile.

 

APPROFONDIMENTI:

 

In conclusione:

 

Quando scatta la scadenza indicata dalle parti nel contratto di locazione (e cioè quella di cui al caso 5.2.), solitamente il contratto si rinnova automaticamente per un eguale periodo. Difatti, il locatore ha facoltà di far cessare il contratto alla “prima scadenza” solo in alcune particolari ipotesi strettamente determinate dalla legge. A tal fine, il locatore deve far pervenire al conduttore formale disdetta almeno 12 mesi prima della scadenza (18 per le attività alberghiere e teatrali), in cui si indichi con precisione il motivo posto a suffragio della disdetta stessa. Per tale ragione, nella prassi commerciale si parla di contratti aventi durata “6+6” (e cioè sei anni di durata minima iniziale, oltre sei anni conseguenti a rinnovazione alla “prima scadenza”) ovvero “9+9” (per alberghi e teatri).

 

 

 

Disdetta motivata.

 

per locali uso non abitativo e non adibiti a albergo

 

(raccomandata r.r.)

Oggetto: cessazione locazione dell’immobile sito a ………………. in via …………………

 

 

Comunico con la presente formale disdetta del contratto di locazione, relativo all’immobile di cui in oggetto, per la scadenza del ……………………., dovendo adibire al più presto tale appartamento ad (*):

  • abitazione mia personale e della mia famiglia / ovvero /del sig.…………………………………… (indicare il legame di parentela, se non si tratta del locatore).
  • demolire l’immobile per ricostruirlo / procedere alla integrale ristrutturazione o restauro /eseguire un intervento sulla base di un programma pluriennale annuo (indicare sempre il numero del permesso di costruire ovvero del documento equipollente)
  • ristrutturare l’immobile al fine di rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto nell’art.12 della legge 426/1971 e relativi piani comunali (indicare il numero del permesso di costruire ovvero del documento equipollente

 

Distinti saluti.

 

Firma …………………

 

(*) indicare solo l’ipotesi applicabile al caso di specie

 

 

 

per locali adibiti a albergo

 

 

raccomandata r.r.)

Oggetto: cessazione locazione dell’immobile sito a ………………. in via …………………

 

Comunico con la presente formale disdetta del contratto di locazione, relativo all’immobile di cui in oggetto, per la scadenza del ……………………., sussistendo il seguente motivo (*):

  • intendendo esercitare attività alberghiera nell’immobile personalmente / ovvero / il sig. …………………… (indicare il legame di parentela, se non si tratta del locatore).
  • demolire l’immobile per ricostruirlo / procedere alla integrale ristrutturazione o restauro / eseguire un intervento sulla base di un programma pluriennale annuo (indicare sempre il numero del permesso di costruire ovvero del documento equipollente)
  • intendendo effettuare sull’immobile gli interventi di cui all’art. 29, comma 2, della legge 392/1978 (indicare il numero del permesso di costruire ovvero del documento equipollente)

 

Distinti saluti.

 

Firma …………………

 

(*) indicare solo l’ipotesi applicabile al caso di specie