Recesso del conduttore

Il conduttore può far cessare il contratto di locazione commerciale prima di una qualsiasi sua scadenza? Quando può dunque avvenire il recesso del conduttore?


Il recesso del conduttore non equivale alla disdetta, e cioè dell’atto con cui una delle parti ha facoltà di impedire (per il locatore, con i limiti di cui all’art.29 della legge 392/78) che il rapporto si rinnovi, una volta interamente trascorsa la sua durata.

Cosa diversa è il recesso, il quale ha l’effetto di interrompere il rapporto durante la sua vigenza e, dunque, prima della scadenza.

Anche per quanto concerne il recesso, la legge (art.27, comma 7, legge 392/78) regola in modo differenziato la posizione delle parti, in considerazione del fatto che l’inserimento di una clausola contemplante tale facoltà può influire sulla durata minima del contratto, riducendola. Come detto, quest’ultima è fissata da una norma di ordine pubblico nell’interesse del conduttore.

Pertanto, al locatore è precluso recedere dal contratto. La clausola, che gli attribuisse tale diritto, sarebbe quindi nulla.

Per contro, essendo oggetto di tutela il solo interesse del conduttore, nulla osta a che le parti pattuiscano invece un’apposita clausola, idonea a consentire solo a quest’ultimo di recedere dal contratto, dando preavviso. La legge fissa il relativo termine in sei mesi prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione, ma in questo caso alle parti è concesso pattuire anche un termine più breve, siccome ciò opera sempre a vantaggio del conduttore.

In mancanza di un’apposita pattuizione nel senso anzidetto, in forza dell’art.1372 c.c. anche il conduttore sarebbe tenuto a rispettare il contratto sino alla sua scadenza, dovendo conseguentemente corrispondere il canone concordato sino a tale momento, anche se è venuto meno il suo interesse ad occupare l’immobile. Tuttavia, a correggere parzialmente tale situazione interviene nuovamente la legge, dettando un’ulteriore norma in favore del conduttore. Per effetto dell’ultimo comma dell’art.27 della legge 392/78, qualora sussistano “gravi motivi” il conduttore ha sempre diritto di recedere dal contratto, e ciò indipendentemente dall’esistenza di una previsione contrattuale. In tali circostanze, il conduttore è tenuto a dare un preavviso di almeno sei mesi, da comunicarsi mediante lettera raccomandata, che specifica le ragioni del recesso. Ciò consente infatti al locatore di verificare il fondamento del recesso comunicato dalla controparte (Cassazione, 29 marzo 2006, n.7241, ove viene modificato il precedente orientamento, espresso con la sentenza 12 novembre 2003, n.17042, secondo cui le ragioni del recesso andavano invece addotte dal conduttore solo in caso di contestazione da parte del locatore).

Il punto diviene allora capire quando si configurino i “gravi motivi” idonei a consentire il recesso unilaterale del conduttore, considerati tassativi (Cassazione, 20 marzo 2006, n.6095).

E’ principio fermo della giurisprudenza di legittimità che deve trattarsi di fatti non solo estranei alla volontà del conduttore, ma anche imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, il cui effetto è rendere oltremodo gravosa la sua persistenza per il conduttore (Cassazione, 26 luglio 2005, n.1560). Inoltre, la Cassazione ha escluso che detti motivi possano essere riconducibili alla soggettiva ed unilaterale valutazione effettuata dal conduttore circa l’opportunità o meno di continuare la locazione (sentenza 19 luglio 2005, n.15215).

Applicando tali principi, la Suprema Corte ha ripetutamente affrontato la questione dei mutamenti delle esigenze strutturali del conduttore discendenti dallo sviluppo commerciale della zona dove è sito l’immobile locato ovvero dalla variazione – positive o negative – della congiuntura economica generale.

Con riferimento alla prima ipotesi, i “gravi motivi” sono stati ravvisati proprio nel mancato sviluppo, non essendo stato realizzato un centro commerciale, la cui creazione era invece attesa al momento della stipulazione del contratto (Cassazione, 24 febbraio 2004, n.3651).

Riguardo alla seconda ipotesi, la Cassazione ha così deciso (sentenza 11 novembre 2003, n.17042, cui sono seguite le conformi pronunce del 20 febbraio 2004, n.3418 e del 30 aprile 2005, n.9023):

“La giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che i gravi motivi che consentono, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il recesso del conduttore dal contratto di locazione, ai sensi degli artt.4 e 27 legge 27 luglio 1978, n.392, devono essere determinati da fatti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendergli oltremodo gravosa la sua prosecuzione, e in particolare in relazione alle locazioni commerciali può integrare grave motivo, che legittima il recesso del conduttore, un andamento della congiuntura economica (sia favorevole che sfavorevole all’attività di impresa), sopravvenuto e oggettivamente imprevedibile (quando fu stipulato il contratto), che lo obblighi ad ampliare o ridurre la struttura aziendale in misura tale, da rendergli particolarmente gravosa la persistenza del rapporto locativo, tenendo conto, quanto al requisito della inprevedibilità della congiuntura economica, che esso va valutato in concreto e in relazione ai fattori che ne hanno determinato l’andamento (Cass. 10 dicembre 1996, n.10980, cfr. Cass. 260-91; Cass. 11466-92; Cass. 1098-94).

5.2. È evidente, in tale ottica interpretativa, che il requisito della “estraneità” rispetto alla volontà del conduttore afferisce alle circostanze che rendano oltremodo gravosa per lui la persistenza del rapporto e non alle determinazioni che il conduttore medesimo, in dipendenza di tali circostanze, venga ad adottare.

In altri termini, in presenza di fatti che rendano necessario un ridimensionamento dell’organizzazione aziendale del conduttore per citare una situazione riconducibile a quella della fattispecie in esame – il requisito dell’estraneità riguarda le cause obiettive che impongano tale ridimensionamento, rendendolo più consono alle esigenze di economicità e di produttività della gestione aziendale, non i comportamenti che a seguito di esse l’imprenditore possa adottare.

Questi sono per loro natura volontari, ma ciò che rileva è la loro correlazione a fattori obiettivi, si che non possano apparire frutto di iniziative arbitrarie o improvvisate.

In tale ottica, non può rilevare che le nuove dimensioni che si rendano necessarie alla struttura aziendale siano in senso riduttivo o ampliativo: in entrambi i casi sono egualmente prospettabili, in base alla “ratio” dell’art.27 della legge n.392 del 1978, obiettive esigenze per il conduttore di adeguare la struttura aziendale alla situazione sopravvenuta, e quindi l’eccessiva gravosità del persistere del rapporto di locazione in corso.

In tal senso la previsione dell’art.27 della legge n.392 del 1978 – come quella dell’art.4 in tema di locazioni ad uso abitativo – ben si raccorda cori la disciplina generale dell’onerosità sopravvenuta (art.1367 c.c.), della quale peraltro mutua solo i connotati generali sotto il profilo della natura “oggettiva” delle situazioni di fatto che valgono ad integrare i “gravi motivi”.

La predetta decisione consente di individuare la distinzione tra recesso per “gravi motivi” (ex art.27 citato della legge 392/78) e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (ex art.1367 c.c.). Ad integrare quanto lì evidenziato, bisogna richiamare l’insegnamento dato dai giudici di legittimità nella precedente sentenza dell’11 agosto 1997, n.7460:

“ … i gravi motivi, in presenza dei quali l’art.27 consente il recesso del conduttore in qualsiasi momento, devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore medesimo, che, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto locativo, rendano oltremodo gravosa la persistenza del rapporto stesso (Cass. 12/1/1991, n.260 – Cass. 20/10/1992, n.11466 – Cass., 3/2/1994, n.1098), e questa interpretazione non è tale da rendere identiche e sovrapponibili la previsione normativa in esame e quella contenuta nell’art.1467 Cod. Civ., posto che quest’ultima viene in considerazione soltanto ove ricorrano gli ulteriori requisiti della straordinarietà (e cioè della eccezionalità) dell’evento sopravvenuto e della alterazione del rapporto di proporzionalità fra le reciproche prestazioni dei contraenti (Cass., 12/2/1982, n.854 – Cass., 5/11/1992, n.11992 – Cass., 16/3/1981, n.1465), requisiti che non sono, invece, postulati per l’applicabilità dell’art.27 della legge n.392”.

L’interruzione unilaterale del rapporto, perpetrata dal conduttore sì in presenza dei detti “gravi motivi”, ma senza il preavviso di legge, comporta l’obbligo di risarcire i danni patiti dal locatore, quando il primo non dimostra che quest’ultimo non sia comunque riuscito ad utilizzare l’immobile, direttamente o indirettamente (Cassazione, 24 maggio 1993, n.5827).

Cosa ancora diversa dalle precedenti è la risoluzione consensuale del rapporto di locazione. La legge non pone ostacoli, siccome ciò avviene per effetto di un accordo tra le parti, raggiunto in epoca successiva alla conclusione del contratto oggetto di risoluzione ed in modo del tutto indipendente rispetto alle pattuizioni originariamente assunte.

In tale contesto si inserisce anche il cosiddetto “contratto di subentro”, legittimamente concluso (Cassazione 12 novembre 2004, n.21520) tra il conduttore ed un terzo, in cui il conduttore stesso rinuncia dietro corrispettivo ai propri diritti di locazione, al fine di consentire al terzo di stipulare un nuovo contratto di locazione con il proprietario dell’immobile. Tale fattispecie presuppone infatti che il conduttore ed il locatore risolvano consensualmente il rapporto esistente, onde poter consentire a quest’ultimo di stipulare con il terzo il nuovo rapporto. Il “contratto di subentro” trova la propria ragione quando il terzo è interessato ad ottenere la disponibilità dell’immobile, ma non è in grado di farlo senza il consenso del locatore, giacché non si configura un’ipotesi né di cessione dell’azienda del conduttore, né di quella del solo contratto di locazione.

Sempre con riferimento a tale ipotesi, la Cassazione ha anche ritenuto valido il cosiddetto “patto di buona uscita”, intervenuto tra il conduttore uscente e quello entrante, con cui il secondo si obbliga a corrispondere un quantum al primo, che invece si impegna a recedere volontariamente dal contratto di locazione. La validità discende da due elementi. Innanzitutto, a detto accordo rimane estraneo il locatore, onde non è ravvisabile la violazione dell’art.79 della legge n.392/78. Inoltre, è da ritenersi ormai abrogato l’art.28 della legge 253 del 1950, che invece comminava la nullità al patto in questione (Cassazione, 13 novembre 1997, n.3372; 18 febbraio 2005).

Per concludere, bisogna avvertire che nel caso 5.13 si spiegherà quando (e con quali limiti) il conduttore possa richiedere la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta – ai sensi dell’art.1463 c.c. – nell’ipotesi in cui gli è precluso esercitare nei locali locati la propria attività, a causa del mancato rilascio di concessioni, autorizzazioni o licenze amministrative.

 

 

 

In conclusione:

 

 

Bisogna distinguere, a seconda dei casi. Solo se le parti hanno attribuito al  conduttore il diritto di recesso, egli ha diritto di far cessare il rapporto durante la sua durata, in base a quanto appositamente pattuito. Tuttavia, anche in mancanza di un’apposita previsione contrattuale, la legge attribuisce comunque al conduttore il diritto di recesso previo preavviso di sei mesi, ma solo in presenza di “gravi motivi” che impediscono la prosecuzione del rapporto. Per contro, il locatore non può mai recedere dal rapporto.

 

 

Clausola contrattuale:

 

“Fatto salvo il disposto dell’art.27, comma 8, della legge 392/1978, la facoltà di recesso del conduttore ai sensi dell’art. 27, commi 7 e 8, della legge 392/78 potrà essere esercitata purché con preavviso di mesi ……………”

 

 

ovvero (scegliere cosa si preferisce)

 

 

“Fatto salvo il disposto dell’art.27, comma 8, della legge 392/1978, il conduttore non ha facoltà di recedere dal presente contratto”