Perdita avviamento

Nelle locazioni commerciali, se il conduttore rilascia i locali, ha diritto ad un’indennità per la perdita avviamento?


Imponendo l’indennità in questione, apparentemente il legislatore si è prefissato di tutelare solo l’avviamento commerciale del conduttore. Esaminandone (come ci si accinge a fare) la relativa disciplina, invece, emerge come le reali intenzioni siano state anche quelle di introdurre – sotto velate forme – uno strumento calmieratore del mercato delle locazioni, come ammesso dalla stessa Cassazione (sentenza 8 luglio 2005, n.14461).

Ad ogni modo, la disciplina contenuta dall’art.34 della legge 392/78 viene considerato un provvedimento che ha tutelato in modo più marcato l’avviamento commerciale e, pertanto, ha comportato l’abrogazione della previgente disciplina, costituita dalla legge 27 gennaio 1963, n.19 (Cassazione, 2 agosto 1997, n.7168).

Presupposti

Ai sensi dell’art.34 della legge 392/78, il conduttore ha diritto ad un’indennità per la perdita dell’avviamento solo in particolari circostanze.

Innanzitutto, è necessario che egli eserciti nell’immobile locato una delle seguenti attività:

  • commerciale (tra cui il mediatore professionale, Cassazione, 9 marzo 1984, n.1637); industriale, artigianale (tra cui: l’estetista,  Cassazione, 19 marzo 1997, n.2421; la sartoria, Cassazione, 29 luglio 1995, n.8340);
  • di interesse turistico comprese tra quelle di cui all’art.2 della legge 12 marzo 1968, n.326, purché a fine di lucro (Cassazione, 16 gennaio 1990, n.162);
  • alberghiera.

Inoltre, l’attività in questione deve comportare contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, aspetto precisato anche dalle Sezioni Unite (sentenza 10 marzo 1998, n.2646)

L’art.34 della legge 27 luglio 1978, n.392, in sintesi e per quanto qui interessa, stabilisce che, in caso di cessazione del rapporto di locazione non voluta dal conduttore, questi ha diritto ad un’indennità per la perdita dell’avviamento, se l’immobile era adibito all’esercizio di un’attività commerciale.

Aggiunge però l’art.35 della legge, che la disposizione dell’articolo precedente non si applica (in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori).

Questa seconda norma almeno a partire dalla sentenza della Corte 8 settembre 1987 n.7229 – è stata costantemente interpretata nel senso che (la formula legislativa esprime l’esigenza che l’immobile locato sia adoperato, nell’esercizio dell’impresa, come luogo aperto alla frequentazione diretta, strumentalmente “negoziale” (cioè orientata od orientabile all’interesse di vicende contrattuali con l’imprenditore), della generalità dei, destinatari finali dell’offerta di beni o servizi).

Se il conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione non ha sempre diritto all’indennità quando il rapporto cessa non per sua volontà, ma vi ha diritto, solo quando egli abbia esercitato nell’immobile una delle attività previste dalla legge agli artt.34 e 27, commi 1 e 3; e se ulteriore condizione perché il diritto spetti è che l’esercizio dell’attività si sia svolto con modalità comportanti diretto contatto col pubblico; … omissis …

Invero, il diretto contatto col pubblico degli utenti e dei consumatori si atteggia in positivo come fatto costitutivo del diritto, perché su tale modalità di esercizio dell’attività si fonda la presunzione legale che l’allontanamento dell’azienda dallo specifico sito in cui è stata esercitata comporterà una dispersione del suo avviamento”.

Oltre a richiedere che abbia tale caratteristica la natura dell’attività svolta dal conduttore nei locali locati, però, la giurisprudenza ora richiede anche che questi ultimi abbiano una struttura tale da consentire intrinsecamente tale contatto, senza la necessità di un apposito intervento umano.

In tal senso Cassazione, 12 luglio 2005, n.14610 (conformi altresì la pressoché contestuale sentenza 16 maggio 2005, n.10187):

“Dopo un’iniziale contrapposizione di due orientamenti, per il primo dei quali (cui si riporta in buona parte il ricorrente) l’indennità compete anche al conduttore di locali adibiti soltanto ad esposizione della merce con possibilità di accesso da parte del pubblico, sebbene le vendite vengano concluse in locali vicini, sempre che risulti accertato il reale ed obiettivo inserimento del locale nell’organizzazione aziendale e la sua rispondenza ad esigenze tipiche dell’impresa, essendo così funzionale alla produttività aziendale e suscettibile di influire sul volume degli affari (Cass. 6 giugno 1994, n.5471; 30 marzo 1992, n.3862; 26 gennaio 1987, n.703; 25 febbraio 1983, n.1457), si è consolidato il secondo orientamento, secondo cui l’immobile utilizzato a locale di esposizione, in tanto può determinare l’esistenza del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, in quanto si presta ad essere considerato come luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, da sè solo in grado di esercitare un richiamo su tale generalità, in tal modo divenendo un collettore di clientela ed un fattore locale di avviamento, senza che possa darsi rilievo al modo dell’organizzazione dell’attività del conduttore e alla circostanza che questi abbia creato un vincolo di accessorietà funzionale tra l’immobile adibito a deposito ed esposizione e l’immobile destinato alla vendita (Cass. 15/01/2001, n.505; Cass. 10/08/2000, n.10598; Cass.20/02/1999, n.1435; Cass. 21 ottobre 1993, n.10460; 10 luglio 1989, n.3264; 28 ottobre 1989, n.4518; 10 luglio 1986, n.4486; v. pure Cass. 10 ottobre 1997, n.9869).

2.2. Ritiene questa Corte di dover aderire a quest’ultimo prevalente orientamento, non potendosi condividere la contraria opinione del ricorrente.

Infatti il testuale disposto dell’art.35 della citata legge esclude, che l’indennità per la perdita dell’avviamento competa nel caso di cessazione di rapporti di locazione relativi di immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori. Il dato testuale della norma citata fa riferimento all’attività svolta nell’immobile – tale da esercitare richiamo di clientela che può accedere al locale per effettuare acquisti – e non all’imprenditore e alla sua organizzazione. Ed invero l’avviamento commerciale, inteso come clientela che si rivolge ad un esercizio commerciale per la sua ubicazione, non può che riguardare il locale nel quale avviene il contatto, anche a fini negoziali, con il pubblico degli utenti e dei consumatori, prescindendo dall’eventuale collegamento con locali separati, anche se funzionalmente collegati nell’organizzazione aziendale dell’imprenditore conduttore. L’ambito della norma e del diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento importa un’indagine di carattere oggettivo sulle caratteristiche dell’attività svolta nell’immobile e sull’idoneità dello stesso ad essere in concreto adibito allo svolgimento di attività comportante contatti diretti con il pubblico dei consumatori, tale da consentire il libero accesso al locale medesimo prescindendo dall’intervento dall’intermediazione di personale incaricato dal conduttore. E’ necessario, cioè, che l’immobile locato sia idoneo di per sé a favorire l’accrescimento ed il mantenimento della clientela, sì da determinare in concreto quell’avviamento commerciale, alla cui tutela è in sostanza volta la norma di cui all’art.35 della legge n.392 del 1978. Orbene, alla stregua di tali principi, non può dirsi che un locale, adibito esclusivamente a deposito e ad esibizione di mobili, sia idoneo da solo, senza la sussistenza di ulteriori elementi, quale l’ausilio di intermediari, alla frequentazione diretta e della generalità dei destinatari finali dell’offerta dei beni e servizi”.

In mancanza di dette caratteristiche, non insorge il diritto all’indennità in esame, e ciò nemmeno se il locale in questione abbia qualche collegamento con altro immobile, invece dotato delle connotazioni strutturali considerate dall’art.34 della legge 392/78 (Cassazione, 1 aprile 2004, n.6397).

Deve poi escludersi il diritto all’indennità, qualora il conduttore sia lo Stato ovvero altro ente pubblico territoriale, a prescindere dall’attività esercitata nell’immobile.

Inoltre, il diritto a percepire l’indennità non insorge, se il conduttore esercitava la propria attività senza le necessarie autorizzazione amministrative, siccome la tutela giuridica è negata a chi versa in una situazione illecita (Cassazione, 7 maggio 1993, n.5265; 29 settembre 2000, n.12966).

Infine, il rapporto deve venire a cessare per volontà del locatore (Cassazione, 10 agosto 1993, n.8585; 14 dicembre 1998, n.59). Di conseguenza, nulla può pretendere il conduttore se è lui la causa della cessazione del contratto (Cassazione, 27 febbraio 1995, n.2231), vuoi per inadempimento, vuoi per disdetta, vuoi per recesso, vuoi perché egli venga sottoposto ad una procedura concorsuale, vuoi per effetto di un provvedimento della Pubblica Amministrazione (quest’ultima ipotesi è stata introdotta per effetto della sentenza 30 novembre-14 dicembre 1989, n.542, resa dalla Corte Costituzionale).

Qualora l’immobile sia oggetto di sublocazione, sussistendone i citati presupposti al subconduttore  spetta sì l’indennità, ma può far valere il relativo diritto solo nei confronti del conduttore che gli ha sublocato l’immobile (Cassazione, 3 ottobre 2005, n.19310). Dal canto suo, il conduttore potrà far valere il medesimo diritto verso il locatore (Cassazione, 24 gennaio 1994, n.692).

Per contro, il diritto all’indennità non insorge, qualora il contratto di locazione concerna un immobile:

  • adibito ad attività che non comportano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (art.35 stessa legge);
  • destinato all’esercizio di attività professionali (art.35 citato);
  • impiegato per attività di carattere transitorio (art.35 citato);
  • complementare o interno a: stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici (art.35 citato);
  • adibito ad attività ricreative, assistenziali, culturali, scolastiche, sede di partiti e sindacati (art.42, comma 1, legge 392/78, che non richiama l’art.34 citato). Non sono però tali quelle svolte a fine di lucro (Cassazione, 27 aprile 1994, n.3974; 3 ottobre 2005, n.19309, giacché in simili circostanze si è in presenza di una vera e propria attività commerciale o imprenditoriale). Inoltre, il diritto all’indennità sussiste anche quando, sebbene nei locali vi sia un circolo culturale, il conduttore è una società costituita da soggetti diversi dai soci del circolo, i quali assumono così il ruolo di meri suoi clienti (Cassazione, 15 gennaio 2001, n.505);
  •  qualsiasi uso, se il conduttore è lo Stato o altro ente pubblico territoriale (art.42, comma 1, legge 392/78, che non richiama l’art.34 citato): ciò perché l’art.34 citato non è richiamato dall’art.42 della legge 3927/9 (Cassazione, 4 marzo 1988, n.2274).

Tali esclusioni sono state giudicate conformi alla nostra carta costituzionale (Corte Costituzionale, ordinanze 14 luglio 1982, n.136; 5 maggio 1983, n.128; 30 gennaio 1986, n.22; 16 maggio 1984, n.147).

Onere della prova

Come accennato, l’indennità è prevista solo se l’attività del conduttore (purché rientrante tra quelle di carattere commerciale, industriale, artigianale, alberghiero o di interesse turistico) comporta contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori.

Insorge allora la questione su chi debba provare la presenza o meno di tale requisito. Sul punto, la Cassazione ha chiarito in via generale (sentenza 6 agosto 1997, n.7282; 11 aprile 2003, n.57575; 9 giugno 2005, n.12125) che se è il conduttore a chiedere la corresponsione dell’indennità di avviamento, su lui grava l’onere di provare non solo di avere esercitato nell’immobile una delle attività per le quali la detta indennità è prevista, ma anche che l’attività stessa comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, mentre nessun dovere ha il giudice di promuovere di ufficio un siffatto accertamento. Al contrario, se è il locatore a prendere l’iniziativa giudiziaria per ottenere l’accertamento negativo della spettanza di tale indennità, è suo onere provare l’insussistenza dei presupposti del diritto, a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa, l’assolvimento potrebbe essere arduo.

Tuttavia, siffatti principi subiscono un sostanziale ribaltamento quando l’attività svolta dal conduttore presuppone – secondo le sue modalità tipiche – il contatto con il pubblico. In tali circostanze, il locatore deve corrispondere l’indennità, se egli non nega che nell’immobile è stata svolta un’attività diversa da quella pattuita. Difatti, per le già citate Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 10 marzo 1998, n.2646)

“non può non assegnarsi pregnante rilievo – in assenza – di elementi di giudizio contrari – alla natura dell’attività consentita dal contratto, cioè al fatto che essa comporti o no, almeno normalmente, diretto contatto col pubblico (del resto, ad uno schema logico non sensibilmente diverso si è ispirata questa Corte, quando, con la sentenza 17 ottobre 1992 n.11405, ha statuito che se il contratto prevede un uso il quale, non normalmente, ma per sé, cioè di necessità, comporta diretto contatto col pubblico, la contestazione dovrà investire il punto che il conduttore non abbia affatto svolto l’attività esercitata e, però, in questo caso, l’onere della prova viene a gravare sul locatore)”.

L’applicazione di questo principio enunciato dalle Sezioni Unite trova riscontro in due decisioni, rese con riferimento all’attività bancaria (26 febbraio 2003, n.2893) ed assicurativa (Cassazione, 29 settembre 2005, n.19146). Sulla base dell’asserito presupposto che tali attività di per sé comportano contatto con il pubblico, i giudici di legittimità hanno infatti spostato sul locatore l’onere di dimostrare il contrario nel caso concreto.

Con ciò dimenticando – si direbbe – che in tali aziende molti uffici hanno carattere di natura “logistica”, e cioè sono dediti ad attività esclusivamente di natura interna che non comportano affatto contatto con il pubblico.

Tuttavia, questo aspetto non è stato nemmeno affrontato dalla Cassazione nella decisione resa con riferimento all’attività assicurativa, forse perché nella fattispecie il conduttore non era una società assicurativa, ma un agente. Di conseguenza, è forse condivisibile pensare che gli uffici di tale soggetto servano normalmente per il contatto con il pubblico. Invece, nella precedente sentenza del 4 novembre 1993, n.10885, ciò era stato addirittura escluso, siccome nel caso di specie l’agenzia non aveva un orario di apertura al pubblico.

Per contro, la decisione sull’attività bancaria concerneva un caso in cui l’immobile era adibito a sede della banca. Per superare l’ostacolo, i giudici (di merito e legittimità) hanno precisato che “sebbene sia in atto una linea di tendenza volta ad escludere – per quanto possibile – la presenza del cliente nella sede della Banca, tuttavia per le operazioni più delicate ed importanti, il rapporto diretto tra l’utente e la Banca non potrà essere eliminato, e conseguentemente la rilevanza (non decisiva, ma neppure trascurabile) dell’ubicazione e degli altri fattori di posizione dell’immobile“. Anche seguendo tale impostazione, però, non pare giustificabile la conclusione raggiunta, giacché non è stato considerato il problema della prevalenza dell’uso (su cui infra) cui è destinata la sede della banca: contatti con il pubblico (includendovi non solo gli sportelli, ma anche gli uffici direzionali: Cassazione, 16 dicembre 1997, n.12720) ovvero attività interna? Secondo le Sezioni Unite, però, dovrebbe essere il locatore a provare la prevalenza del secondo tipo di attività, ma è arduo capire come egli riesca a farlo concretamente.

Disciplina

Così individuato l’ambito di applicazione della norma sul diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, entriamo nel dettaglio della relativa disciplina.

L’ammontare dell’indennità è predeterminato per legge in misura fissa, a prescindere dall’effettivo valore dell’avviamento maturato dall’attività svolta dal conduttore (Cassazione, 11 aprile 2003, n.5757). Qui emerge chiaramente la ratio calmieratrice della norma. In altre parole, l’indennità compete indipendentemente dalla prova in concreto dell’avviamento e della perdita subita dal conduttore (Cassazione, 28 luglio 2005, n.15821). Essa è inoltre dovuta, anche se il conduttore continua ad esercitare la medesima attività in altro locale sito nel medesimo fabbricato o in diverso immobile collocato nelle vicinanze di quello a suo tempo locato (Cassazione, 31 maggio 2005, n.11596).  Lo stesso vale nonostante il conduttore abbia poi completamente cessato la propria attività (Cassazione, 16 settembre 2000, n.12279).

Quanto al relativo importo, esso varia a seconda del tipo di attività, essendo pari a: 18 mensilità del canone di locazione, se i locali sono – effettivamente (Cassazione, 18 aprile 1995, n.4326) – adibiti ad attività commerciale, industriale, artigianale o di carattere turistico; 21 mensilità, per gli alberghi (art.34, comma 1, legge 392/78). Quale base di calcolo, va utilizzato il canone corrisposto al momento della cessazione della locazione e non a quello del rilascio (Cassazione, 28 marzo 2003, n.4701).

Inoltre, l’indennità così determinata raddoppia, se – entro un anno dal rilascio dei locali in seguito alla cessazione del rapporto (Cassazione, 28 marzo 2003, n.4701) – l’immobile viene da chiunque adibito all’esercizio della stessa attività a suo tempo esercitata dal conduttore uscente o, addirittura, proseguita quest’ultima da un nuovo titolare, che ha acquisito il diritto alla permanenza nell’immobile non per effetto dell’avvenuta cessione dell’azienda del precedente conduttore (Cassazione, 6 maggio 2003, n.6879). Lo stesso vale, qualora l’attività di quest’ultimo sia compresa nella medesima tabella merceologica ovvero risulti affine alla nuova attività per cui vengono sfruttati i locali (art.34, comma 2, legge 392/78, su cui Cassazione, 28 gennaio 2003, n.1234). Per contro, il “raddoppio” dell’indennità non scatta, se nel locale, prima adibito per vendita al dettaglio di un certo deposito, venga poi esercitata la vendita all’ingrosso della medesima merce (Cassazione, 16 luglio 2006, n.11378).

Viste le circostanze in cui insorge il diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento, si evince un’ulteriore ragione per determinare con una certa precisione – al momento di instaurare il rapporto – le modalità d’uso consentite per i locali locati.

Ciò rileva essenzialmente quando, al momento di accingersi  alla stipulazione del contratto, per il locatore abbia un certo peso il fatto di non dover corrispondere tale indennità. Ad esempio, tale situazione potrebbe configurarsi quando il locatore si decide a locare nella prospettiva che, da un canto, il conduttore esercita effettivamente un’attività da cui non scaturisce il diritto all’indennità in questione e, dall’altro, che il contratto avrà solo la durata minima prevista dalla legge, giacché è in previsione di darne poi disdetta per la “prima scadenza”, in base ad una delle ipotesi previste dall’art.29 della legge 392/78 (peraltro, non sarebbe male rappresentare da subito tale situazione al futuro conduttore, magari formalizzandola anche nelle premesse).

Tuttavia, non si deve pensare affatto di usare validamente in modo strumentale una clausola per tentare di escludere in ogni caso il diritto all’indennità in questione. Ricordiamo innanzitutto che le rinunce preventive senza corrispettivo sono nulle (Cassazione, 3 aprile 1993, n.4041; 22 aprile 1999, n.3984), mentre è possibile disporne durante la pendenza del rapporto, ad esempio concordando una proroga della locazione cui il conduttore non avrebbe invece diritto (Cassazione, 19 marzo 1991, n.2945; 22 aprile 1999, n.3984). Appare poi vano far semplicemente dichiarare al condutture che l’attività da lui esercitata nei locali non comporta contatto con il pubblico, quando poi ciò sia connaturale all’attività stessa (caso limite, ma non astratto, è vedere simile attestazione per locali di cui viene pattuito un uso a birreria!) ovvero avvenga in base all’uso normalmente fatto dal conduttore e non contrastato dal locatore, incappando così nel disposto dell’art.80 della legge 392/78 (ad esempio, uso pattuito quello a “magazzino di idraulica”, ove però il conduttore eserciti quasi da subito attività di vendita anche al dettaglio). Sul punto, Cassazione, Sezioni Unite, 28 ottobre 1995, n.11301:

“Queste Sezioni Unite ritengono che il criterio da seguire sia quello dell’uso prevalente, in base ad una interpretazione letterale e sistematica dell’art.80 della legge n.392 del 1978.

Invero l’uso che determina il regime giuridico delle locazioni è solo quello oggettivo, come si evince dall’art.80 citato, alla luce del quale, se il locatore non chiede nei termini previsti la risoluzione per aver il conduttore adibito l’immobile ad uso diverso da quello pattuito, il regime giuridico da applicare è quello “corrispondente all’uso effettivo dell’immobile,” tant’è che anche quando per contratto il rapporto nasce come appartenente ad un tipo sottoposto alla disciplina residuale del codice civile, il mutamento dell’uso pattuito in uno di quelli previsti dalla legge n.392 del 1978, determina, nell’inerzia del locatore, il passaggio di regime giuridico, previsto in forma generale dal comma 2 del citato art.80 (vedi Cass. n.1598 del 1984).

L’art.80 funziona, cioè, da norma di chiusura e perciò necessariamente investe tutta la varia tipologia dei rapporti nell’attuale sistema delle locazioni di immobili urbani.

In altri termini, se vi è mutamento dell’uso pattuito da parte del conduttore ed il locatore ha lasciato decorrere il termine per chiedere la risoluzione del contratto, a norma del comma 2 del citato art.80, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile. E qualora la destinazione ad uso diverso da quello pattuito sia parziale, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo prevalente.

Deve ciò essere privilegiata la unicità del contratto – anche sotto il suo profilo economico – e a tal uopo va rilevato che è compito precipuo del giudice di merito valutare quale sia in concreto l’uso prevalente effettivo cui è stato adibito l’immobile (se cioè uso commerciale, ovvero abitativo), con la conseguenza che, se è prevalente l’uso commerciale, la indennità di cui all’art.34 della legge citata dovrà corrispondersi in relazione all’intero immobile, commisurandosi, pertanto, all’intero canone. Va, peraltro, rilevato al riguardo che se il locatore ha lasciato decorrere il termine per chiedere la risoluzione del contratto avendo il conduttore mutato l’uso, è da ritenersi consapevole di tale mutamento e quindi della destinazione prevalente diversa.

Non è, cioè, concepibile – e ciò in accoglimento del suggerimento della prevalente dottrina – che un originario unico contratto di locazione abbia, in conseguenza di un parziale mutamento d’uso, a scindersi, nel momento della sua cessazione in un (per così dire) duplice contratto, per cui per una parte valga l’originaria pattuizione e per l’altra una clausola prevista ex lege a seguito del suddetto parziale mutamento d’uso. La prevalenza dell’uso in tal caso, legislativamente prevista, dall’art.80 della legge 392 del 1978, comporta la prevalenza di quest’ultima norma sulla disposizione di cui all’art.35 della stessa legge.

Quanto sopra nel caso in cui l’uso pattuito originariamente sia unico. La problematica però non muta allorché l’uso originario sia già previsto in contratto come promiscuo, atteso che – come da giurisprudenza di questa Corte sul punto (Cass. n.5689 del 1990; Cass. n.8631 del 1991) – se il conduttore, nel corso della locazione, abbia mutato l’ambito dei due usi previsti, alterando unilateralmente l’originario rapporto, anche in tal caso occorre far ricorso al criterio dell’uso prevalente, per cui, se prevalente dovesse accertarsi l’uso commerciale, la indennità per la perdita di avviamento va sempre commisurata in relazione all’intero immobile.

Il contrasto giurisprudenziale in oggetto va, dunque, risolto accogliendo l’indirizzo seguito dalle sentenze n.7554 del 1983 e n.8631 del 1991”.

Va tuttavia puntualizzato che, anche con riferimento alla questione della debenza dell’indennità per la perdita dell’avviamento, affinché operi il meccanismo sanzionatorio dell’art.80 legge 392/78, il locatore deve avere avuto conoscenza del mutamento d’uso (Cassazione, 11 agosto 2000, n.10723).

Tale sentenza delle Sezioni Unite risolve anche il problema del regime  dell’indennità, nell’ipotesi in cui solo per una parte dell’immobile locato sussistano i requisiti da far insorgere il diritto a percepirla. Recependo siffatto insegnamento, nella successiva 31 maggio 2005, n.11596, la Cassazione ha confermato che si debba guardare all’uso prevalente, commisurando poi l’indennità al canone corrisposto per l’intero immobile e non già ad una parte proporzionata alla sola superficie adibita all’uso commerciale prestabilito.

Detto orientamento rivela l’utilità (già illustrata al caso 5.1.) di apposite pattuizioni contrattuali per simili ipotesi, ovviamente con il limite che non abbiano manifesto carattere elusivo. La loro legittimità è infatti stata riconosciuta proprio nella citata sentenza delle Sezioni Unite, dove oggetto della decisione era determinare la disciplina da applicare nell’ipotesi di un mutamento d’uso dei locali durante la pendenza del rapporto, tale da determinare la trasformazione in uso promiscuo. Per contro, con riferimento alla diversa ipotesi in cui l’uso promiscuo esista già al momento della conclusione del rapporto, è stato rilevato:

“Ne deriva che il problema generalmente non si pone se il contratto preveda “ab origine” una duplice destinazione dell’immobile stesso, nel senso che una parte di esso sia adibita esclusivamente ad esercizio commerciale ed altra parte esclusivamente ad abitazione, atteso che in tal caso – non essendovi uso promiscuo nella stessa parte di immobile ed in mancanza di mutamento d’uso – il regime previsto dalla legge per l’esercizio commerciale si applicherà alla parte di immobile avente “ab origine” tale destinazione, rispetto alla quale vi sia il diretto contatto con il pubblico”.

E’ bene concludere ricordando che, quanto dovuta, la corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento è condizione per l’esecuzione dell’eventuale provvedimento di rilascio chiesto dal locatore. L’obbligazione gravante sul conduttore di rilasciare l’immobile alla scadenza e quella fatta al locatore di corrispondergli l’indennità sono dunque legate da un rapporto di reciproca dipendenza, tanto che ciascuna delle prestazioni non è esigibile in mancanza dell’adempimento, o dell’offerta di adempimento dell’altra (Cassazione, 17 gennaio 2001, n.580).

L’evidente rischio di stallo è superato grazie al quarto comma dell’art.34 citato.

“La nuova disposizione del 4º comma dell’art.34 legge n.392 del 1978, integrando la precedente disposizione del 3º comma, per il quale l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile è condizionata dall’avvenuta corresponsione dell’indennità, consente di derogare alla stessa, in modo da rendere possibile il rilascio immediato dell’immobile, sempre che nel giudizio di determinazione dell’indennità le parti abbiano quantificato l’offerta in modo serio e motivato, di tal che possa iniziarsi l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile, salvo conguaglio all’esito del relativo giudizio.

È evidente, dato il carattere integrativo e non abrogativo del nuovo comma 4º rispetto al precedente comma, che, persistendo disaccordo fra le parti circa l’entità dell’indennità dovuta, la relativa determinazione può avvenire solo giudizialmente con la decisione di merito; nell’attesa della definizione del relativo giudizio, le parti hanno l’onere di quantificare la somma reclamata od offerta e la corresponsione dell’importo indicato dal conduttore o offerto dal locatore consente l’esecuzione del provvedimento di rilascio, salvo conguaglio con la sentenza definitiva (Cass. civ. 11163/96)”.

Due poi le implicazioni, discendenti dal particolare rapporto fissato dal legislatore tra pagamento dell’indennità e rilascio dei locali.

Innanzitutto, gli interessi sulla somma dovuta a titolo di indennità di avviamento commerciale non iniziano a decorrere finché non è avvenuto il rilascio dell’immobile (Cassazione, 10 febbraio 2003, n.1939).

Inoltre, al conduttore che rifiuta la restituzione dell’immobile, in attesa di ricevere dalla controparte l’indennità dovutagli,  è consentito continuare ad utilizzare l’immobile, restando tenuto al solo obbligo di pagare il corrispettivo per il suo uso, ma non a risarcire alcun danno conseguente l’occupazione oltre il momento in cui è cessato il rapporto (Cassazione, Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n.1177; 24 gennaio 2003, n.1110; 28 marzo 2003, n.4690).

Tuttavia, l’esigibilità dell’indennità in misura doppia scatta solo nel momento in cui abbia inizio il nuovo esercizio (momento cui viene quindi differito il pagamento della seconda “quota”).

Il diritto a percepire l’indennità si prescrive in dieci anni, decorrenti dal momento in cui l’immobile viene rilasciato dal conduttore senza averla percepita (Cassazione, 2 agosto 1997, n.7168).

 

 

 

In conclusione:

 

Quando il conduttore esercita nell’immobile locato attività di tipo commerciale, industriale, artigianale o turistico/alberghiero che comportano contatto con il pubblico, egli si vede riconosciuto – ai sensi dell’art.34 della legge 392/78 – il diritto ad un’indennità per la perdita dell’avviamento, se il rapporto viene a cessare per volontà del locatore.