Elusione fiscale

La posizione delle Sezioni Unite della Cassazione sull’elusione fiscale


Il 17 settembre 2015 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana hanno reso due sentenze (numero 18213 e 18214) in materia di contratti di locazione, nelle quali si leggono tuttavia alcune indicazioni di carattere generale circa la lotta alla elusione fiscale, così trascendendo lo specifico settore oggetto di tali pronunce.

In effetti, nella seconda delle decisioni citate, le Sezioni Unite hanno osservato che

su di un più generale piano etico/costituzionale, e nel rispetto della essenziale ratio della legge del 1998, la soluzione adottata impedisce che, dinanzi ad una Corte suprema di un Paese Europeo, una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente e impunemente la propria qualità di evasore fiscale, volta che l’imposizione e il corretto adempimento degli obblighi tributari, lungi dall’attenere al solo rapporto individuale contribuente-fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale, nell’interesse superiore dell’intera collettività”.

Analogamente, nella prima di dette decisioni la Suprema Corte ha espressamente enunciato il principio che

su di un più generale piano etico/costituzionale, impedisce che, dinanzi ad una Corte suprema di un Paese Europeo, una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente e impunemente la propria qualità di evasore fiscale, volta che l’imposizione e il corretto adempimento degli obblighi tributari, lungi dall’attenere al solo rapporto individuale contribuente-fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale, nell’interesse superiore dell’intera collettività”.

Sempre nella decisione ora in esame le Sezioni Unite hanno pure rammentato che già in passato la medesima Corte aveva già più volte affermato e applicato il principio del divieto di abuso del diritto (Cass. 18/9/2009, n. 20106; Cass. 15/10/2012, n. 17642), specie in tema di imposte, in particolare precisando che

l’esame delle operazioni poste in essere dal contribuente deve essere in ogni caso compiuto alla stregua del principio desumibile dal relativo concetto elaborato dalla giurisprudenza comunitaria (in materia fiscale, ex aliis, Corte di Giustizia 21/2/2006, in causa C-255/02), secondo cui non possono trarsi benefici da operazioni che, seppure realmente volute e quand’anche immuni da invalidità, risultino, alla stregua di un insieme di elementi obiettivi, compiute essenzialmente allo scopo di ottenere un indebito vantaggio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che le giustifichino, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale (tra le altre, Cass. 29/9/2006, n. 21221; Cass. ss.uu. 23/12/2008, n. 30055; Cass. 9/3/2011, n. 5583; Cass. 28/6/2012, n. 10807; Cass., 30/11/2012 n. 21390, e, tra le più recenti, Cass. 6/12/2013, n. 27352)”.

Precisano ora le Sezioni Unite che

“tale, generale principio «antielusivo» trovava il suo fondamento nell’art. 53 della Costituzione, la cui ratio rende ultroneo l’eventuale accertamento della simulazione o del carattere fraudolento dell’operazione, da valutare, viceversa, nella sua reale essenza, non potendo al riguardo influire ragioni economiche meramente marginali o teoriche, inidonee a fornire una spiegazione alternativa dell’operazione rispetto al mero risparmio fiscale, come tali quindi manifestamente inattendibili o assolutamente irrilevanti rispetto alla predetta finalità” (su cui anche Cass. 21/4/2008, n. 10257)”.


Nella summenzionata sentenza del 21/2/2006 la Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si era pronunciata su un caso ove, dinanzi al giudice nazionale, era contestato il carattere elusivo di alcune operazioni di cessione di beni, che si ritenevano unicamente finalizzate ad ottenere vantaggi fiscali nel settore dell’imposta sul valore aggiunto.

Pronunciandosi su una questione di natura pregiudiziale, la Corte UE aveva ricordato (punti da 68 a 71 della motivazione) che

secondo una giurisprudenza costante, gli interessati non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente del diritto comunitario (v., in particolare, sentenze 12 maggio 1998, causa C‑367/96, Kefalas e a., Racc. pag. I‑2843, punto 20; 23 marzo 2000, causa C‑373/97, Diamantis, Racc. pag. I‑1705, punto 33, e 3 marzo 2005, causa C‑32/03, Fini H, Racc. pag. I‑1599, punto 32).

L’applicazione della normativa comunitaria non può, infatti, estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di transazioni commerciali normali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario (v., in tal senso, in particolare, sentenze 11 ottobre 1977, causa 125/76, Cremer, Racc. pag. 1593, punto 21; 3 marzo 1993, causa C‑8/92, General Milk Products, Racc. pag. I‑779, punto 21, e Emsland‑Stärke, cit., punto 51).

Questo principio di divieto di comportamenti abusivi si applica anche al settore IVA.

La lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è, infatti, un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva (v. sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C‑487/01 e C‑7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, Racc. pag. I‑5337, punto 76)”.

E’ però egualmente utile rammentare che la Grande Sezione aveva altresì puntualizzato (punto 72 della medesima sentenza):

la Corte ha più volte dichiarato, tuttavia, la normativa comunitaria dev’essere certa e la sua applicazione prevedibile per coloro che vi sono sottoposti (v., in particolare, sentenza 22 novembre 2001, causa C‑301/97, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I‑8853, punto 43). Tale necessità di certezza del diritto s’impone con rigore particolare quando si tratta di una normativa idonea a comportare oneri finanziari, al fine di consentire agli interessati di conoscere con esattezza l’estensione degli obblighi che essa impone loro (v., in particolare, sentenze 15 dicembre 1987, causa 326/85, Paesi Bassi/Commissione, Racc. pag. 5091, punto 24, e 29 aprile 2004, causa C‑17/01, Sudholz, Racc. pag. I‑4243, punto 34)”.

Principio, quello della certezza del diritto, che notoriamente il nostro legislatore pare molto spesso ignorare, non solo in materia fiscale!

Il nocciolo resta comunque quello di provare che, nel contesto di un’operazione contestata, sussista l’elemento elusivo.

In effetti, così si è espressa la Corte UE sempre nella sentenza citata (punti 74, 75 e 76 della motivazione):

“Tutto ciò considerato, risulta che, nel settore IVA, perché possa parlarsi di un comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da queste stesse disposizioni.

Non solo. Deve altresì risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale. Come ha precisato l’avvocato generale al paragrafo 89 delle conclusioni, il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove le operazioni di cui trattasi possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di vantaggi fiscali.

Spetta al giudice del rinvio verificare, conformemente alle norme nazionali sull’onere della prova, ma senza che venga compromessa l’efficacia del diritto comunitario, se gli elementi costitutivi di un comportamento abusivo sussistano nel procedimento principale (v. sentenza 21 luglio 2005, causa C‑515/03, Eichsfelder Schlachtbetrieb, Racc. pag. I‑7355, punto 40).


Per concludere, va ancora detto che, mediante le due menzionate sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione, è stata praticamente chiusa ogni ai locatori di immobili che si propongano di eludere la registrazione dei contratti di locazione, al fine di evadere poi le imposte sui relativi redditi.