Legittimità costituzionale regole accesso tartufaie

Nella sentenza 328/1990, è stata dichiarata la legittimità costituzionale dei principi che regolamentano l’accesso alle tartufaie naturali (legittimità costituzionale regole accesso tartufaie).


Pronunciandosi sulla legge regionale adottata al riguardo dalla Regione Umbria, la Corte Costituzionale ha ritenuto validi i principi che in Italia (legge 752/1985) consentono il libero accesso dei raccoglitori di tartufi alle tartufaie naturali presenti su fondi appartenenti ad altri soggetti, da un canto, mentre lo vietano in quelle coltivate o controllate, così come all’interno delle aziende faunistico-venatorie che siano debitamente chiuse.


Coste Costituzionale, sentenza del 13 luglio 1990, n.238


Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo) e degli artt. 2 e 6 della legge regionale 3 novembre 1987, n. 47 della Regione Umbria (Norme concernenti la disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 1989 dal T.A.R. dell’Umbria sui ricorsi riuniti proposti da Torlonia Annamaria contro la Regione Umbria ed altri, iscritta al n. 68 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale dell’anno 1990.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e della Regione Umbria;

udito nella Camera di Consiglio del 23 maggio 1990 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.-Il T.A.R. dell’Umbria dubita della legittimità costituzionale:

a) dell’art. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752, e dell’art. 2 della legge regionale 3 novembre 1987, n. 47 della Regione Umbria, nella parte in cui sanciscono la libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati e la possibilità di riserva della proprietà degli stessi solo in favore di chi gestisce tartufaie coltivate o controllate, in quanto risulterebbe violato l’art. 42 della Costituzione, secondo e terzo comma, perché le dette disposizioni, a fronte di una sottrazione originaria del bene al legittimo proprietario, non prevedono alcuna forma di indennizzo, e, irrazionalmente, consentono al proprietario dei terreni la possibilità della riserva della raccolta solo sopportando i rilevanti oneri economici per la coltivazione e il controllo delle tartufaie, oneri che, invece, non incontrano i terzi ammessi alla libera raccolta;

b) dell’art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto, estendendo il regime della libera raccolta dei tartufi anche ai terreni in cui si trovano le aziende faunistico – venatorie, violerebbe gli artt. 117 e 42 della Costituzione, perché attua una disciplina di rapporti interprivati sottratti alla potestà normativa regionale.

2.-Le questioni non sono fondate per quanto si dirà.

La legge n. 752 del 1985 (legge quadro) detta nuove norme in materia di raccolta, coltivazione e commercio di tartufi freschi o conservati destinati al commercio. Essa, ovviando alla insufficienza e alla inadeguatezza della precedente legge n. 568 del 1970, persegue la finalità di salvaguardare un patrimonio ambientale di grande valore, specie a favore di quella parte della popolazione che nella ricerca e raccolta dei tartufi trova un motivo di distensione ed anche di integrazione del proprio reddito.

La nuova disciplina è più adeguata alla rilevanza economica della attività che si protegge ed evita che la raccolta indisciplinata produca l’estinzione delle tartufaie e danni irreparabili al patrimonio ambientale.

Inoltre, si sono tutelati anche gli interessi delle popolazioni che ne traggono vantaggio, le loro consuetudini e gli eventuali usi civici.

La normativa statale fornisce i principi ed i criteri per la disciplina di dettaglio che spetta alle Regioni nell’esercizio della potestà legislativa in materia di conservazione del patrimonio naturale e dell’assetto ambientale.

La detta legge quadro sancisce la libera raccolta dei tartufi nei boschi e nei terreni non coltivati; riconosce a tutti coloro che hanno diritti di godimento sul fondo o che vi conducono tartufaie, coltivate o controllate, il diritto di proprietà sui tartufi ivi prodotti, autorizzandoli ad apporre apposite tabelle.

La raccolta non è consentita, quindi, nei terreni coltivati e, anche in base alle norme contenute nel codice civile (artt. 841 e 842), nei fondi chiusi, specie nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia.

Non sussiste la dedotta lesione dell’art. 42 della Costituzione, secondo e terzo comma, per la mancata previsione da parte del legislatore statale di un indennizzo o di un compenso a favore del proprietario di terreni non coltivati o di boschi.

Si è, invero, più volte affermato (Corte Costituzionale sent. n. 6 del 1966, sent. n. 55 del 1968, sent. n. 56 del 1968, sent. n. 245 del 1976) che la detta violazione non si verifica allorquando, come nella fattispecie, i limiti posti alla proprietà privata si riferiscano ai modi di godimento di intere categorie di beni, specie nell’ambito della attuazione della funzione sociale che deve svolgere il diritto di proprietà per la tutela accordata ad interessi sociali e quindi pubblici che fanno capo alla generalità dei cittadini.

Per quanto riguarda la illegittimità costituzionale dell’art. 6 della legge n. 47 del 1987, si osserva che con detta disposizione si è inteso disciplinare, nell’ambito della legislazione di dettaglio che compete alla Regione, la raccolta dei tartufi nei terreni soggetti anche a uso civico, al vincolo connesso alla attività venatoria nonché nelle aziende faunistico-venatorie. Per queste ultime si sono previsti dei limiti alla libera raccolta e cioè l’autorizzazione della Comunità Montana competente per territorio, l’audizione del legale rappresentante della concessionaria o del proprietario, l’ammissione di un numero limitato di raccoglitori con due soli cani, i turni della raccolta, le modalità di accesso nei soli giorni di silenzio venatorio.

La disciplina in esame va anzitutto coordinata con quella specifica delle aziende faunistico-venatorie rientrante in quella più ampia della caccia dettata con la legge n. 968 del 1977 (legge statale), la legge regionale n. 21 del 1986 della Regione Umbria, ed il regolamento regionale 7 agosto 1986, n. 2.

L’art. 36 della legge n. 968 del 1977 (legge statale) stabilisce che le aziende faunistico-venatorie, o derivate dalle riserve di caccia o di nuova costituzione, hanno come scopo il mantenimento, l’organizzazione e il miglioramento degli ambienti naturali anche ai fini dell’incremento della fauna selvatica.

La disciplina riguarda le aziende di rilevante interesse naturalistico e faunistico con particolare riferimento alla tipica fauna alpina, alla grossa selvaggina europea e alla fauna acquatica.

Si demanda alle Regioni il coordinamento e l’approvazione dei piani annuali di ripopolamento e di abbattimento della selvaggina compatibili con le finalità naturalistiche e faunistiche nonché l’indicazione dei criteri di gestione.

La Regione Umbria ha, da ultimo, emanato la legge n. 21 del 1986 ed il regolamento n. 2 del 1986.

Si sono previste tre categorie di aziende venatorie (art. 25 della legge n. 21 del 1986 e art. 2 del regolamento) a seconda della proprietà dei terreni e delle specie degli animali.

Si è specificamente sancito (art. 25, sesto comma, della legge regionale) che la concessione per l’allevamento del cinghiale e degli ungulati è rilasciata a condizione che i terreni a ciò destinati siano delimitati da barriere naturali o artificiali insuperabili dalla selvaggina allevata e tabellati (art. 11 del regolamento), mentre l’art. 6 del regolamento regola la idoneità del territorio.

Ora, la disciplina della raccolta dei tartufi di cui all’art. 6 della legge regionale deve essere anzitutto ispirata ai principi della legge quadro, peraltro, ripetuti nella stessa legge regionale (art. 2 della legge regionale n. 47 del 1987) secondo cui la raccolta è libera nei boschi e nei terreni non coltivati e, limitatamente alle aziende faunistico-venatorie esistenti nei detti luoghi, con le modalità di cui all’art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987 innanzi richiamata; mentre è vietata nei terreni coltivati e nei fondi chiusi e recintati e, comunque, nelle aziende faunistico-venatorie che ivi insistono e che sono chiuse con recinzioni, barriere o palizzate secondo le previsioni della legge regionale sulla caccia e pedissequo regolamento ribadite nella concessione.

Pertanto, le concessionarie di aziende faunistico-venatorie che si trovano in terreni coltivati o che, ovunque site, hanno un perimetro chiuso con recinzioni o barriere o palizzate non hanno alcun interesse alla apposizione di tabelle recanti il divieto di raccolta di tartufi, non essendo in esse consentita, secondo l’interpretazione che si è data delle norme applicabili, la libera raccolta.

Non sono fondate le censure sollevate dell’art. 6 della legge regionale n. 47 del 1987, in quanto la Regione ha emanato la legislazione di dettaglio secondo i principi e i criteri della legge quadro statale, nell’esercizio di una competenza propria. Ha poi correttamente coordinato la disciplina della raccolta dei tartufi nelle aziende faunistico-venatorie con la disciplina specifica delle stesse dettata dalla legge quadro statale e dalla legge regionale sulla caccia e dal regolamento delle aziende faunistico-venatorie. Non ha regolato affatto rapporti intersoggettivi di diritto privato né, in particolare, ha emanato norme incidenti sul diritto di proprietà di dette aziende.

P.Q.M.

La Corte Costituzionale

dichiara non fondata , nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa-quadro in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo) e degli artt. 2 e 6 della legge regionale 3 novembre 1987, n. 47 della Regione Umbria (Norme concernenti la disciplina della raccolta, coltivazione, conservazione e commercio dei tartufi), in riferimento all’art. 42 Cost., terzo e quarto comma, e all’art. 117 della Costituzione, sollevata dal Tribunale amministrativo regionale con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 giugno 1990.