Variazioni ai locali locati

Può il conduttore apportare variazioni ai locali locati ad uso commerciale (diverso cioè da abitazione)? In caso affermativo, se esse consistono in migliorie o addizioni, il conduttore ha diritto a qualche compenso?


Al fine di adeguare i locali locati alle proprie necessità, il conduttore può avere l’esigenza di apportare modificazioni alla loro struttura, eseguendo quei lavori che – come spiegato al precedente caso 5.11 – non competono al locatore, a meno che quest’ultimo non abbia diversamente pattuito.

A disciplinare le modificazioni cui il conduttore può avere interesse di eseguire sull’immobile, intervengono gli art.1592 e 1593 c.c., le cui previsioni sono però liberamente derogabili dalle parti, come sancito dalla Cassazione  nella sentenza 11 gennaio 1991, n.192.

Vediamo il contenuto di dette norme, le quali cercano di bilanciare l’interesse del conduttore, a godere pienamente dell’immobile locato, con quello del locatore di non vederne stravolta la natura né di trovarsi esposto al rischio di pagare cospicui corrispettivi a fronte degli interventi della controparte, quando questi ultimi comportano effettivamente un incremento al valore dell’immobile.

In effetti, le modificazioni apportate dal conduttore possono risultare sostanzialmente neutre sul valore dell’immobile ovvero, più sovente, tradursi in migliorie o addizioni.

Per tali ipotesi, dispone innanzitutto l’art.1592 c.c., il quale – entro certi limiti – consente al conduttore di modificare l’immobile, negandogli però il diritto a percepire un indennizzo dal locatore, qualora tali interventi comportino “miglioramenti” ai locali locati, a meno che quest’ultimo le abbia espressamente consentite. Tale posizione del locatore non è desumibile da un comportamento di mera tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le addizioni. Non basta, perciò, la sola scienza o la mancata opposizione del locatore, mentre è sufficiente una manifestazione tacita mediante fatti concludenti ed un contegno incompatibile con un proposito contrario (Cassazione, 12 aprile 1996, n.3435; 24 giugno 1997, n.5637; 26 novembre 1997, n.11878; 20 marzo 2006, n.6094). L’indennizzo è pari alla minor somma tra l’importo della spesa ed il valore del risultato utile al tempo della riconsegna.

Per “miglioramenti” si intendono quelle opere che, mediante trasformazioni o sistemazioni diverse, apportano all’immobile un aumento di valore, accrescendone in modo durevole il godimento, la produttività e la redditività, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi (Cassazione, 14 luglio 2004, n.13070).

Per contro, se le modificazioni non integrano “miglioramenti”, al termine della locazione varrà per il condutture l’obbligo di ripristinare le condizioni dell’immobile esistenti all’epoca in cui ne ricevette la consegna, visto il disposto dell’art.1590, comma 1. c.c. (Cassazione, 30 agosto 1995, n.9207).

Invece, si applica l’art.1593 c.c., se le modificazioni apportate dal conduttore consistono in vere e proprie “addizioni”. Al termine della locazione, egli ha diritto di rimuoverle (dando preavviso di tale intenzione alla controparte: Cassazione 11 febbraio 1972, n.395), quando ciò non comporta danno per l’immobile. In tali circostanze, però, il locatore può decidere di ritenere le “addizioni” (Cassazione, 16 novembre 2000, n.14871), pagando un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa ed il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. Invece, se le “addizioni” non sono separabili senza nocumento per l’immobile, ricevono lo stesso trattamento fissato per i “miglioramenti” (fra l’altro, variano le modalità di calcolo dell’indennizzo ed i presupposti in cui matura il diritto del conduttore a percepirlo), a condizione che esse siano configurabili come tali. In altre parole (così Cassazione 20 marzo 2006, n.6094): se il locatore ha prestato il proprio consenso alle “addizioni” non rimuovibili costituenti un “miglioramento”, egli non può pretendere la loro rimozione delle addizioni ed è tenuto al pagamento della citata indennità, pari alla minore somma tra speso e migliorato; in mancanza di consenso del locatore, il conduttore non ha invece diritto a nessuna indennità, a nulla rilevando che il locatore acquisisca le addizioni. Invece, se le addizioni comportano un deterioramento della cosa locata, il locatore può chiedere il risarcimento del danno in forma specifica, mediante l’eliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite (Cassazione, 7 maggio 1988, n.3386).

Per meglio comprendere l’ambito di applicazione delle norme appena citate, è utile richiamare la sentenza n.9744, resa dalla Cassazione l’8 novembre 1996:

“Non c’é dubbio che, giusta la giurisprudenza citata nel ricorso, l’obbligo del conduttore, stabilito dall’art.1587 n.1 c.c., di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nell’uso della cosa locata secondo la sua destinazione contrattuale e di non alterare unilateralmente lo stato, è sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dall’altro obbligo, imposto dall’art.1590 c.c., di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stesso stato in cui venne consegnata; nel senso che quest’ultima disposizione non implica affatto che il conduttore abbia la facoltà, nel corso del rapporto, di apportare modifiche a suo compiacimento, salvo l’obbligo di ripristinare, al cessare della locazione, lo stato iniziale.

Va tuttavia considerato che, stante la speciale e autonoma disciplina delle migliorie e delle addizioni (artt.1592 e 1593 c.c.), il dovere del conduttore di servirsi della cosa locata per l’uso convenuto nel contratto non esclude, e anzi importa, la facoltà di introdurre quelle innovazioni che della cosa locata non immutino la natura e la destinazione pattuita, ma servano soltanto (come nel caso di specie accertato dal giudice del merito) ad assicurare il pieno godimento e a renderne più completo l’uso particolarmente previsto nel contratto. L’uso anormale della cosa, che si traduce in abuso, rilevante per la violazione dell’obbligo sancito dall’art.1587 n.1 c.c., può rinvenirsi perciò soltanto in quelle innovazioni che, seppure in astratto possono servire a migliorare la cosa stessa (cfr. Cass. 4 marzo 1988 n.2275), concretino un’alterazione o una trasformazione del bene, ossia una sua modifica strutturale, tale da renderlo diverso da quello originario (ipotesi quest’ultima con congrua motivazione rifiutata dal giudice di merito).

Può quindi conclusivamente affermarsi che, eccettuato il caso surricordato della modifica strutturale della cosa locata, l’esecuzione di migliorie e di addizioni, essendo espressione di un diritto riconosciuto al conduttore, non può essere dedotta, di per sé, come motivo di risoluzione del contratto, …”

Per contro, in base alle menzionate norme del codice civile, è comunque vietato al conduttore apportare ai locali modificazioni che alterano la struttura fondamentale, l’organizzazione funzionale e la destinazione propria dell’immobile locato. Secondo la Cassazione (24 ottobre 1988, n.5747), ciò è ravvisabile quando le modificazioni implicano alterazioni strutturali profonde all’immobile (quali la costruzione di un capannone su terreno costituente giardino al momento della stipulazione del contratto, e ciò anche se lì insorgeva all’epoca una legnaia che il conduttore asseriva di avere “trasformato”):

“ … secondo la giurisprudenza di questo Supremo Collegio la disciplina dei miglioramenti e delle addizioni, eseguiti dal conduttore sulla cosa locata, stabilita negli artt.1592 e 1593 cod. civ. riguarda soltanto quelle innovazioni e quegli incrementi, qualitativi o quantitativi, che ineriscono alla cosa locata in quanto compiuti nell’ambito rigoroso dei suoi confini, lasciandone integra la struttura fondamentale, l’organizzazione funzionale autonoma e la destinazione sua propria, e ad essa non può farsi riferimento quando si tratti di alterazioni strutturali profonde, che abbiano come conseguenza la trasformazione della cosa locata; quest’ultima ipotesi – che può verificarsi anche in caso di radicale trasformazione di una parte soltanto della cosa (sent. n.1460 del 1961) – ricorre, invece, nell’ambito di applicazione dell’art.1587, n.1, cod. civ., che, imponendo al conduttore l’obbligo di usare la cosa, secondo la sua destinazione, con la diligenza del buon padre di famiglia, vieta di eseguire innovazioni che ne mutino la natura e la destinazione e la cui effettuazione legittima, qualora le modificazioni non siano di scarsa importanza, la risoluzione del contratto. Né la norma di cui all’art.1590 c.c., che impone al conduttore di restituire la cosa nello stato in cui l’ha ricevuta, può essere interpretata – stante la permanenza nel corso del rapporto dell’obbligo posto dall’art.1587, n.1, cit. – nel senso che sia consentito qualsiasi mutamento dello stato di fatto, salvo l’obbligo di ripristinarlo al termine del rapporto. E’ stato, pertanto, ritenuto (sent. n.3994 del 1983) che il mutamento della “res locata”, specie se alteri gli elementi strutturali del bene in modo da renderlo diverso da quello originario, può costituire causa legittima di risoluzione del contratto qualora il giudice del merito – cui è riservato il relativo apprezzamento – reputi che le modifiche apportate costituiscano un abuso del bene locato (sent. n.3994 del 1982)”

Il locatore può opporsi alla loro realizzazione anche in pendenza del rapporto di locazione (Cassazione, 1 giugno 2004, n.10485).

Siccome gli art.1592 e 1593 c.c. non hanno – come detto – natura imperativa, nella prassi contrattuale si suole generalmente disciplinare la situazione nel seguente modo.

In primo luogo, onde consentire al locatore di mantenere un certo controllo sulle modalità di utilizzazione dell’immobile, si prevede che qualunque intervento vada svolto solo in presenza del preventivo permesso scritto da parte del locatore stesso.

In secondo luogo, la precedente previsione è accompagnata da quella che chiarisce come l’eventuale consenso del locatore, dato all’esecuzione di modificazioni, va sempre inteso come condizionato alla circostanza che il conduttore non richieda poi alcun indennizzo per i lavori da lui svolti, anche qualora essi comportino “miglioramenti” o “addizioni”.

 

 

In conclusione:

 

In mancanza di apposite pattuizioni contrattuali (invece molto consuete nella prassi), il conduttore ha diritto ad effettuare sull’immobile le modificazioni necessarie per il suo migliore godimento, a condizione che non ne comportino un’alterazione strutturale profonda. Qualora esse avvengano lecitamente, il conduttore non ha comunque diritto ad ottenere un’indennità, a meno che esse comportino una “miglioramento” per l’immobile ed il locatore abbia espressamente consentito alla loro realizzazione.

 

 

Clausola contrattuale:

 

“Il conduttore non può apportare ai locali alcuna modifica, miglioria e addizione senza il preventivo permesso scritto del locatore. Il conduttore riconosce che tutte le spese per detti interventi, anche se effettuati con il preventivo permesso scritto del locatore, sono comunque a proprio ed esclusivo carico e si impegna, se richiesto, al ripristino a cessata locazione sostenendone interamente le spese. Gli oggetti, le tubazioni ed i condotti, infissi nei muri o ad essi aderenti, si intendono acquisiti all’immobile a fine locazione, fermo l’obbligo di rimozione se richiesto. Al conduttore non spetta comunque nessuna indennità o compenso per i miglioramenti e le addizioni eventualmente fatte”.